Dalla Rivoluzione alla Disobbedienza

Note critiche sul nuovo anarchismo post-moderno della classe media globale

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dodici parti.

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7. L'idea moderna di rivoluzione comporta due aspetti. Un aspetto è teorico e filosofico, e concerne le varie teorie della rivoluzione (cfr. K. Lenk, Teorie della rivoluzione, Laterza, Bari 1976). Il secondo aspetto è sociologico, e comporta l'analisi delle classi e dei gruppi sociali coinvolti in una rivoluzione (cfr. S. Scamuzzi, L'analisi sociologica delle rivoluzioni, Loescher, Torino 1985). In genere i filosofi si occupano solo dell'idea di rivoluzione, gli economisti delle crisi economiche di sistema, i sociologi dei gruppi sociali, i giuristi delle violazioni di legalità costituzionale, gli psicologi del disorientamento, eccetera. Se Marx avesse dovuto partecipare ad un concorso per una cattedra universitaria, è matematicamente sicuro che il marxismo non sarebbe mai nato, perché lo avrebbero spietatamente bocciato non appena avesse infranto lo steccato disciplinare.

8. La teoria della rivoluzione di Marx, in estrema sintesi, comporta due aspetti interconnessi, l'uno oggettivo e l'uno soggettivo. L'aspetto oggettivo è la crisi complessiva del modo di produzione, attraverso la contraddizione dialettica fra sviluppo delle forze produttive e natura dei rapporti sociali di produzione. l'aspetto soggettivo è la formazione del soggetto rivoluzionario, che dopo il 1858 non è assolutamente la classe operaia e proletaria, ma è il lavoratore collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo manovale, alleato con le potenze mentali della produzione capitalistica, da Marx connotate con la paroletta inglese di general intellect.

9. La teoria della rivoluzione in Lenin, a mio avviso, non è solo un'applicazione specifica in ambiente russo della teoria originaria di Marx, ma è una teoria qualitativamente diversa. Essa infatti non ha come terreno il modo di produzione, ma la formazione economico-sociale. Si tratta di presupposti in via di principio diversi. Il modo di produzione implica una bipolarità strutturale, quella di Borghesia e Proletariato. In questo quadro, il soggetto si costituisce per "ondate di proletarizzazione", e lo stesso lavoratore collettivo cooperativo associato può essere concepito in termini di progressiva proletarizzazione dall'alto (medi e piccoli borghesi, artigiani, eccetera) sia dal basso (contadini poveri, eccetera). La formazione economico-sociale, invece, non comporta proletarizzazione, ma un processo politico di alleanze di classe.

Su questo tema il cosiddetto "marxista medio" è generalmente in preda alle più pittoresche confusioni terminologiche e soprattutto concettuali, con conseguenze tragicomiche sul piano della militanza politica.

10. Una piccola parentesi. Il nuovo anarchismo post-moderno della classe media globale, di cui Toni Negri è l'indiscusso Bakunin, non sa ovviamente neanche per scherzo che cos'è una formazione economico-sociale, con la conseguente necessità di costruire sul piano politico un'alleanza di classe, che non è mai "data" spontaneamente. Questo curioso "spontaneismo" riproduce infatti "spontaneamente" il processo capitalistico di addensamento sociologico di un "livello medio" dei redditi e dei consumi. La differenza fra il liberale normale e l'anarchico disobbediente è che il liberale è disposto a pagare per consumare, mentre l'anarchico disobbediente vorrebbe consumare senza pagare, e chiama questo comunismo.

11. Santa pazienza. Torniamo al nostro concetto serio di Rivoluzione. Come è noto, vi sono teorie diverse sulla nascita del capitalismo, da chi ha dato importanza ai processi nell'agricoltura (Maurice Dobb) a chi ha dato importanza al commercio internazionale (Paul Sweezy), da chi ha enfatizzato il ruolo degli ebrei (Werner Sombart) a chi invece ha insistito sull'ascesi calvinistica della predestinazione (Max Weber). Ma comunque sono sempre stati tutti d'accordo che le rivoluzioni borghesi sono state cose serissime, proprio perché strutturavano una forma alternativa di produzione sociale di beni e di servizi.

In definitiva, si trattava di Rivoluzione, non di semplice Disobbedienza.

12. La borghesia ed il capitalismo (concetti da tenere ben distinti, per carità, se no l'economicismo riduzionistico ammazzerà ogni capacità critica di distinzione fra Goethe e Berlusconi) hanno fatto almeno tre rivoluzioni serie. Si tratta della rivoluzione inglese del 1640, della rivoluzione francese del 1789 ed infine della prima rivoluzione industriale (1760-1820). I marxisti sono stati affascinati da queste rivoluzioni, al punto da restarne spesso ipnotizzati. Con questo termine intendo l'abitudine a pensare la rivoluzione socialista attraverso la stretta analogia storica con le precedenti rivoluzioni borghesi. Ora, non intendo affatto negare che l'analogia storica sia uno dei pochi strumenti che abbiamo per pensare il presente, che è sempre troppo "vicino" per poterlo distanziare criticamente, per cui dobbiamo necessariamente ricorrere al passato. Ma spesso l'analogia storica ha una funzione narcotizzante ed ipnotizzante. Ad esempio Trotzky vedeva se stesso come un giacobino rivoluzionario, e Stalin come un termidoriano. In questo modo, non si vedono mai di fatto gli elementi differenziali. E nella storia gli elementi differenziali e specifici sono il 90% del problema.

13. Le rivoluzioni operaie, proletarie, socialiste e comuniste sono indubbiamente cose serie. Ma per poterne adeguatamente "pensare la serietà" bisogna innanzitutto pensare l'elemento differenziale fra il soggetto sociale chiamato "borghesia" ed il soggetto sociale chiamato "classe operaia". La tradizione marxista in proposito non ha nulla in comune con Marx. Si tratta di uno stupido e rozzo storicismo economicistico, per cui prima la borghesia era capace di sviluppare le forze produttive, poi perde questa capacità e diventa parassitaria ed allora la classe operaia la sostituisce. In principio ci fu l'imprenditore capitalistico calvinista efficiente, poi arrivò Cecchi Gori. E questo sarebbe il "marxismo".

Idiozie. Vergognose idiozie. Per chiarirci leggermente le idee, richiamo un libro fondamentale di Bauman (cfr. Z. Bauman, Memorie di classe, Einaudi, Torino 1987). Attenzione, questo è un libro di serie A, non è un articolo di Micromega sui girotondi.

In breve, Bauman sostiene tre tesi, e riesce anche ad argomentarle. Primo, la classe operaia non ha costituito storicamente la propria identità differenziale guardando ad un futuro progressista (l'ideologia del progresso è borghese, e solo borghese), ma guardando indietro alla propria precedente identità comunitaria prevalentemente contadina ed artigiana. Secondo, questa identità comunitaria, che era comunque alternativa alla borghesia, è stata gradatamente abbandonata (in Inghilterra già negli anni Venti e Trenta dell'Ottocento) per quella che Baumann correttamente chiama "l'economicizzazione del conflitto", cioè per la lotta per una più equa spartizione delle merci prodotte capitalisticamente. Terzo, questa economicizzazione del conflitto può portare facilmente a forme di neocorporativismo salariale, di per sé non negative, ma certamente prive di qualunque possibilità di universalizzazione alternativa, cioè anticapitalistica e postcapitalistica.

A mio avviso qui Bauman coglie il centro della questione. Ma i marxisti pensano che Marx ed Engels abbiano già detto tutto, e sia sufficiente chiosarli all'infinito. Ma chi non capisce niente di quanto sta avvenendo è già predisposto a passare dalla Rivoluzione alla Disobbedienza. La disobbedienza infatti è facile. Basta disobbedire. Ma qui il discorso appunto non solo non finisce, ma comincia soltanto. Prestiamo attenzione.

14. Più tardi criticherò l'ideologia francese della differenza, e cioè Deleuze e Foucault. ma colgo l'occasione per dire subito solennemente che mentre il loro uso politico alla Negri è demenziale, questi pensatori sono stati bravissimi. Io li stimo e continuo a stimarli. Fra le molte cose intelligenti che hanno detto, c'è anche il chiarimento del modo particolare con cui il capitalismo riesce a costruire la sua "obbedienza". Questo modo non assomiglia a quelli in uso nelle società precapitalistiche.

Nelle società precapitalistiche l'obbedienza era ottenuta con l'ostentazione crudele e terrificante della forza del potere militare e religioso. Ai contadini ribelli veniva tagliato in pezzi il corpo con tenaglie roventi. Gli schiavi ribelli erano appesi vivi alla croce, in modo che soffrissero le pene dell'inferno prima di morire. In modo molto intelligente Foucault spiega che questo avveniva non perché il potere fosse forte, ma appunto perché era molto debole. Il potere era infatti esterno al processo di produzione agricolo ed artigianale, e doveva limitarsi a prelevare una parte di quanto veniva prodotto, e quindi doveva terrorizzare chiunque disobbedisse, perché si levasse dalla testa la tentazione di riprovarci. Ma nel capitalismo il potere entra dentro il processo di produzione, ed allora non deve più terrorizzare, ma deve invece "addomesticare" i corpi e le menti per adattarli alla divisione capitaliastica del lavoro. Quindi, basta ufficialmente con la tortura e con la pena di morte per squartamento. Sì alle prigioni, alla disciplina di fabbrica, alla manipolazione mediatica. Dal potere rigido si passa ad un potere flessibile.

Bravo Foucault. È proprio come dice lui. Ma allora bisogna capire cha al nuovo potere capitalistico non serve un io forte da sottomettere e da terrorizzare, ma un io debole e flessibile da manipolare. Dalla strategia di repressione delle rivoluzioni si passa ad una strategia di prevenzione di esse. Per prevenirle bisogna che l'io rivoluzionario diventi prima un io solo ribelle, e poi un io solo disobbediente. Le strategie del dominio cambiano, anche se questo resta del tutto incomprensibile ai Negri, agli Agnoletto e soprattutto ai Casarini.



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