Da Antonio Gramsci a Piero Fassino:

Note introduttive per farsi una ragione e capirci qualcosa in ciò che è successo nel comunismo italiano

V parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in tredici parti, più un'introduzione.

All'introduzione

Alla parte precedente

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5. Palmiro Togliatti e le scelte strategiche del periodo 1943-1948

Il periodo storico 1943-1948 segnò la vera e propria rifondazione del PCI, ed è dunque cruciale. Per ragioni di spazio mi limiterò a segnalare solo tre questioni fra le molte possibili: la questione della rifondazione antifascista, la questione delle presunte possibilità “rivoluzionarie” dell’epoca, ed infine la questione del cosiddetto “partito nuovo”. L’impostazione corretta di queste tre questioni è assolutamente basilare.

Il PCI fra il 1943 ed il 1948 fu rifondato sulla base dell’ideologia dell’antifascismo. Si tratta di un salto storico, perché il PCdI degli anni Venti era invece stato fondato sulla base dell’ideologia del classismo. Non si tratta assolutamente della stessa cosa, in quanto le due impostazioni non si sovrappongono. Per poterlo fare, bisogna sostenere che il fascismo è solo una manifestazione della strategia politica del grande capitale industriale e soprattutto finanziario. Ma non è così, ed è ora di cominciare a dirlo. Il fascismo è stato soprattutto una reazione politica dei nuovi ceti medi minacciati dall’ascesa del proletariato e dall’autoreferenzialità della grande borghesia. In ogni caso il classismo è, come dice la parola stessa, “classista”, mentre l’antifascismo è per sua natura interclassista. Non dico che non sia un bene o non possa essere un bene. Personalmente, sono per un interclassismo rivoluzionario e non per un classismo puro. Basta saperlo.

A proposito delle possibilità rivoluzionarie “socialiste” in Italia fra il 1943 ed il 1948 esse a mio parere erano di fatto inesistenti dati i rapporti di forza non solo militari ma anche sociali. Togliatti ha dunque fatto benissimo ad evitare ogni linea politica avventuristica, e bisogna per questo ringraziarlo e non accusarlo. Chi lo accusa di aver lasciato passare il “momento buono” è un analfabeta geopolitico. Togliatti ha evitato agli italiani una sanguinosa guerra civile sicuramente persa in partenza. E’ giunto il momento di dirlo in modo chiaro e forte, e di smetterla con la tolleranza verso i borbottii dell’estremismo verbale irresponsabile.

A proposito del cosiddetto “partito nuovo” il discorso è invece più complesso. Il partito è solo uno strumento, è un mezzo e non certamente un fine in sé. Quando Lenin fondò il partito bolscevico nel 1903 (modello di ogni posteriore partito comunista), lo fondò sulla base di una ipotesi storica, e cioè che la formazione economico-sociale zarista russa non fosse al 100% “capitalistica” (come la Germania della socialdemocrazia di allora), ma richiedesse una specifica politica di alleanze fra operai, contadini, intellettuali e minoranze nazionali oppresse, per cui solo un partito di tipo quasi militarizzato avrebbe potuto gestire questa situazione complessa. In sintesi: il partito di tipo socialdemocratico tedesco è legato all’idea di modo di produzione, il partito di tipo bolscevico russo è legato all’idea di formazione economico-sociale. Alla luce di questa consapevolezza, appaiono particolarmente grotteschi coloro che si dicono “leninisti” sulla base di un operaismo di fabbrica o di un classismo puro.

Il “partito nuovo” di Togliatti è anch’esso un partito di gestione politica di alleanze di classe. E fin qui tutto bene. I problemi cominciano dalla sua matrice ideologica, che era lo storicismo, e cioè l’idea che il tempo lavorasse inesorabilmente per la vittoria finale del socialismo. In linguaggio epistemologico, diremmo che l’ipotesi scientifica di fondo che sorreggeva l’intera costruzione storico-politica era sbagliata. E quando c’è un nodo che non si può sciogliere, prima o poi questo nodo viene al pettine. Il pettine giunse fra il 1989 ed il 1991.



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