Il testamento filosofico di Lukács

VI e ultima parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in sei parti.

Alla prima parte




23. Una breve riflessione. E' chiaro che in questo modo Lukács propone per la filosofia, ed in particolare per la filosofia marxista, uno spazio intermedio fra la vita quotidiana e la scienza. Più esattamente, non esiste uno specifico rispecchiamento filosofico (così come del resto non esistono rispecchiamenti religiosi e ideologici), ma la filosofia diventa un fisiologico agire interpretativo che collega il rispecchiamento quotidiano (antropomorfizzante) ed il rispecchiamento scientifico (disantropomorfizzante). Tutto questo mi sembra molto intelligente, o comunque degno di analisi. La scelta leniniana di utilizzare il termine conoscitivo di "rispecchiamento" è accettata da Lukács, e questo effettivamente è incompatibile con l'idealismo tedesco, ma si iscrive in una forma di realismo. Vi è dunque indubbiamente una rottura con il codice filosofico di Storia e Coscienza di Classe. Ma questa filosofia di Lukács non è comunque un realismo gnoseologico, perché non c'è nessuna centralità della gnoseologia, ma la centralità è soltanto assegnata al "grado zero" della vita quotidiana. E' questa una curiosa scelta di "normalità", che a mio avviso ricorda Aristotele ed il pensiero greco classico, che partiva anch'esso dalla normalità quotidiana e dai suoi problemi (esemplare in questo è l'Etica Nicomachea di Aristotele). Vi è qui a mio avviso una continuità filosofica diretta fra Marx e Lukács, ma anche un'affinità fra Lukács e Gramsci, altro grande estimatore della pertinenza ontologica della vita quotidiana. Vorrei insistere sul fatto che questo "inizio" lucacciano è profondamente democratico, perché legittima integralmente il mondo normale dei non-intellettuali e dei non specialisti come mondo che non ha soltanto diritto all'assistenza ed alla "cura", ma è già pienamente un mondo attivo, conoscitivo, trasformativo. Si tratta di una mossa anti-oligarchica inestimabile. 24. Il rispecchiamento quotidiano è la matrice ontologica di due altri rispecchiamenti successivi, quello scientifico e quello estetico. Non esistono invece altri rispecchiamenti, e dunque non esistono rispecchiamenti filosofici, ideologici e religiosi. Tutto questo, a mio avviso non consente di parlare di marxismo idealistico, o di marxismo hegeliano, perché Hegel non avrebbe mai consentito a riservare uno statuto conoscitivo integrale alla sola arte, e non anche alla religione ed alla filosofia. Inoltre Lukács è ateo, nel senso rigoroso di Feuerbach e Marx, e connota anche negativamente come "ateismi religiosi" tutti i tentativi di sostituire la divinità tradizionale ebraico-cristiana con principi metafisici assoluti. Se però questo secondo Lukács non è idealista (mentre il primo a mio avviso lo era), non è neppure possibile connotarlo semplicemente come materialista, se non nel senso ovvio, improprio ed insufficiente per cui egli ritiene, come Spinoza, che esiste una sola sostanza, e pensa, come Feuerbach, che Dio sia solo una proiezione antropomorfica della mente umana. La sua è piuttosto una filosofia che cerca una via diversa dalle due indicate dalla dicotomia engelsiana fra materialismo ed idealismo. In questa sede non c'è lo spazio per portare argomenti decisivi in favore di questa mia tesi, ma ritengo che valga la pena pensarci su con attenzione. E' comunque bene precisare che Lukács non si autopercepiva affatto come portatore di una terza via, ma come un materialista critico conseguente. In filosofia, peraltro, l'autopercezione di un filosofo non è sempre un criterio risolutivo per determinare una connotazione corretta. 25. La vita quotidiana è il luogo materiale in cui si realizza l'emancipazione comunista, ed è allora ovviamente la posta in gioco di strategie di dominio da parte delle oligarchie dominanti. I dominati, infatti, vengono sempre dominati a partire dalla sfera della vita quotidiana. A Lukács è sempre chiaro che nei modi di produzione precapitalistici la forma prevalente di dominio sulla vita quotidiana era quella militare coperta da quella religiosa, più esattamente la violenza della coercizione extraeconomica integrata con giustificazioni tratte dalle ideologie religiose. Tutto ciò ovviamente muta con l'affermazione del modo di produzione capitalistico. E qui Lukács introduce la categoria strategica di manipolazione, una categoria teorica che nella filosofia tedesca del Novecento verrà variamente usata da pensatori diversissimi come Adorno e Heidegger. Lukács distingue fra l'epoca del dominio del plusvalore assoluto e l'epoca del dominio del plusvalore relativo, il che comporta ovviamente due forme diverse di manipolazione. La manipolazione dell'epoca del plusvalore assoluto assomiglia moltissimo alla manipolazione