"Da una parte, io e due zingare
dall'altra, il mondo intero"

V parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Miguel Martinez è stato diviso in dodici parti.

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Sul filo del rasoio

Una struttura simile a quella che soffoca i neri americani, maledice i Rom. Azzardo un'ipotesi, che potrebbe essere completamente sbagliata - mi piacerebbe sentire i commenti degli ziganologi.

I Rom nascono come un gruppo di fuoricasta in India. Dentro le caste c'è tutta la "società", dal signore che pratica il Kâmasutra all'ultimo, sfruttatissimo contadino sull'orlo della carestia. E' lì che si svolge tutto il dramma dell'integrazione e dell'appartenenza, anche se ai livelli più bassi. Fuori da questa appartenenza, esiste però una specie estranea all'umanità stessa. Questa specie, la cui esistenza stessa è una colpa, in realtà svolge necessarie funzioni dentro la società, ma quelle che nessun essere umano farebbe. Svuota le latrine, si esibisce in canti e danze (per molte società il basso intrattenimento si avvicina alla prostituzione), seppellisce i morti.

La caratteristica fondante non è quindi il grado di ricchezza, e nemmeno il grado di sfruttamento: il fuoricasta non è il più proletario dei proletari. E' simbolicamente escluso dalla società, svolge solo i compiti che ripugnano agli esseri umani legittimati.

Da questo deriva una potente carica simbolica: non è necessario accettare le leggende (astutamente inventate da alcuni Rom) secondo cui sarebbero un popolo errante di penitenti, per capire che tutto il fascino e l'astio che circonda i Rom non è solo basato su fatti economici. La ziganofobia possiede la qualità degli incubi.

zingari

Nel campo Rom di Centocelle - da contrasti.it

Concretamente, però i Rom sviluppano la capacità di sopravvivere in un ambiente estremo. Che non sono i ghiacci dell'Alaska, ma l'esclusione nel cuore di altre società. Dall'India fino ai Balcani e alla Spagna, le società in cui i Rom entrano sono società dove i poveri sono davvero poveri, dove i raccolti dipendono dall'intreccio tra la pioggia e l'usura, e dove non esiste nulla di superfluo per il "popolo". Di cosa può vivere allora qualcuno che non appartiene nemmeno al popolo? Per non morire - o meglio, per non morire tutti, nessuno documenterà mai quanti Rom sono morti di stenti, di malattie e di persecuzioni nei secoli - nasce una società molto particolare.

Piccoli gruppi di persone, non più di poche famiglie alla volta, sparsi su vasti territori, che si inventano ovunque nicchie che nemmeno l'ultimo dei contadini ha saputo riempire. E che devono poter fuggire appena quelle nicchie si richiudono, o appena si avvicina la carestia o la strage.

La natura della nicchia è irrilevante: il Rom non è né venditore di cavalli, né musicista, né raccoglitore di peperoncino, né mendicante. E' nicchista.

La nicchia viene sempre riempita in condizioni di dipendenza: si sopravvive se si è presi a benvolere da qualche potente. Da qui nasce una falsa anarchia. Invece di avere capi propri, i Rom accettano come capi i signori gagè. Con cui instaurano un rapporto che è profondamente psicologico, di adozione. Al posto della politica statale, abbiamo la politica degli affetti. In questo senso, la società feudale o signorile - nella sua forma occidentale, ma anche nella sua diversissima forma ottomana e araba - favorisce i Rom. Il Rom non si studia le leggi, ma il carattere, il viso, i capricci e le fantasie del sovrano. Per questo, forse, almeno in Italia, non esiste quasi traccia di auto-organizzazione Rom: ci sono individui eccezionali che parlano di cose Rom, ci sono musicisti valenti, ci sono figure religiose, ma non c'è nessuno in cui i Rom si riconoscano collettivamente.

