Per un bilancio categoriale marxista della storia del comunismo storico novecentesco

(1917-1991)

V parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dieci parti.

Alla parte successiva




15. Due parole ancora sul corrente paragone fra fascismo e comunismo come due facce gemelle del totalitarismo novecentesco. Ho letto recentemente un saggio di Alain de Benoist che ne ribadisce i termini. Conosco de Benoist e lo stimo molto come intellettuale originale e come avversario del politicamente corretto. Ma su questo punto, ed è curioso, sbaglia e finisce proprio con il concordare con il Massimo Luogo Comune (MLC) del pensiero unico liberale, lo stesso che poi afferma di combattere nel rimanente 95% della sua polemica intellettuale. Contro questo Massimo Luogo Comune (MLC) in genere le anime pie di sinistra sostengono che il paragone è offensivo ed improponibile, perché il comunismo faceva cattiverie spinto da un'intenzione buona ed universalistica (l'eguaglianza, eccetera), mentre i fascisti facevano cattiverie spinti da un'intenzione particolaristica (il nazionalismo, il razzismo, il colonialismo, eccetera). A mio avviso, si tratta di sciocchezze da intellettuali. Per coloro cui sparano una pallottola nella nuca o cui fanno trascinare tronchi d'albero in pieno inverno è del tutto irrilevante che la loro punizione venga giustificata in modo universalistico o particolaristico.

Il paragone è improponibile lo stesso, ma per un'altra ragione. Se infatti vogliamo ad ogni costo fare il conto delle malefatte storiche, allora i compari non sono due, ma tre: il fascismo, il comunismo ed il normale capitalismo liberale. L'uno ha fatto Auschwitz, l'altro le fosse di Katyn, ma il terzo ha fatto Dresda, Hiroshima e Nagasaki, più il macello della prima guerra mondiale ed i macelli colonialistici protratti. Trovo normale che Barbara Spinelli non capisca questo. Ma che non lo capisca de Benoist è invece curioso, e dimostra fino a che punto il vecchio contenzioso ideologico pregresso possa offuscare la chiarezza interpretativa.

16. In definitiva, per chiudere su questo punto, il pensiero borghese-capitalistico ha problemi giganteschi e non risolti di comprensione del fenomeno comunista. Dal momento che lo considera globalmente illegittimo, deve andare a ficcarsi in labirinti ideologici sulla natura umana, sul demoniaco, sull'utopia totalitaria, sulla divinizzazione e sull'eternizzazione del mercato, eccetera. Oggi, però, viviamo la faticosa e tragicomica transizione da un capitalismo proto-borghese ad un capitalismo integralmente post-borghese e post-proletario. Questo non potrà che avere ripercussioni anche sulla nuova delegittimazione ideologica del comunismo. È difficile prevederne gli scenari futuri. Per ora è possibile dire che la polemica ideologica contro il comunismo è passata dai vecchi intellettuali liberali ai nuovi rinnegati di origine sessantottina, che hanno metabolizzato il loro precedente "comunismo" anarcoide e pertanto possono legittimare meglio i bombardamenti umanitari, le apologie della società civile sempre più mercantilizzata e disegualitaria, eccetera. Ma siamo chiaramente in un periodo di transizione, e non è possibile dire ancora niente di sicuro.

17. la seconda interpretazione del comunismo storico novecentesco è la sua stessa auto-interpretazione, più esattamente la sua autointerpretazione ideologica giustificativa. Il suo maggiore teorico resta sempre Stalin. Per chiarezza, dirò la mia opinione sulla questione di Stalin. Se lo valutiamo dal punto di vista del marxismo e del comunismo, Stalin è stato una disgrazia, perché ha messo la locomotiva su binari tali da portare all'inevitabile deragliamento. Non si può fondare strutturalmente la transizione al comunismo sul dispotismo politico e sull'uniformità ideologica poliziescamente garantita, e poi pensare che questa transizione sia bene avviata. Se invece valutiamo Stalin dal punto di vista della storia universale (come Alessandro Magno, Pietro il Grande e Napoleone), allora si è trattato sicuramente del "comunista" più eminente del Novecento. Il lettore scelga la versione che preferisce. La sola cosa che non può fare è sceglierle tutte e due. Per chiarezza, desidero dire subito su Stalin almeno tre cose.

18. In primo luogo, non penso che abbia senso giudicare Stalin con il metro della sua maggiore o minore ortodossia verso i classici del marxismo. È vero che Marx parlava della rivoluzione in termini dell'attività di un lavoratore collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo manovale, nei punti alti dello sviluppo delle forze produttive e del general intellect. Ma questo la storia lo ha smentito, perché non si è verificato. È vero che Lenin parlava solo di rottura dell'anello debole della catena mondiale imperialistica, e non invece di costruzione del socialismo in un solo paese. Ma questo la storia lo ha smentito, perché non si è verificato. Dunque Stalin ha dovuto solo fare di necessità virtù, e non ha senso agitargli in faccia il Capitale di Marx e Stato e Rivoluzione di Lenin. Dopo il 1924 Stalin comprese che doveva fare da solo, e si mise in questa ottica. Scrisse nel 1924 e nel 1926 due trattati di "leninismo", che erano in realtà stalinismo puro. Ma che altro avrebbe mai potuto fare?

19. In secondo luogo, sono contrario a tutti i discorsi sullo Stalin estraneo all'umanesimo europeo ed incarnazione della crudeltà mongolica. Ho persino letto di uno Stalin figlio della tradizionale crudeltà caucasica. Insomma, uno Stalin extra-comunitario. Io conosco un po' la Georgia e la cultura georgiana. Assomiglia un po' alla cultura ortodossa greca ed armena, con la differenza che greci ed armeni hanno avuto anche una borghesia commerciale cosmopolita e poliglotta, mentre i georgiani sono sempre un po' rimasti montanari e feudali. Ma spiegare la "crudeltà" di Stalin in questo modo è dilettantismo puro. La cosiddetta "crudeltà" di Stalin, marxisticamente interpretata, è solo il risvolto soggettivo della costruzione per via politica di una nuova ed inedita classe sfruttatrice di origine in buona parte proletaria ed operaia, che doveva fare fuori milioni di borghesi e di piccolo-borghesi per mettersi al loro posto e diventare la classe gestionale di stato della nomenklatura. Stalin ha strutturalmente promosso questo processo, e nello stesso tempo ha cercato di impedirlo con epurazioni continue, finché non lo hanno lasciato schiattare chiuso nella sua camera nel 1953 e non ne hanno detronizzato anche la mummia nel 1956. Questa è la sola lettura "materialistica" possibile della cosiddetta cattiveria di Stalin.

Alla parte successiva




Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca