Santini ecologisti
L'invenzione del "discorso" del Capo Seattle
Terza parte

 

di Sandra Busatta



Per agevolare la lettura, questo articolo di Sandra Busatta, tratto da Hako Magazine, è stato diviso in diverse parti.

Alla parte successiva

Alla bibliografia

Si veda anche l'articolo di Flavia Busatta, Sciamani di plastica: Indiani d'America e New Age




Ci sono parecchi problemi con questo discorso, scritto da un medico che era anche un letterato e un poeta, anche se non eccelso: intanto manca il diario da cui sarebbero stati tratti i frammenti, non ne esiste traccia, anche se lui sul letto di morte confermò di aver fatto note estese da cui aveva ricostruito il discorso (Rich 1970:45). Ricostruito, non citato solo un frammento come dichiarava nel 1887. Seattle, inoltre parlò nella sua lingua nativa, la variante duwamish del lushootseed (che comprende 17 varianti), dato che non conosceva l'inglese e non amava il gergo chinook e gli interpreti tradussero in gergo chinook e di qui in inglese. Il gergo chinook, che comprendeva) circa 500 parole, ma# che variava di periodo in periodo, aveva un nocciolo duro di vocaboli etimologicamente nootka, francesi, lower chinook, inglesi, e talvolta lushootseed con qualche parola algonchina entrata via il francese e una sintassi sempre più influenzata dall'inglese (Silverstein, 1996:129). Usato da commercianti e missionari non era adatto, come si può capire, per pronunciare alate orazioni. Anche se qualche autore sostiene che Smith conosceva il lushotseed, in realtà era arrivato da meno di un anno e certo non era in grado di prendere appunti da quella lingua. Non abbiamo traccia del discorso neppure nel giornale territoriale Columbian a Olympia, né nei ricordi e diari dei contemporanei presenti. Il governatore Stevens amava la letteratura e in particolare l'oratoria e nei suoi diari parla abbastanza in esteso di altri discorsi indiani, ma qui tace e così fa George Gibbs, uno dei suoi subordinati, che non solo teneva resoconti ufficiali per conto del governatore, ma un diario privato, che contiene una messe di informazioni sugli indiani del Puget Sound, con particolare riguardo al soprannaturale. Dato che il tema principale di questa versione del discorso non è la riverenza per la terra, in senso ecologista,

