Il Vaticano benedice l'Impero
nona parte
 

di Miguel Martinez




Questo è il nono e ultimo di una serie di articoli sulla svolta filoamericana del Vaticano. In cui si sondano le basi sociali e teologiche, la manovre dietro le quinte, i precedenti… se il discorso si fa complesso e lungo, portate pazienza.

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Nell'ottobre del 1911, l'Italia invase la Libia. Fu l'inizio di una guerra atroce, che sarebbe durata ben 21 anni, per poi venire felicemente cancellata dalla memoria ufficiale.

"Nella fase finale, gli arabi furono allontanati dai pozzi e cacciati nel deserto, dove l'aviazione italiana ne fece strage. Per anni, si trovarono i loro cadaveri mummificati lungo le piste che conducono in Egitto. Secondo cifre ufficiali, nel periodo 1928-31 la popolazione araba diminuì del 37%. Dei sopravvissuti, quasi la metà era rinchiusa nei campi di concentramento"
(Sven Lindqvist, Sei morto! Il secolo delle bombe, Milano, Ponte alla Grazie, 2001, p. 115).

bleriot guerra di libia bombardamenti

Il 1° novembre del 1911, gli italiani in Libia compirono il primo bombardamento aereo della storia

Superbo con i deboli, umile con i forti, vediamo Gianfranco Fini recarsi in penitenza in Israele, ma suggerire che la Libia la smetta con richieste di scuse.

Anzi, il 4 ottobre del 2004, Fini ha compiuto un gesto profondamente teopolitico, arruolando San Francesco contemporaneamente nell'esercito imperiale e nell'economia liberista. Il santo

 "sceglie la povertà ma continua ad ammirare i beni terreni, e da vero operatore di pace considera la pace non un fine ma un mezzo a servizio del bene comune".
Fini ha poi sottolineato che San Francesco "non condannò mai l'uso delle armi per legittima difesa", mentre la regola francescana "proibì l'aggressione armata." Siccome ho letto Orwell, ho capito subito che non si trattava, come potrebbe sembrare, di un'apologia della resistenza irachena contro l'invasione statunitense. L'autodifesa è quella degli aggressori, l'aggressione è quella degli aggrediti.

San Francesco doveva somigliare al Cardinale Camillo Ruini:

"non istigò mai alla rivolta sociale né aizzò l'invidia dei deboli contro i potenti, né predicò la lotta di classe, tenendo con i potenti un atteggiamento di sano realismo".
Siccome ci manca il "sano realismo", torniamo alla guerra di Libia, e al motivo per cui ne stiamo parlando.

La guerra di Libia segna una svolta simbolica. Per mezzo secolo, l'Italia era stata divisa tra clericali e anticlericali; e in nome della libertà del Papa, considerato prigioniero tra le mura di Roma, i cattolici convinti avevano diffidato, in varia misura, dello Stato. Siamo in Italia, per cui i compromessi reali furono innumerevoli; ma proprio perché siamo in Italia, i muri simbolici erano rigorosi.

La guerra libica segna l'ingresso in politica di una nuova forza, i nazionalisti. Una fusione dello stucchevole e retorico nazionalismo che aveva caratterizzato gli anticlericali, con idee clericali sulla sacralità della proprietà privata. A coagulare il peggio di entrambi gli schieramenti, la rivista La Rassegna Nazionale, fondata - tra l'altro - dal famigerato generale Fiorenzo Bava Beccaris, autore del massacro di Milano. Tra l'altro, Bava Beccaris a suo tempo aveva anche colpito numerose organizzazioni cattoliche, e fatto arrestare don Davide Albertario, grande sostenitore del potere temporale del Papa.


fiorenzo bava beccaris
Il generale Fiorenzo Bava Beccaris


I nazionalisti hanno una grande responsabilità in questa prima guerra contro i selvaggi. Che poi divenne una guerra contro quelli che Ciampi, novant'anni dopo, chiama ancora i "paesi civili", quando dalla Libia si passò alla carneficina della Grande Guerra, con i suoi dieci milioni di morti e venti milioni di ciechi, di storpi, di pazzi urlanti o chiusi per sempre nel mutismo. Senza dimenticare come l'orrore avrebbe chiamato orrore, in un ciclo devastante che è durato fino al 1945. Per noi, perché l'orrore che noi abbiamo scacciato, siamo tornati a riversarlo sui selvaggi.



Arthur Stadler, 1927, commemora la Prima guerra mondiale


Clericali e anticlericali, che si combattevano da mezzo secolo, si sono quindi riuniti nel 1911 per rubare e uccidere; non molto diversamente dal fronte composito che oggi unisce i militanti di Comunione e Liberazione e i radicali, in nome della Guerra infinita.

La guerra libica fu condotta dallo Stato laico che era stato vituperato per decenni come massonico e anticattolico. Eppure divenne subito una crociata della "civiltà cristiana". Molti vescovi indissero la benedizione tempore belli, auspicando successo alla spedizione; e la battaglia di Lepanto venne commemorata con una grande cerimonia, cui partecipò anche l'Ordine di Malta con una nave ospedaliera.