Il Rom vive tutta la vita sul filo del rasoio, tra la vita e la morte. La solidarietà familiare diventa quindi cruciale per due motivi. Da una parte, perché una mela marcia trovata per strada viene divisa in dieci. Dall'altra, perché il Rom occupa lo stesso spazio del vagabondo medievale o del barbone moderno; ma con una durissima disciplina, riesce a non fare la sua stessa fine. E quella disciplina gli deriva dalla rigorosa osservanza di una legge patriarcale - altroché lo zingaro libero e anarchico, o l'obbrobrio degli yacht di ricchi libertini che si chiamano Gypsy Spirit.


Questa legge si basa sulla parentela; la parentela si basa sul matrimonio; il matrimonio si basa sull'assegnazione autoritaria e maschile delle figlie. Ma il matrimonio è anche festa, in cui tutto ciò che gli individui riescono provvisoriamente a mettere da parte - in un mondo senza banche e senza proprietà terriere - viene ridistribuito, con cento occhi gelosi che vegliano affinché nulla venga trattenuto. E la festa è anche oblio e ipnosi, o esorcismo, come lo sono le risate sconvolgenti, la profonda ironia e le incessanti battute che caratterizzano la vita Rom.

La tradizione non si fonda sulla memoria - vera o inventata - ma sull'oblio: il dolore sarebbe altrimenti insopportabile. Ripetizione incessante delle stesse norme di vita, la tradizione si proietta solo sul futuro, cioè sui figli - quelli che non muoiono nella culla, né negli anni successivi.

Il Rom non è un "nomade" (come lo chiama Bruno Vespa). Non cerca nuovi orizzonti, ma fugge inseguito ovunque dalla morte; e come il cavaliere che nella canzone arrivò a Samarcanda, la morte lo aspetta ovunque.

La potenza dei Rom è la famiglia. Rom vuol dire, non a caso, "uomo sposato", Romnì "donna sposata". Unità inscindibile, che non permette di scoprire altri mondi, riferimento unico, la famiglia è religione, stato, impresa, scuola. E continuità del mondo Rom.

Il fuoricasta può sedersi a mangiare solo quando l'ultimo appartenente alla più umile delle caste si è saziato. Quando anche un solo membro di una casta resta fuori, i fuoricasta restano affamati nelle tenebre.

Credo che in questo concetto ci sia una parte della risposta alla domanda, perché non si integrano?

Nella storia europea, solo un tipo di società ha mai cercato di integrare veramente tutti: il comunismo reale novecentesco. Il sistema ha garantito un lavoro, cibo, scuola e assistenza medica a tutti. Non è interessante la qualità di quei servizi, quello che conta è che anche l'ultimo figlio di contadini li ha ricevuti; e quindi, servito l'ultima delle persone normali, anche i Rom hanno potuto accomodarsi a tavola.

In Romania, in Jugoslavia e in molti altri paesi, i Rom hanno potuto, per la prima volta, occupare, non le loro solite nicchie sfuggenti, ma un vero, bassissimo posto dentro la società. Potevano diventare poliziotti, o bidelli, o spazzini (e qualcuno anche politico o giornalista o insegnante). Erano felicissimi di occupare questi posti e di avere una casa. Può sorprendere i lettori, ma non ci sono "nomadi" tra i Rom dell'Est: ce ne sono solo tra gli itineranti che sono da sempre cittadini italiani (ma dei Rom italiani so dire molto poco).

Per questo, tutti i Rom dell'est vedono nel comunismo reale (e non in qualche astratta ideologia) la realizzazione del paradiso in terra. E forse dissipa qualche luogo comune romantico il fatto che i Rom lo ravvisino in una vita sedentaria, un lavoro fisso e uno stato decisamente forte.

Ma appena la società diventa competitiva, inizia espellendo dal basso. Le società dell'Est, adeguandosi al capitalismo, avranno fatto felici i più colti, i più "moderni" e ovviamente quelli che avevano già abbastanza potere per farsi una carriera. Ma hanno espulso verso il basso milioni e milioni di persone che appartenevano ai ranghi più bassi della società. E ovviamente i primi a essere espulsi in blocco furono i Rom. Presi a calci anche dai non Rom che erano rimasti aggrappati all'ultimo gradino della società, e che non volevano sparire nell'inferno.

Ecco decine di migliaia di Rom che si rimettono in marcia, alla ricerca di una nicchia.



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