"ma la persistenza e l'immanenza degli spiriti tribali, anche dopo un cambiamento temporale che possa aver annichilito la gente che viveva nella regione da lungo tempo" (Furtwangler, 1997:36),
era difficile che ignorasse "l'esteso ed esplicito racconto di immanenza spirituale di un capo" (Furtwangler, 1997:53). In una poesia intitolata alla città, "Seattle'', il dr. Smith gioca sul "nomen/omen'', un nome che è un presagio di gloria, "come una volta fece il nome di Logan, che condusse l'avanguardia della lotta" (Furtwangler, 1997:40.) Ora la retorica indiana è un genere letterario Americano: Benjamin Franklin cominciò la sua attività di tipografo stampandoi discorsi dei capi pronunciati ai trattati -- e ne inventò anche qualcuno -- e Jefferson rese immortale proprio quello dello sfortunato capo mingo Logan, cui era stata vigliaccamente sterminata la famiglia e che termina "Chi è là a piangere Logan? Nessuno", un monumento al tema dell'Indiano che Scompare. Non è un caso che Jefferson lo paragoni a Demostene e Cicerone, due grandissimi oratori del partito perdente del momento. L'indiano, nella letteratura o a teatro, diventa così una sineddoche, il portavoce della natura, "un prezioso nobile artefatto -- una suggestiva reliquia dell'ultima voce vivente di un tempo passato" (Furtwangler, 1997:46). Quanto alla permanenza degli spiriti dei morti, è un tema molto caro al pre-Romanticismo e al Romanticismo anglosassone e in particolare a quegli esponenti Americani che sono Thoreau e Hawthorne, che il letteratoSmith conosceva certamente. È questo il periodo, inoltre, in cui il movimento nativista della Giovane America e del Partito Know Nothing dei Nativi Americani (cioè degli Americani di origine anglosassone contro gli immigrati tedeschi e irlandesi) riusciva a mandare alla presidenza Pierce, proprio quello a cui sarebbe indirizzata la fantomatica "lettera'' di Seattle. Gli Americani avevano ormai sepolto abbastanza generazioni da sentirne anch'essi la presenza, anche a Seattle. Smith, che faceva parte della vecchia élite, vedeva il suo potere svanire di fronte ai nuovi venuti, i populisti radicali giunti al potere di recente in città, mentre già si prospettavano le tensioni sociali degli anni 1890. Questo discorso, che rappresenta bene l'ideologia del Destino Manifesto vista da parte indiana, poteva anche rievocare i "vecchi'' pionieri, travolti dalla modernità inquieta dello sviluppo dell'Ovest. Anche la malinconia del discorso non è del tutto giustificata: Capo Seattle aveva di certo cose più concrete da contrattare, da buon capo mercante, che piangere sul mesto futuro e di certo doveva essere di buon umore, perché veniva nominato referente preferito dei bianchi, con tutto il prestigio e il potere che ciò comportava. Egli, infatti, faceva parte così dell'élite locale, gradito ospite alle feste e ai ricevimenti, come quando portò settecento persone al matrimonio di un maggiorente locale nel 1862, e inscenò un grandissimo spettacolo (Furwangler 1997:146). Quanto alla tesi di Bierwent (1998), che esistono cioè degli elementi tipicamente salish nel discorso, come una struttura in cinque punti e certi riferimenti ad avvenimenti concreti (i preparativi per il trattato) o certi temi come quello dei guerrieri con la faccia dipinta di nero, che sarebbero sfuggiti a Smith, questa tesi non sembra supportata logicamente. Non solo, dopo oltre trent'anni Smith, letterato e cultore di usi locali, doveva aver ben imparato la retorica indigena, ma era anche al corrente di fatti, come le ribellioni cui il discorso fa cenno in forma semi-profetica, perché ovviamente erano già avvenute e Seattle si era distinto per aver salvato molte vite Americane avvisando i coloni. Gli indiani, però, non sparirono, come prevedeva il discorso, che invece affondò nell'oblio (a parte una pubblicazione nella Storia di Seattle di F.J. Grant nel 1891) finché non venne ripreso nel 1931, quando C.B. Bagley lo ripubblicò nella Washington Historical Quarterly con qualche variazione e l'aggiunta di queste parole "Morti -- ho detto? Non c'è nessuna morte. Solo un cambio di mondi" (Bagley, 1931:255), che restò attaccata al testo e "può aver aperto la via a manipolazioni molto libere e volontarie del testo originale da parte di altri editori" (Kaiser, 1999:513). Nel 1932 apparve il libretto di J.M. Rich, Chief Seattle's Unanswered Challenge, che contiene ancora altre varianti e l'aggiunta di Bagley e fu ristampato parecchie volte, ma senza clamore. È negli anni sessanta e settanta che i tempi cambiano: nel 1969 il poeta e scrittore William Arrowsmith (la cosiddetta versione 2) pubblica il "Discorso di Capo Seattle'', che altera non tanto il contenuto, quanto le parole e le espressioni, secondo l'autore "modernizzandole'', "traducendo'' in inglese moderno la patina vittoriana di Smith. Appaiono altri due testi, tra cui la famigerata "lettera'' al presidente Pierce e che è virtualmente identica alla cosiddetta e più nota versione 3 (di Ted Perry) del 1972 e alla versione 4 (una Perry abbreviata) anonima dell'Expo '74 di Spokane, Washington State, delle parole del vecchio capo. L'origine di questo testo notissimo è questa: Arrowsmith lesse la sua versione a un raduno ecologista, il Giorno della Terra (Earth Day), e il suo collega all'Università del Texas, Ted Perry, gli chiese di poterla usare nella sceneggiatura di un documentario di una serie contro l'inquinamento che gli aveva commissionato nel 1969 o 1970 la chiesa battista Southern Baptist Convention. Del testo Perry usò solo il 10 % circa:
"Così scrissi un discorso che era un'invenzione letteraria. Suppongo che ci fossero parecchie frasi che erano parafrasi di frasi nella traduzione del prof. Arrowsmith ma il resto era mio e nel dare la sceneggiatura ai battisti ho sempre messo in chiaro che il lavoro era mio. E loro, naturalmente, sapevano che la sceneggiatura era originale; sicuramente non mi avrebbero pagato, come hanno invece fatto, per un discorso che era stato semplicemente ricopiato".
Perry fece l'errore, dice, di usare il nome di Seattle nel testo: "Nello scrivere un discorso inventato avrei dovuto usare un nome fittizio''. Comunque, quando vide il suo documentario, intitolato Home, trasmesso in TV nel 1972, scoprì che era stato omesso il suo nome:
"Ne fui più che sorpreso, mi arrabbiai. Così chiamai il produttore e lui mi disse che pensava che il testo poteva sembrare più autentico se non c'era l'attribuzione. Cancellai il mio contratto con la chiesa battista per un'altra sceneggiatura..." (lettera di Perry a Kaiser 1983, in Kaiser, 1999:520).
Il produttore cristianizzò ulteriormente il testo di Perry e lo trasforma in "lettera'' al presidente Pierce. Perry, che dopo essere passato per un falsario, e aver cercato inutilmente di protestare tra il 1972 e il 1992 che era lui il vero autore, si è ritirato in Vermont e praticamente rifiuta di tornare sull'argomento (dato anche il danno economico che ha ricevuto per mancanza del copyright), ha scritto la versione "che ha conquistato l'immaginazione di milioni di persone in molti paesi del mondo" (Kaiser, 1999:520) e che ha fatto dire a monsignor Bruce Kent, Cappellano Nazionale di Pax Christi, Società Unita per la Propagazione del Vangelo in Gran Bretagna: "Penso veramente che sia il quinto Vangelo, quasi ..." (Kaiser, 1999:521).



All'articolo successivo




Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca