Per agevolare la lettura, questa storia della scuola italiana è stato diviso in venticinque parti.
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LA SCUOLA NELL'ITALIA PREUNITARIA FINO AL 1814 (caduta di Napoleone)

In Italia il clima politico dei vari Stati era tale da impedire l'emergere di opinioni radicali; chiunque lo tentasse doveva vedersela oltre che con il sovrano anche con la curia e le cose non finivano mai bene. I sostenitori di riforme che tra l'altro, togliessero le scuole alla Chiesa, come Alberto Radicati e Pietro Giannone, pagarono con l'esilio e con la morte in prigione (anche con la fattiva complicità di sovrani illuminati). Tali ultimi avvertirono la necessità di togliere la scuola al clero, analogamente che nel resto d'Europa, solo perché nelle scuole, unicamente gestite dai vari ordini religiosi, si formava la futura classe dirigente più protesa all'ortodossia religiosa che alla lealtà verso il principe. Si era capito insomma che il clero aveva come riferimento lo Stato della Chiesa più che lo Stato dove operava.

Le prime riforme, ma a livello di Università e Scuole Superiori, si ebbero nello Regno di Sardegna (1729); seguì il Regno di Napoli (Due Sicilie), subito dopo la cacciata dei Gesuiti (1767) e prima nel periodo di dominio austriaco quindi in quello di  Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, che, oltre all'ammodernamento dell'Università, iniziò a creare un limitato numero di scuole elementari pubbliche ed a sottrarre la scuola popolare alla curia; il Ducato di Parma, sotto l'influenza di Luisa Elisabetta, figlia del Re di Francia Luigi XV, fece le cose migliori: si realizzò un minimo di tessuto di scuole pubbliche alla diretta dipendenza dello Stato, l'insegnamento privato fu vietato, i libri di testo passarono al controllo dell'autorità civile, anche coloro che ambivano di fare i sacerdoti dovevano formarsi in scuole pubbliche, anche qui senza mai avere spirito antireligioso; in Lombardia gli Asburgo si muovevano sulla stessa strada: abolirono l'Inquisizione e soppressero la censura ecclesiastica sui libri, crearono un tessuto di scuole elementari gratuite che i comuni avevano l'obbligo di gestire, a Milano istituirono una scuola per la preparazione dei futuri maestri; il Granducato di Toscana si mise alla testa dei movimenti riformatori con la sottrazione della scuola alla curia, il controllo dell'intero sistema educativo, la creazione di scuole elementari pubbliche e gratuite, l'unificazione di metodi e programmi nelle scuole medie, istituendo un sistema di concorsi pubblici per la selezione degli insegnanti. Lo Stato Pontificio restava completamente privo di un sistema educativo (l'educazione popolare è assolutamente occasionale e del tutto marginale) e resterà in questa situazione fino al periodo della Restaurazione.  Le caratteristiche di maggior rilievo della concezione della scuola da parte della Chiesa (e non solo nello Stato Pontificio ma in tutta Italia) possono essere riassunte come di seguito: 1) indottrinamento catechistico del popolo ed espansione nelle scuole della dottrina cristiana; 2) formazione dei ceti dirigenti con l'uso strumentale della cultura classica e della scienza antica e moderna.
 

Più in generale vi è da osservare che, fino alla fine del Settecento, la scuola in Italia per quei pochi che ne usufruivano, fu essenzialmente classica e i precedenti tentativi di istituire scuole pratiche prima di questa epoca sono sporadici ed hanno poco seguito. La necessità dell’insegnamento tecnico viene propugnata dal pensiero illuminista, sotto la spinta dell'incipiente industrializzazione. L’insegnamento tecnico ricevette in Italia un notevole impulso dalla dominazione napoleonica, ma dopo la scomparsa di Napoleone si affermarono la Germania e l’Austria dove l’istituzione Real-schulen fece fiorire scuole tecniche e specializzate.

