Per un bilancio categoriale marxista della storia del comunismo storico novecentesco

(1917-1991)

IV parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dieci parti.

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11. A suo tempo, Engels scrisse un testo decisivo sul passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza. Oggi possiamo dire che si è trattato di una illusione positivistica in buona fede, anche se il termine "scienza" era declinato da Engels in due modi, quello della previsione scientifica (in senso deterministico e non probabilistico), e quello della direzione scientifica di un processo politico (nel senso della negazione di un automatismo spontaneistico e movimentistico), ma per la concezione borghese-capitalistica media il comunismo è utopico solo nel senso che è impossibile, in quanto la natura umana è fatta in modo da scoraggiare inesorabilmente qualunque progetto egualitario e solidaristico. Questo argomento pessimistico è stato poi rafforzato dalla teoria della cosiddetta "complessità", per cui anche ammettendo che il comunismo possa adattarsi ad una natura umana data, è comunque inapplicabile in una società complessa con decine di migliaia di figure professionali e di differenziali di conoscenza e di competenza. La teoria della "semplicità", per cui nel socialismo anche le cuoche potrebbero dirigere lo stato, dal momento che vi sarebbe piena trasparenza fra produzione e consumo, è del tutto inattendibile (al di là del prestigio di chi l'ha avanzata, cioè Lenin), perché si basa su di una concezione naturalistica dei bisogni umani dati, che effettivamente qualunque madre di famiglia previdente gestisce a livello di programmazione del bilancio familiare. In ogni caso, anziché prendere sul serio la questione della natura umana, lavorare veramente sull'ipotesi della sua compatibilità con il comunismo, i marxisti hanno preso la via folle che dice che la natura umana non esiste, aderendo così inconsapevolmente (?) ad una concezione nichilistica e manipolatoria della natura umana stessa.

12. Apro una parentesi personale per dire in breve che cosa penso della questione del rapporto fra comunismo ed utopia. Io sono un avversario cosciente della cosiddetta "utopia". E questo non certo per amore machiavellico del cosiddetto realismo politico, che considero l'ultimo rifugio delle canaglie in politologia. Per me la sola utopia per cui simpatizzo è quella di cui parla Rabelais a proposito di quella abbazia la cui regola è; "Fa ciò che vuoi". A lungo ho studiato con amore e cura il filosofo utopista tedesco Ernst Bloch, che fondava il comunismo proprio sull'utopia. Tuttora penso che in Bloch ci siano molte buone cose. Ma oggi mi convince molto di più l'approccio del francese Moreau, per cui l'utopia si è sviluppata dal Cinquecento in poi soprattutto come proiezione ideologica largamente inconsapevole dello stato assoluto, e della sua mania di regolamentazione ossessiva di ogni aspetto della vita quotidiana, dal modo di mangiare al modo di accoppiarsi. Il modello utopico è sempre quello di un convento liberalizzato, anche se come dice Lucio Dalla anche i preti potranno sposarsi, sia pure solo ad una certa età. Basta in proposito leggere non solo Moro e Campanella, ma anche gli utopisti "comunisti" francesi del Settecento. Non è un caso che l'utopia sia sempre piaciuta ai liberali di ogni tipo, da Firpo a Berlusconi. Inoltre, anche se questo può sembrare a prima vista paradossale, la progettazione utopica è inscindibilmente legata ad una mentalità di tipo ossessivamente "scientifico", e non ne è affatto un'alternativa. L'ossessione per una regolamentazione utopica perfetta di ogni aspetto quotidiano dell'agire sociale, infatti, non può essere messa in opera senza una correlata applicazione della scienza (dall'ergonomia all'eugenetica). Insomma, prima i comunisti lasceranno perdere l'illusione utopica, meglio sarà per tutti.

