A ottanta anni dalla morte di Lenin (1924-2004)

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve su Lenin è stato diviso in otto parti.

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3. Il rapporto controverso di Lenin con Marx. Ortodossia teorica, revisionismo pratico e falsa coscienza necessaria

Per affrontare in modo serio la questione cruciale del rapporto di Lenin con Marx bisogna prima di tutto staccarsi dalla leggenda edificante che vi è stata costruita sopra dalla dottrina ideologica del defunto comunismo storico novecentesco (1917-1991). Secondo questa leggenda edificante vi sarebbero stati prima i grandi marxisti rivoluzionari Marx e Engels, poi sarebbero venuti i perfidi revisionisti Bernstein e Kautsky, ed infine sarebbe venuto Lenin a restaurare la vera dottrina rivoluzionaria perduta, ricollegando il comunismo pratico del 1917 con il comunismo teorico del Manifesto di Marx ed Engels del 1848.

Lenin fu ovviamente un “revisionista” molto più grande di Bernstein e di Kautsky, perché “revisionò”, e cioè rinnovò radicalmente, l’originaria teoria di Marx e anche la sua sistemazione fatta da Engels. Tuttavia, questa revisione radicale fatta da Lenin venne presentata nella forma di una “restaurazione” dello spirito rivoluzionario originario nel frattempo perduto e corrotto. Ci si può allora porre la domanda legittima se questo rinnovamento radicale presentato nella forma di una restaurazione sia stato dovuto ad un “vincolo ideologico esterno”, perché il movimento marxista del tempo non avrebbe sopportato una revisione radicale presentata per quello che era, e cioè appunto una revisione radicale, oppure sia stato dovuto ad una forma di “falsa coscienza necessaria” di Lenin, per cui quest’ultimo era soggettivamente convinto di stare soltanto restaurando, mentre stava in realtà proponendo una revisione radicale delle tesi di Marx (e anche di Engels).

Che dire? In prima approssimazione, entrambe le cose. Kautsky aveva potuto far passare la sua egemonia teorica nella forma della fedeltà “ortodossa” a Marx e Engels. Come documenta bene Erich Matthyas, il kautskismo era diventato l’ideologia di legittimazione della pratica opportunistica della socialdemocrazia tedesca, così come più tardi, in un altro contesto storico e politico, lo divenne il togliattismo nel PCI di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer. Lenin era allora di fatto costretto a giocare con le regole imposte da altri. Nello stesso modo, più di mezzo secolo dopo, dovettero giocare con le regole della “sacralizzazione” di Marx, da tener fuori religiosamente da ogni “peccato” di revisione, sia Althusser (contrapposizione fra un giovane Marx, cattivo, ed un Marx maturo buono) sia Lukács (contrapposizione fra un Marx tutto perfetto e senza errori ed un Engels ammirabile e stimabile, ma con errori deterministici e meccanicistici).

In seconda approssimazione, però, credo che Lenin si ingannasse (in buona fede, e nello stesso tempo in falsa coscienza) sul tipo di riforma cui stava sottoponendo la teoria originale di Marx. In altri termini, stava costruendo una teoria originale, completamente nuova, mentre era convinto di stare solo restaurando la vera teoria marxiana originaria.

La mia è un’affermazione impegnativa. Per poterla argomentare con un minimo di serietà devo ora passare a discutere alcuni aspetti del pensiero di Lenin. Iniziamo, ovviamente, dalla sua teoria del partito politico.



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