È facile cogliere i paralleli con i nostri tempi. Con la creazione del "fronte rosso-azzurro" che unisce destra e sinistra in quello che Costanzo Preve chiama il "Partito Unico del Politicamente Corretto", d'accordo su capitalismo, occidentalismo, sistema bipolare. Il vero scandalo, come dice un mio amico, non è che in questo paese tre reti su sei appartengano a una sola persona, ma che sei reti su sei abbiano sostenuto l'invasione dell'Afghanistan.

Come nel 1911, nel 1999 i cappellani militari - certamente non particolarmente di sinistra - hanno benedetto la prima guerra postbellica dell'Italia, condotta dal primo governo di "sinistra" d'Italia, la guerra del Kosovo. Mentre la guerra imperiale diventa lo stato permanente dell'umanità, e c'è che sogna di estenderla nello spazio, vale la pena di leggere le parole dell'Ordinariato Militare, che certamente sarebbero state apprezzate da Orwell:

"L'immagine evangelica che meglio caratterizza il mondo militare è desunta dalle Beatitudini: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio". I militari cristiani devono formare il loro cuore affinché diventi "fiume di pace" che li porti a offrire anche la loro stessa vita.
Non mi ritengo un pacifista; non credo che la lotta armata sia sempre da condannare; e non credo nemmeno che fare la guerra sia il modo peggiore per servire il sistema. Quello che è profondamente ributtante è però la falsificazione radicale, la menzogna eretta a virtù.

cappellano militare


Lontano dall'ipocrisia italica, il cappellano americano prega perchè le "teste coperte di stracci" - gli arabi - si inginocchino davanti a Gesù.


Il clero è geniale a volte nel rendere incomprensibile e quindi digeribile l'osceno. Sullo stesso sito dell'Ordinariato leggiamo:

"L'Ordinariato Militare non è più, come in passato un "servizio di Chiesa" (sacerdoti che assicurano un'assistenza religiosa), ma una "Chiesa di servizio", una chiesa che si mette a completa disposizione di tutti i suo fedeli."
In parole laiche, non si tratta più della Chiesa che è presente anche nei peggiori posti del mondo, per assicurare i sacramenti. No, si tratta di una Chiesa che si mette al servizio della funzione militare:
"La Chiesa ha perciò il compito di educare questi uomini alla virtù della fortezza aiutandoli a coniugare la forza (caratteristica del militare) con la giustizia e la prudenza."

Ovviamente c'è una differenza importante: nel 1911, l'Italia, per quanto povera, era comunque relativamente indipendente. I suoi peccati li ha commessi, insomma, in proprio. Oggi l'Italia è solo la provincia di un impero. Per questo, si deve accontentare della benedizione dell'Ordinariato Militare, mentre Bush ottiene direttamente la somma benedizione.

Le guerre rimescolano gli schieramenti, e ne creano di nuovi.

Al crimine assoluto della Prima guerra mondiale hanno partecipato massoni e cattolici, anarchici e reazionari, futuristi e conservatori, come oggi ai crimini dell'Impero partecipano, fianco a fianco, l'editorialista dell'Avvenire e il direttore del Foglio.

Mentre qualche cattolico ebbe il coraggio di opporsi al delitto che si stava preparando. Tra questi, merita di essere segnalato Domenico Giuliotti, nato a Verrazzano nel Chianti, fondatore di una rivista pittorescamente reazionaria, La Torre, dove sognava a ruota libera di cavalieri e del "trionfo finale della Chiesa". Se mai il suo mondo di fantasia avesse potuto avverarsi, sarebbe stato un incubo. Ma mentre tanti che fantasticavano mondi migliori hanno scelto nella realtà di commettere il male, Giuliotti ha fatto il contrario.

Quando scoppiò la Grande Guerra, osannata dalle orde nazionaliste, benedetta da schiere innumerevoli di cappellani militari, questo poeta scrisse a un amico

"E' necessario che tu sappia […] che a Cristo, Verità massima, eterna, immutabile, tutto subordino. Ecco perché indicibilmente mi rivoltano i patriottici furori uterini dei sedicenti cristiani". (Donatella Zavelle de Louvigny, "Domenico Giuliotti", La tradizione cattolica, gennaio-marzo 2004).
I "sedicenti cristiani" altro non erano che i cristianisti dei loro tempi.

Ma è una scelta rara, anche ai nostri tempi. Da laico, devo riconoscere che una fede forte, che sa porsi al di sopra dell'interesse politico, può essere migliore di una fede che si fa strumento di dominio.

Nel 1887, il deputato repubblicano Giovanni Bovio, parlando alla Camera, aveva previsto tutto quello che stiamo raccontando adesso. Aveva esordito parlando con rispetto del Vaticano; eppure questo saggio anticlericale concluse con parole fortissime, che violarono certamente ogni regola del politically correct di allora:

"La conciliazione sarebbe acqua stagnante, un patto di mutua mediocrità tra lo Stato e la Chiesa, un papa mezzo principe, uno Stato mezzo cattolico, in un terreno comune, fungheggiante di mezze istituzioni, mezzi uomini e mezze religioni".
(Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione a Giovanni XXIII, Torino, Einaudi, 1965).




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