Invito ad una discussione radicale sul marxismo

IV parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in sette parti.

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4. Il primo dubbio iperbolico: la questione della compatibilità fra natura umana e comunismo

Come è noto, la grande e diffusa obiezione di senso comune contro la possibilità storica del comunismo consiste nel sostenere che l'uomo è un essere egoistico aggressivo, acquisitivo e prepotente, e che perciò ogni sogno di comunità pacificamente solidale resta un sogno ad occhi aperti ed un'utopia semplicemente regolativa, ma non operativa. I teorici marxisti sofisticati snobbano generalmente questa obiezione, ritenendola banale, ma si sbagliano di grosso, perché mettendola da parte con disprezzo e sufficienza non la si discute, ed in questo modo essa continua a produrre velenosi effetti sotterranei. I marxisti anglosassoni sono più intelligenti, e generalmente se ne occupano, mentre quelli europei pensano di essere furbi rimuovendola e non occupandosene. Bisogna proprio su questo punto invertire assolutamente la tendenza.

Si suole generalmente ripetere pigramente che l'ipotesi capitalistica sulla natura umana è quella pessimistica di Hobbes, per cui l'uomo è come un lupo per l'altro uomo (homo homini lupus), Aristotele si era sbagliato nel definire l'uomo un animale per sua natura comunitario, politico e sociale, e che dunque la concorrenza economica spietata fra imprese ed aziende corrisponde perfettamente alla natura umana originaria, che sarebbe del tutto inutile provare a cambiare radicalmente. Ma questo non è esatto. Questa concezione, che definirei animalistica, è in realtà il frutto tardo-ottocentesco di un innesto della teoria pessimistica di Hobbes sul darwinismo sociale. In realtà l'economia politica inglese settecentesca (da Hume a Smith) ha una teoria ottimistica della natura umana, e ritiene che l'istinto dello scambio (base antropologica del valore di scambio, e cioè del valore) si basi su di un istinto di simpatia (cioè di immedesimazione psicologica da parte del venditore nei bisogni del compratore). Occorre riflettere molto su questa base antropologica dell'economia politica capitalistica, e non limitarci a dire che si tratta solo di un'ideologia illusoria di mistificazione. Personalmente, sono convinto che se la base antropologica del capitalismo fosse soltanto l'addizione del pessimismo di Hobbes con la concorrenza animalesca del darwinismo sociale, a quest'ora il capitalismo sarebbe già crollato da tempo, del tutto indipendentemente da pretese ed economicistiche cadute del saggio medio del profitto. Il capitalismo è antropologicamente forte proprio perché riesce ad utilizzare strumentalmente anche componenti positive e generose della natura umana.

In campo marxista vi è tutta una tradizione (fino sciaguratamente a Louis Althusser) che sostiene che la natura umana non esiste, e che non è altro che l'insieme sempre mutevole dei rapporti sociali di produzione storicamente determinati. Non è vero. Questa concezione può essere definita "sociologismo", o meglio deviazione sociologistica del materialismo storico. La base antropologica dell'agire umano (dal lavoro al linguaggio, dall'agire simbolico alla consapevolezza della propria morte) è il supporto materiale della storia. Una storia senza antropologia è come un'economia politica senza tecnologia, e cioè un'astrazione vuota. In proposito molti marxisti sostengono la folle teoria per cui il comunismo è possibile appunto perché la natura umana è infinitamente trasformabile, ed anche ammesso che l'esperienza storica l'abbia resa cattiva ed egoista per natura sarà possibile con mezzi politici ed educativi creare il cosiddetto "uomo nuovo" comunista e solidale. Si tratta di vere e proprie sciocchezze. L'uomo nuovo è solo un incubo per burocrati, oppure al massimo è un errore filosofico di rivoluzionari onesti ma confusionari (come il Che Guevara). Tra l'altro, se la natura umana fosse integralmente manipolabile e trasformabile allora il capitalismo sarebbe invincibile, perché dispone di tutte le possibilità tecniche ed economiche per manipolare gli uomini riducendoli a consumatori isolati e solo artificialmente risocializzati. In realtà (e ad esempio Noam Chomsky lo ha capito) la natura umana, proprio per il suo carattere generico e non specifico, è un fattore di resistenza alla manipolazione capitalistica, e non il contrario.

In conclusione, non esiste nessuna inconciliabilità fra la natura umana ed il comunismo. Se pensiamo che esso sia semplicemente una sorta di movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti (come scrisse il giovane Marx, ed era del tutto spiegabile allora, ma non più oggi dopo un secolo e mezzo), allora siamo fuori strada, Perché l'espressione rimanda ad una sorta di fatalità storica necessitata, che in realtà non esiste. Se pensiamo che in modo armonico, e senza la mediazione di organi intermedi come la famiglia, la società civile professionale e lo stato politico, ognuno darà spontaneamente secondo le proprie capacità, e riceverà secondo i propri bisogni, allora siamo fuori strada, perché solo i bisogni naturali primari possono essere soddisfatti senza una mediazione politica, ma questo non può avvenire per un sistema di bisogni sorti sulla base di uno sviluppo delle forze produttive: una cosa è mangiare a sazietà e vestirsi per affrontare il freddo ed il caldo, ed una cosa è prendere il biglietto aereo per il Madagascar o il Messico. Anche nel comunismo, ci vorrà una regolazione politica, anche perché la scarsità, sia pure relativa e non assoluta, sarà sempre presente, ed anzi bisognerà sempre più fare attenzione ai vincoli dell'ecosistema, cui il capitalismo non riserva alcuna attenzione.

Lo ripetiamo, dipende sempre dunque da come concepiamo il comunismo. Chi lo concepisce in modo staliniano come livellamento e proletarizzazione forzata, con alle spalle per di più l'invidia pauperistica ed il risentimento plebeo scambiati per punto di vista proletario, ebbene costui non avrà nessun comunismo, perché la natura umana lo rifiuterà, e sarà un bene. Ma una concezione corretta del comunismo, come insieme di comunità unite dalla libertà, dalla sicurezza e dalla solidarietà, è del tutto compatibile con una corretta concezione antropologica della natura umana.

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