Ludovico Geymonat


IV e ultima parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in quattro parti.

Alla prima parte




19. Un ultimo inciso necessario. Si potrebbe pensare che se si toglie alla filosofia del comunismo la materia ed il materialismo, resterebbe solo la dialettica idealistica alla Scuola di Francoforte, cioè una semplice critica immanente interna alla riproduzione capitalistica. Preoccupazione molto lodevole, ma non è così. A mio avviso ad una filosofia comunista bastano due soli principi, ed anzi bastano ed avanzano: il principio dell'Immanenza, ricavato da Spinoza, ed il principio dell'Autocoscienza, ricavato da Hegel. Vediamo.

20. Il principio dell'Immanenza, ricavato da Spinoza, ci dice che occorre ricavare razionalmente la dinamica naturale e sociale sul fondamento autonomo ed autosufficiente della natura umana, e non è necessario nessun raddoppiamento di tipo trascendente, che porterebbe inevitabilmente ad una sorta di personalizzazione della divinità demiurgica. E' bene in proposito rilevare che ogni trasformazione soggettivistica e grande-narrativa del marxismo in progetto metastorico proletario rientra a pieno titolo nella critica di Spinoza alla conoscenza immaginativa ed alla illusione legata ad una concezione personalistica della divinità. Molto saggiamente Spinoza legò questo pensiero alla nozione di sostanza, e non a quella di materia, e non lo fece certamente perché era un ateo timido e mascherato, ma perché sapeva esattamente che cosa voleva.

21. Il principio dell'Autocoscienza, ricavato da Hegel, ci dice che senza una piena consapevolezza individuale e sociale della natura storica delle contraddizioni non esiste alcuna possibilità di superare il brutale stadio ideologico in cui siamo immersi in quanto membri di società divise in classi antagonistiche. Questo non ha nulla a che fare con tutta la serie dei dualismi teorici che sono la sede naturale delle contrapposizioni ideologiche di appartenenza identitaria, ma che non c'entrano niente né con la filosofia né con la scienza. E questo non c'entra nulla neppure con quella forma di operaismo mistico ed essenzialistico per cui la classe operaia semplicemente salariata sarebbe In Sé, mentre la classe operaia militante e comunista sarebbe Per Sé. Di fronte a questi schemini, perfino Lucio Colletti diventa un filosofo grande come Platone. Il principio dell'Autocoscienza è un principio semplice, non teleologico, non necessitaristico, non deterministico, e così deve essere praticato.

22. In secondo luogo, a proposito del tema della scienza, ribadisco il fatto che a mio avviso la conoscenza scientifica moderna, che si è sviluppata da Seicento in poi, è certamente una forma di conoscenza valida ed integrale, ma non è l'unica forma di conoscenza. In modo molto saggio, il vecchio Lukács mise a fianco del rispecchiamento scientifico anche il rispecchiamento quotidiano ed il rispecchiamento estetico. Personalmente, ritengo che esista pienamente una conoscenza filosofica, distinta nel metodo e nell'oggetto da quella scientifica, e ad essa di fatto complementare sia a livello individuale che a livello sociale. Non era questa la posizione del Nostro, per cui il problema della conoscenza si risolveva in quello della conoscenza scientifica, e la filosofia, pur onorata a parole, diventava una sorta di ancella della scienza, in modo tristemente analogo a come per gli scolastici medioevali essa era un'ancella della fede religiosa.