precapitalistica, ed in essa il ruolo della violenza, ed anzi del binomio violenza-religione, è molto forte. La manipolazione dell'epoca del plusvalore relativo, invece, viene realizzata con metodi molto più indiretti e raffinati, il famoso "consenso" ottenuto con l'incitamento ai consumi attraverso la pubblicità ed i modelli sociali imposti con la diretta invasione della sfera quotidiana dell'esistenza. Qui Lukács, proprio perché era partito col piede giusto (la centralità della vita quotidiana) riesce anche a proseguire senza cadere, individuando la tattica di riproduzione del moderno capitalismo in una vera e propria colonizzazione totalitaria della vita quotidiana. Egli parla anche diffusamente di una vera e propria "integrazione" della classe operaia nelle società occidentali, ma in questo restò fino alla morte un marxista ortodosso, perché non ne contestò mai esplicitamente il ruolo rivoluzionario strutturale, anche se, ovviamente, insisteva sempre di più sul lavoro intellettuale come parte integrante ma anche decisiva di qualunque fronte rivoluzionario. 26. Una breve riflessione. Lukács morì prima che diventasse visibile il fenomeno culturale del cosiddetto post-moderno, e morì anche prima che le nuove modalità del capitalismo detto della globalizzazione riportassero in primo piano le modalità di estorsione del plusvalore assoluto nei paesi dominati dall'imperialismo (fra cui i paesi ex-comunisti), e cercassero anche di coinvolgere in un autosfruttamento quotidiano (che definirei con amara ironia "plusvalore assoluto volontario") il cosiddetto lavoro autonomo, flessibile e precario. Tutto questo Lukács non poteva saperlo, essendo morto nel 1971. E tuttavia la sua analisi mi sembra assolutamente attuale anche oggi. Da un lato, la sua concezione del lavoro come cooperazione e costruzione collettiva è infinitamente più intelligente di quanto dicono i sostenitori della "fine del lavoro" e di una società della comunicazione del tutto smaterializzata. Dall'altro, la sua concezione della manipolazione come colonizzazione oligarchica della sfera quotidiana esce rafforzata, e non indebolita, dagli sviluppi economici e sociali recenti. Lukács non esce dunque distrutto dalle recenti "distruzioni del marxismo". 27. Se nelle società occidentali la manipolazione avviene nella forma dell'integrazione consumistica, che non è soltanto economica, ma è anche e soprattutto simbolica (e qui Lukács mostra di aver acquisito la lezione Cassirer, anche se Cassirer non risulta fra le sue fonti dirette), nei paesi del socialismo reale la manipolazione avviene per via direttamente politica, attraverso il dispotismo politico delle burocrazie. Lukács non aderì mai alla teoria trotskista della burocrazia come ceto distinto frutto di una degenerazione dello stato operaio leniniano originario, e neppure alla teoria maoista del partito comunista come luogo di costituzione e di riproduzione di una nuova ed inedita classe sfruttatrice. Come ho detto in precedenza, questo eventuale sbocco, che avrebbe comunque comportato durissime persecuzioni in patria (pensiamo solo al caso dello jugoslavo Milovan Gilas e del tedesco Rudolph Bahro), gli era impedito dai due principi di internità e di riformabilità, che egli mise sempre al di sopra di tutto. E tuttavia, il suo giudizio di fatto sul socialismo reale fu sempre molto duro. Lukács non approvò l'intervento sovietico in Cecoslovacchia del 1968. In Ungheria veniva usato come articolo di esportazione per mostrare il carattere relativamente "liberale" del regime di Kadar, ma restava comunque sempre e soltanto sopportato, visto che nessuna delle cose che diceva veniva accolta nel sistema scolastico della trasmissione del materialismo storico e dialettico. Alla fine, la vita quotidiana non venne mai democratizzata, ed il 1989 si limitò a liberalizzarla in senso capitalistico, ed anzi ultracapitalistico. Si trattò di una vera e propria vittoria del liberalismo sulla democrazia. Ma il responsabile massimo resta il sistema irriformabile del partito-stato comunista, i cui responsabili furono in prima fila a riciclarsi come personale politico di servizio della restaurazione capitalistica. 28. Il destino fu benevolo con Lukács egli morì prima di vedere questa merda in azione, e di vedere nel 1999 la Jugoslavia bombardata nel nome dei diritti umani garantiti dagli aerei militari americani. Per tutta la sua vita Lukács restò a mio avviso un pessimista tattico ed un ottimista strategico. Nelle vicende turbinose del secolo di ferro in cui visse, egli impersonò sempre il principio del suo maestro Hegel, per cui il reale poteva e doveva diventare razionale ed il razionale poteva e doveva diventare reale. E' questo, in una parola, il suo testamento filosofico.

Alla prima parte




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