Tutte queste iniziative, pur se rappresentano l'inizio del processo che porterà alla scuola pubblica, sono ancora marginali e restano fortemente controllate dal potere politico.  Servirà il trauma della Rivoluzione Francese per spingere oltre i processi innescati, anche se, occorre sottolineare ancora, le novità più profonde che essa comportò non sono certo in una qualche riforma, così effimera da essere immediatamente cancellata dalla Restaurazione postnapoleonica, quanto nelle idee che si erano fatte strada: la scuola non è più neppure pensata come affare privato di un  precettore ma come affare d'interesse per l'intero Stato che deve promuovere scuole popolari. E parlare di scuola popolare implica il popolo che viene riconosciuto come compartecipe della crescita economica di un Paese. La borghesia che sta prendendo il potere sottraendolo alla nobiltà ed al clero si serve all'inizio di questo ormai quarto stato. Ma, da un certo momento, sancisce una netta separazione con il popolo per evitare facili illusioni di emancipazione sociale (il quarto stato è per la borghesia ciò che il terzo stato era per nobiltà e clero). L'alibi è proprio quella libertà sbandierata nel periodo rivoluzionario; essa ora è intesa come non obbligatorietà e non gratuità, e viene invocata proprio perché la borghesia non intende sobbarcarsi la spesa enorme di una istruzione pubblica generalizzata. Sarà ancora un liberale francese della Restaurazione, Adolphe Thiers, che sintetizzerà il tutto nella frase [1]:

sostengo che l'insegnamento primario non deve essere alla portata di tutti: vorrei dire che l'istruzione è, a mio parere, un principio di agiatezza e che l'agiatezza non è concessa a tutti.

In ogni caso, anche per prevenire eventuali moti di protesta, gli stessi sovrani della Restaurazione cercheranno di costruire delle scuole popolari pubbliche. Dove si ebbe una diretta influenza napoleonica fu (1805 - 1814) nel Regno Italico  (nel suo momento di massima espansione, andava dalla Valsesia all'Istria e da Bolzano al fiume Tronto, con Milano capitale) e nel Regno di Napoli. 

Nel Regno Italico [3] 

all'istruzione elementare provvedevano i Comuni in forza dei propri statuti, e gli Ordini religiosi a seconda delle loro costituzioni o per obbligo imposto da particolari fondazioni pie.
Le norme legislative che regolavano le scuole primarie, erano le seguenti: le scuole elementari si dividevano in comunali e private, impartivano gli elementi del leggere e dello scrivere, l'aritmetica e la lingua italiana e latina, che si insegnava in quattro scuole:
de'primi rudimenti, d'umanità minore e maggiore, e di retorica. Le scuole si suddividevano in superiori e inferiori. Lo stipendio dei maestri inferiori non poteva eccedere le £.1500 annue, mentre quello degli altri poteva raggiungere 2000 lire, col diritto all'aumento del terzo sullo stipendio iniziale, ogni 12 anni. I locali e le altre spese per le scuole erano a carico dei Comuni, i quali avevano il dovere di sorvegliare su di esse per mezzo di incaricati speciali. Le scuole pubbliche gratuite potevano aprirsi con l'obbligo all'insegnante del certificato di moralità. I libri elementari erano determinati dal governo.
Fra le punizioni per gli alunni, si annoveravano: lo stare in ginocchio in mezzo alla scuola, la sospensione e l'espulsione, oltre alla registrazione del nome sul libro nero. Gli alunni si iscrivevano dai 6 ai 12 anni. Ogni scuola ammetteva da 40 a 50 alunni circa. Un ispettore visitava le scuole di un distretto e faceva rapporto alle autorità. La capacità dei maestri era giudicata dall'ispettore e dal reggente del liceo ginnasio, o università, del distretto. I maestri dovevano parlare in lingua italiana. La scuola era di 2 ore antimeridiane e 2 pomeridiane, il corso elementare di 2 anni. Nelle scuole dei Comuni minori lo stesso
maestro insegnava a due classi con orario diviso. Si faceva vacanza in tutte le domeniche, nelle altre feste di precetto, nel giorno di S. Caterina e in quello del santo protettore.

 Ma è inutile soffermarsi più di tanto sull'effimero (ma fecondo) periodo napoleonico, è più interessante passare a vedere cosa accade nelle scuole preunitarie dopo la Restaurazione per tentare di cogliere cosa resta dell'influenza rivoluzionaria e napoleonica.


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