Il maoismo

IV parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in nove parti.

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10. Mao Tse Tung è certamente esistito, ma è esistito il "maoismo"? Esiste oggi il "maoismo"? E cosa significa "maoismo", al di là di un insieme pratico congiunturale di un personaggio empirico in carne ed ossa nato nello Hunan nel 1893 e morto a Pechino nel 1976, e chiamato Mao Tse Tung?

Proviamo a rispondere, con tutte le cautele necessarie.

11. In estrema sintesi, la mia risposta è sì. Il "maoismo" esiste, e costituisce una dottrina teorica relativamente organica e coerente. Il nucleo di questa dottrina, elaborata fra il 1966 ed il 1976, ed oggi dichiaratamente respinta dalle autorità comuniste cinesi, può essere correttamente inteso come il terzo momento di una teoria unitaria, il marxismo-leninismo, di cui il primo momento fu quello di Marx, il secondo momento fu quello di Lenin, ed il terzo momento quello di Mao stesso.

Il primo momento, quello di Marx, è quello della "scoperta" del materialismo storico (teoria della lotta di classe nei modi di produzione) e della teoria del plusvalore, cioè dei fondamenti della critica generale al capitalismo. Il secondo momento, quello di Lenin, è quello della teoria dell'imperialismo, della rivoluzione socialista a partire dagli anelli economicamente e politicamente deboli della catena mondiale imperialistica, della legittimazione alle rivoluzioni anticoloniali di liberazione nazionale ed infine della costruzione del socialismo sulla base della direzione politica del partito comunista. Si noterà che in questa concezione Stalin, pur non ripudiato, non è indicato come un vero "classico" del marxismo-leninismo. Mao Tse Tung viene indicato come terzo momento (cfr. articoli cinesi tradotti in "Vento dell'Est", n. 44, gennaio 1977, ma pubblicati pochi mesi prima della morte di Mao) della storia del marxismo, in quanto scopritore dell'esistenza della borghesia dentro il partito comunista, e pertanto della possibilità, ed anzi della quasi sicura probabilità, di un "mutamento di colore" della società in caso di vittoria del revisionismo sul comunismo.

Questa è l'essenza del maoismo, se esiste qualcosa chiamato "maoismo", come appunto io credo. Le fonti sono innumerevoli, tradotte dal cinese all'italiano da "Vento dell'Est", ed in inglese e francese dai settimanali Peking Review e Pékin Information, senza contare i continui contributi della Monthly Review di Sweezy. Nel deserto del provincialismo italiano, per coloro che leggono bene l'inglese, consiglio le mie due fonti principali, quelle almeno da cui ho imparato di più. Si tratta del volume 15 della Cambridge History of China, parte seconda sulla repubblica popolare intitolata "Rivoluzioni dentro la rivoluzione cinese 1966-1982", e soprattutto dell'opera esemplare di Maurice Meisner, Mao's China and after. A History of the People's Republic, Free Press, London - New York 1986. Uno dei pochi libri italiani che tenta un bilancio storico complessivo del maoismo (in cui c'è anche un piccolo contributo di chi scrive qui) è AAVV, Mao Zedong dalla politica alla storia, Editori Riuniti, Roma 1988, che riporta gli atti di un convegno svoltosi ad Urbino nel novembre 1986 su iniziativa della non dimenticata Emilia Giancotti. Consiglio vivamente il "ripescaggio" di questo libro dimenticato, perché ci si possono trovare utili elementi per fare un repertorio dei temi teorici e politici sul maoismo.

Ho dato una mia definizione di "maoismo", e non me la sono inventata a caso, ma l'ho diligentemente ricavata dalle fonti cinesi originali del decennio 1966-1976, poi riprese in mille forme diverse dalle formazioni politiche del cosiddetto movimento marxista-leninista europeo e mondiale. Bisogna ora discuterne apertamente la plausibilità, e prendere in considerazione le possibili obiezioni.

12. In primo luogo, vorrei separare la questione del "maoismo" dai cosiddetti "eccessi" della rivoluzione culturale cinese del decennio 1966-1976. Io so bene, come peraltro scrisse anche Mao, che "la rivoluzione non è un pranzo di gala", ma questo non giustifica i cialtroni che allora misero in ginocchio vecchi professori liberali irrisi con delle orecchie di asino o distrussero monumenti archeologici millenari con la scusa che essi ricordavano la vecchia Cina schiavistica e feudale. Se i comunisti greci distruggessero l'Acropoli e quelli italiani la Roma barocca dei papi meriterebbero un ergastolo con obbligo di vedere per tutto il giorno le trasmissioni televisive spazzatura, ultimo stadio della distruzione luddistica del passato. Analogamente, i cialtroni cinesi che hanno distrutto i monumenti archeologici della vecchia Cina dovrebbero essere presi a calci in culo per tutto il percorso della Grande Muraglia. Sul mio "estremismo classicistico" non faccio sconti, e non intendo fare sconti per compiacere il populismo analfabeta.

Condivido quindi con autori come Domenico Losurdo l'abominio verso questi stupidi "eccessi". Non condivido l'impostazione di autori pure informati come Simon Leys (cfr. Gli abiti nuovi del presidente Mao, Edizioni Antistato, Milano 1977), che riduce tutto il maoismo a lotta per il potere fra cricche burocratiche rivali dentro la nuova classe dominante cinese. Su questa linea dello scontro inter-burocratico, in cui tutti i burocrati sono immersi in una notte in cui tutte le vacche sono nere, si era già distinto precocemente negli anni Sessanta "in tempo reale" il trotzkista italiano Livio Maitan. Leys aveva già scritto un libro di altissimo surrealismo fin dal titolo (cfr. Révo. Cul. dans la Chine Pop., UGE, 1974 Paris). Ma il fatto storico innegabile del cambiamento radicale della Cina dopo il 1976, la morte di Mao e la caduta della cosiddetta "banda dei quattro" smentisce Maitan, Leys, e tutti i teorici del puro scontro interburocratico.

Al di là dei suoi eccessi, dei suoi studenti che pretendevano di passare gli esami universitari con un "foglio bianco" perché di sentimenti veramente proletari, del vecchio che abbatte le montagne a colpi di piccone, dei medici che curano malattie incurabili ispirandosi al pensiero di Mao, dei libretti rossi sollevati al cielo, degli "eccessi", eccetera, la rivoluzione culturale cinese fu una cosa seria. Come tutti i fenomeni storici, di destra o di sinistra, antichi e moderni, il "maoismo" deve essere separato dai suoi propri "eccessi", se vogliamo recuperarne l'intellegibilità storica di fondo.

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