13. Due parole su Karl Popper e sulla sua bibbia filosofica che denuncia in successione Platone, Hegel e Marx come maestri del totalitarismo e nemici della società aperta. Un vero insieme di sciocchezze. Platone aveva interessi prevalentemente pedagogici e solo in seconda istanza politici (come sostiene correttamente Giovanni Reale), e la sua concezione di tipo aristocratico-pedagogico, pur essendo ostile alla democrazia ateniese, non poteva avere nessun carattere totalitario (termine incompatibile con la società greca antica), ed inoltre non poteva proclamare la fine della storia della società aperta, visto che gli antichi non avevano una nozione di storia come progresso, evoluzione e concetto trascendentale riflessivo. Hegel non poteva avere una concezione totalitaria dello stato, dal momento che affermava la piena autonomia della famiglia e della società civile, mentre è evidente che qualsiasi stato totalitario deve prima di tutto distruggere l'autonomia della famiglia e della società civile. In quanto a Marx, è evidente che Popper lo confonde con Stalin, mentre Marx parla del comunismo come società della libera individualità (e non dell'individualità eguale livellata). Ma Popper, purtroppo, è la regola e non l'eccezione. Gente che si vergognerebbe di dire inesattezze su Duns Scoto e su Bernardino Telesio poi su Marx ha il libero diritto di caccia per sparare tutte le approssimazioni che le vengono in testa.

14. Due parole su Hanna Arendt ed i suoi discorsi sul totalitarismo comunista. Incidentalmente, la teoria politica della Arendt, nella misura in cui si ispira agli antichi greci ed alla comunità politica classica, è del tutto incompatibile con il normale funzionamento del capitalismo finanziario, che è segreto ed oligarchico per sua natura, ed è pertanto curioso che la Arendt sia catalogata come ispiratrice del capitalismo liberale. Ma ciò che vorrei qui sottolineare è il suo dilettantismo a proposito della teoria del totalitarismo comunista. Ed il dilettantismo sta proprio nella mancanza di conoscenza empirica di quello di cui parla.

Un breve riferimento personale. Negli anni Sessanta, Sessanta ed Ottanta ho girato in lungo ed in largo i paesi comunisti dell'Est europeo, trascorrendovi anche periodi di studio. C'erano molti modi di andarci. C'era chi ci andava in modo picaresco riempiendo la propria utilitaria di calze e di borsette per facilitare le proprie imprese di seduttore piccolo-borghese in un paradiso di proletarie. C'era il modo dei polli in batteria della burocrazia comunista alla Achille Occhetto ed alla Massimo D'Alema, che andava in visita dei propri omologhi per vedere come comandavano, traendone sistematicamente l'ovvia conclusione che le élites capitalistiche avevano più stile. Eccetera, eccetera, eccetera. Ebbene, ho conosciuto centinaia di persone di tutti i gruppi sociali, e posso assicurare che forse le burocrazie comuniste sognavano di imporre un vero totalitarismo, ma di fatto si trattava delle società meno "totalizzate" esistenti (e lo si è visto con la facilità con cui sono crollate nel 1989). Appena verificato che non ero uno spione inaffidabile, la gente si apriva, e manifestava sistematicamente una coscienza maggioritaria assolutamente non totalitaria. Da un lato, si definiva "socialista", nel senso che considerava ovvia la piena occupazione, la sanità, lo sport e l'educazione gratuiti, pur lamentandosi della carenza dei beni di consumo (che era in effetti ad un tempo pittoresca e scandalosa). Dall'altro, dava per scontato che i "comunisti" fossero solo una cricca di opportunisti che supplivano alla loro incapacità professionale con la mafia politica di partito. Non voglio ora dissertare a lungo se avessero ragione o torto, se fosse meglio prima o adesso (in breve: avevano ragione, e si stava meglio prima di adesso). Ciò che conta è che ogni teoria del totalitarismo e del Grande Fratello è del tutto inadeguata. Se le burocrazie volevano un Grande Fratello, al massimo ne era venuto fuori un Grande Coglione.

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