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"Quelli erano profughi, questi sono clandestini"





Campo profughi di Borgo Mezzanone, agosto 1999

 
 
Campo di Borgo Mezzanone, Foggia. È il nuovo mondo, il nulla che si genera per globalizzazione.  

Terra nerastra secca - distese di pomodori - pomodori sotto immensi tralicci che fischiano nel vento caldo - schiene nere ricurve su pomodori - facce visigote di albanesi. 

Italiani? I vigili, i poliziotti, i controllori sugli autobus... 
Appartengono ad italiani le misteriose ville solitarie che si stagliano sopra le montagne dei pomodori. Sono sicuramente d'italiani i finti negozi all'americana al centro del nulla, tutti con il ritratto di Padre Pio. 

È italiano anche il lupo umano affamato che alle quattroetrenta di mattina si agita per la stazione di Foggia. Gira come un gabbiano, in lenti cerchi concentrici, attorno al mio zaino, cercando di restarmi sempre alle spalle. Sembra che abbia la lingua di fuori dal desiderio. Sposto lentamente lo zaino e lui fa un giro e un altro giro ancora… per oltre due ore, finché non trova qualche altra vittima e sparisce.  
Italiano anche lo spazzino tristissimo che pulisce la stazione e con rabbiosa violenza prende a colpi di scopa un cane randagio che dorme. 

 

Stazione di Foggia all'alba, agosto 1999

Ma gli altri, il ragazzo nero, alto, vestito d'arancione con la gamba lesa… romeni sdentati, non più giovani, che cullano boccioni di vino color urina. 

Sono notti di paura e all'alba i sopravvissuti si preparano a versare ancora sangue e sudore. Vita misteriosa che fiorisce nello slargo d'asfalto sospeso tra i pomodori, un supermercato e il nulla, accanto ai bidoni della spazzatura, dove le ragazzine italiane di notte vanno a caccia di forestieri.  

Alla stazione, un tassista fiuta le nostre particolari condizioni e ci chiede settantamila lire… per fortuna scopriamo che c'è un autobus che si ferma proprio vicino al campo. Vicino… oltre un chilometro, sotto il sole, Reska trascina il suo apparecchio che le taglia la gamba (quasi un anno dopo, scopriremo che l'apparecchio è stato fatto in maniera completamente errata). 

Il campo in cui è rinchiuso Lulzim era, un tempo, un aeroporto militare. Ora è in disuso. È immenso come è immensa e vuota la Puglia. Roulotte su roulotte in un'unica lunghissima fila, da cielo a cielo. Pochi giorni prima, aveva ospitato gli albanesi, adesso ospita i Rom. Ma, mi spiegano gentili i carabinieri all'ingresso, i primi erano profughi; questi invece sono immigrati clandestini. Nel campo è rimasta ancora una famiglia albanese, una famiglia normale, sembrano francesi in vacanza. 

È la prima volta che vedo tanti Rom assieme, un mondo intero di Rom. E sono sopraffatto dal numero dei bambini. Bambini curati, sani quanto si può, per qualche miracolo anche lavati. Vorrebbero essere tutti fotografati insieme, anche se non potranno mai vedersi in quelle foto. Bambini piccoli attaccati ai  seni nudi che li nutrono, bambini tra i braccialettei delle loro madri, bambini che aspettano in quelle pance grosse sotto le lunghe vesti. 
 

Tutti compagni di scafo... 

Nel campo c'è anche un ragazzo troppo bianco per essere Rom, che sembra forse avere una decina d'anni. È terribilmente triste; si tratta di un ragazzo albanese, che ha ben quattordici anni, ha perso tutta la famiglia: gioca lento e riservato con i bambini Rom. 

E attorno al mondo dei bambini, alte palizzate perché la miseria non si riversi fuori, perché non contamini la miseria dei pomodori. 

Nessuno sa chi gestisce il campo, che vive di vita propria. Il cibo arriva misteriosamente, arrivano bravi carabinieri e crocerossini bugiardi forse per la disperazione, molto meno simpatici dei militari. Nessuno sa che cosa succederà a tutta questa gente, qualcuno riesce anche a scappare attraverso i campi di pomodori. 

Passa una settimana. Ritorniamo e questa volta chiedo un passaggio, per non stroncare Reska con un'altra camminata. Ci caricano due albanesi con i volti di un'antica ferocia, su una macchina sporca. Chiedono a Reska da dove viene, lei risponde, dal Kosovo, allora le parlano in albanese, ma il dialetto è diverso, lei farfuglia e io sento tutta la paurosa tensione, finché non ci lasciano davanti al campo. Rifiutano il contributo che offro per la benzina e dicono in italiano a Reska, "ricordati, la lingua non si dimentica mai, nemmeno dopo cinquant'anni!" 

Un poliziotto dell'Ufficio Stranieri con la camicia a fiori, barba, accento napoletano e bel sorriso annuncia che è agosto, i suoi colleghi sono tutti in ferie e che nessuno gli ha detto ancora cosa deve fare. Allora di testa sua decide di intervistare i profughi e di concedere loro permessi provvisori, almeno in modo da poter chiudere il campo. 

Con una grande, vecchissima macchina da scrivere batte con due dita quello che l'interprete albanese gli dice dicono i Rom sulle atrocità subite per mano albanese. 

Chiede e chiede e dalla capitale arriva finalmente la risposta: il poliziotto senza nome dell'Ufficio Stranieri di Foggia è autorizzato a scrivere a mano i resoconti delle interviste per accelerare i tempi. 

Propone ai profughi un permesso di soggiorno in base alla Convenzione di Dublino; l'interprete albanese accenna una traduzione; e centinaia di Rom, che non hanno la minima idea di cosa sia una Convenzione o dove si trovi Dublino, si fanno timbrare quegli enigmatici fogli. Poi escono dal campo, verso l'ignoto. 
 
 








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