Il testamento filosofico di Lukács

V parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in sei parti.

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18. Questa proposta filosofica di Lukács fu integralmente respinta dal movimento comunista, che invece scelse il materialismo dialettico come filosofia obbligatoria di stato e di partito e lo rese anche ufficiale per legge con un decreto staliniano del 1931. Da un lato, l'estremo soggettivismo di Stalin doveva nascondere questo suo soggettivismo dietro un riferimento di legittimazione ad una scienza positiva, e tanto più lo faceva quanto più era arbitrario e soggettivista. Dall'altro, la nozione lucacciana di coscienza proletaria possibile avrebbe sempre potuto diventare un'arma culturale per chi avesse notato che il comportamento del partito comunista non era adeguato e conforme a questo ideale di possibilità proletaria emancipatrice ed universale. La proposta filosofica lucacciana metteva l'orizzonte dell'universalismo al centro della filosofia comunista, e l'universalismo per sua natura non può essere monopolizzato da un partito burocratizzato, che non lo pratica ed anzi lo disprezza, e preferisce invece la ben più rassicurante legittimazione "scientifica" (in realtà pseudo-scientifica). 19. Il libro di Lukács del 1923 fu molto amato dalla generazione del Sessantotto. In Germania ed in Francia ci fu addirittura una rinascita lucacciana, sconsigliata peraltro dallo stesso Lukács, che invece avrebbe voluto che fosse presa in considerazione la sua nuova ontologia dell'essere sociale, cosa che non fu fatta, e che lo lasciò molto deluso. In Italia il libro fu tradotto, ci furono alcuni saggi di commento, ma in definitiva esso restò semiclandestino, a causa della soffocante egemonia del sociologismo operaista, nemico della filosofia in quanto tale. Oggi questo capolavoro è di difficilissima reperibilità, perché non più ristampato da decenni. 20. Si tratta di un libro attuale? Difficilissimo dirlo. Io penso che valga ovviamente sempre la pena di leggerlo e di studiarlo, come monumento storico del pensiero marxista e riflesso del clima messianico e radicale degli anni Venti. Non penso però che sia realmente valido in questa nuova fase storica, per il semplice fatto che la prima filosofia di Lukács si basava sull'opposizione polare di borghesia e proletariato eretti in soggetti idealtipici e trascendentali, mentre oggi io penso che siamo entrati in una nuova fase del capitalismo, di tipo post-borghese e post-proletario, e non credo allora che un rilancio idealistico della dicotomia opposizionale possa aiutarci a capire la situazione attuale. Vi sono ovviamente anche altre ragioni che potrei aggiungere, ma non lo faccio per questioni di spazio e brevità. In ogni caso, è bene ricordare sempre che fu Lukács a sottoporre a critica la sua prima filosofia, e non è affatto vero che lo fece solo per opportunismo o per paura di Stalin. Se fosse stato così, dopo il 1956 l'avrebbe riproposta, magari in una forma corretta ed edulcorata. Non lo fece, e non lo fece perché evidentemente non ci credeva più. E non ci credeva più, io penso, perché voleva tener fermo nella via dell'universalismo, convinto che solo l'equazione comunismo = universalismo potesse salvare il progetto di Marx e di Lenin, ma non pensava più che questa via potesse essere percorsa con un apparato categoriale idealtipico, trascendentale ed aprioristico. E questo ci porta alla sua seconda filosofia ontologica. 21. A partire dai primi anni Sessanta, Lukács sviluppa progressivamente la sua nuova ontologia dell'essere sociale. Dallo stesso nome scelto per indicare la sua proposta filosofica, risulta chiara l'opposizione al materialismo dialettico sovietico (che era un'ontologia dialettica unica dell'essere sociale e naturale) ed all'impostazione classica di Engels, per cui il passaggio al socialismo era assimilabile ad un processo di storia naturale. Il socialismo è un progetto interamente umano, ed in quanto progetto umano è un agire teleologico e finalistico, laddove in natura non c'è alcun finalismo intrinseco. In quanto agire teleologico, la rivoluzione comunista segue il principio ontologico del lavoro umano, forma originaria e modello di ogni prassi sociale trasformativa. L'uomo è un animale intelligente che si è costituito attraverso il lavoro, ed il lavoro collettivo e cooperativo, già presente fin dai tempi più lontani, ha permesso la nascita del linguaggio, dal momento che la cooperazione lavorativa implicava anche la comunicazione linguistica. E' giusto dunque dire che l'uomo è homo faber. Oggi questo termine è spesso considerato odioso e pericoloso (basti pensare all'ultimo libro sul Novecento di Marco Revelli), ma questo avviene perché del carattere lavorativo e costruttivo umano vengono prese in considerazione solo le aberrazioni, come le bombe atomiche, le biotecnologie più pericolose, la catena di montaggio fordista. Questo però è un errore filosofico, eguale a quello di chi negasse il carattere sessuale ed amoroso dell'uomo perché nel rapporto sessuale può prendersi l'AIDS. In realtà, a me sembra che nel sottolineare il lavoro come fonte di linguaggio, la cooperazione lavorativa come fonte della comunicazione linguistica ed infine l'agire umano come progetto consapevole Lukács abbia fondamentalmente ragione e parta con il piede giusto. 22. Il punto di partenza esistenziale di Lukács è la vita quotidiana, o meglio il rispecchiamento quotidiano, il che comporta anche il programma di democratizzazione della vita quotidiana come la parola d'ordine fondamentale del comunismo moderno. Questo nucleo vitale è comune a tutti i diversi modi di produzione, ed è dunque un principio dell'antropologia filosofica materialistica. Il materialismo, pressoché assente nel primo modello filosofico lucacciano di Storia e Coscienza di Classe, viene qui recuperato come orizzonte nell'ambito della vita quotidiana. A me sembra un ottimo inizio. E' nell'ambito della vita quotidiana che l'uomo fa l'esperienza della propria mortalità, della propria fragilità e dello scacco dei propri progetti. Tutto questo viene antropomorfizzato, cioè ricondotto a senso umano, anche quando in realtà è basato su di una causalità del tutto naturale e meccanica, e da questa riconduzione antropomorfica di senso, che nasce a livello quotidiano e quindi prescientifico, nascono tutte le religioni e tutte le ideologie, che sono proiezioni antropomorfizzanti di eventi sottratti all'agire umano consapevole. Il rispecchiamento scientifico insorge solo in un secondo momento, sulla base di un'indispensabile disantropomorfizzazione di ciò che il rispecchiamento quotidiano aveva necessariamente antropomorfizzato.

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