Personalmente, ritengo che la motivazione psicologica che stava dietro a questa posizione sia stata tipica della generazione del Nostro, e fosse cioè la paura dell'irrazionalismo, di cui il fascismo ed ancora di più il nazismo davano tristissimi esempi. Molte sparate contro l'intuizionismo di Bergson sembrano oggi assurde, se pensiamo che Bergson è stato uno dei più moderati, razionali e ragionevoli filosofi della scienza. E non si tratta certo solo dell'irrazionalismo banale degli oroscopi, dei tarocchi, e dei miracoli. Si tratta di quella forma di intuizionismo irrazionalistico che dilagò nel Novecento, e che rafforzava tutto quel mondo di superstizioni precapitalistiche che i comunisti ritenevano un ostacolo per l'organizzazione delle masse. Ma oggi, a mio avviso, tutto questo è in buona parte storicamente sorpassato. Nel secolo di ferro in cui visse il Nostro erano la religione e la politica a produrre direttamente forme di irrazionalismo, laddove oggi l'irrazionalismo mi sembra prodotto direttamente dall'economia, cioè dall'automatizzazione del monoteismo del mercato capitalistico, in particolare quello finanziario, e del feroce unilateralismo militare e giuridico dell'impero americano. Questo nuovo tipo di irrazionalismo non si presenta più con i richiami magici al sangue, alla terra ed al suolo (anche se nel sionismo c'è purtroppo anche questo), ma si manifesta come iperrazionalismo tecnologico. E qui interviene specificatamente la conoscenza filosofica, perché solo la conoscenza filosofica può adeguatamente smascherare questa doppia realtà virtuale che vuole cacciar via quella reale, la liberazione dei popoli, delle nazioni, delle classi e degli individui.

23. In terzo luogo, per finire, a proposito del tema della verità, bisogna subito far notare che il Nostro era un difensore della nozione di verità scientifica contro ogni convenzionalismo e relativismo. Tutto questo deve essere particolarmente apprezzato, se pensiamo che negli ultimi trent'anni del Novecento, in coincidenza con le affermazioni del post-moderno e del nichilismo, si è fatta strada una concezione prospettica della verità di origine nicciana, per cui la verità non esisteva, e si risolveva in due dimensioni entrambe non ontologiche. In primo luogo, la funzione energetica di volontà di potenza mobilitata da ogni singolo soggetto assolutizzato, ed in secondo luogo la prospettiva ed il punto di vista secondo cui ognuno vedeva il suo spicchio di realtà. Questa concezione, che in Italia prese la forma del cosiddetto "pensiero debole", poteva sembrare molto democratica e libertaria, perché erodeva le pretese prescrittive di ogni autorità, ed inoltre metteva sullo stesso piano ontologico qualunque punto di vista. In realtà si trattava proprio del contrario, perché la distruzione di ogni fondamento ontologico della verità lasciava di fatto libero spazio alla coppia formata dalla prospettiva e dalla funzione energetica della volontà di potenza, cioè esattamente alle grandi potenze militari, mediatiche, televisive e giornalistiche, le sole in grado ovviamente di imporre la loro prospettiva e la loro funzione energetica di volontà di potenza. Chi non comprende che alla base dell'odierna corruzione del ceto degli intellettuali in Occidente ci sta questo, e proprio questo, è come un gattino cieco che non capisce assolutamente dove si trova.

Per il Nostro la verità invece esisteva, e coincideva ovviamente con la verità scientifica. Non esisteva una vera e propria verità assoluta, dogmatica e definitiva, ma il processo di avvicinamento ad essa era visto come un interminabile processo asintotico di successive verità relative, sempre migliori e più adeguate. A mio avviso questa concezione, che si basava esplicitamente sulla teoria leniniana del rispecchiamento, può essere valida e feconda nelle scienze della natura, perché in un certo senso la natura sta ad aspettare paziente che generazioni successive di ricercatori la studino e migliorino le loro conoscenze. Esiste dunque un progresso scientifico, sia pure tenendo conto in parte delle obiezioni delle teorie epistemologiche discontinuiste, come quella di Kuhn sulle crisi e sulle rivoluzioni scientifiche. Ma questa teoria dell'avvicinamento asintotico di verità relative sempre migliori non mi sembra applicabile alla conoscenza della realtà sociale ed umana, perché la società non è una struttura complessa che sta lì ad aspettare che noi la studiamo con strumenti sempre migliori, ma è un mutevole rapporto dialettico che appunto si muove con noi, e non consente a mio avviso nessuna addizione conoscitiva asintotica. Nella concezione del Nostro Engels si sposava con Kant, e la teoria engelsiana del rispecchiamento si univa, in modo peraltro geniale e creativo, con la teoria kantiana dell'avvicinamento interminabile ed asintotico alla realtà, che il Nostro ovviamente non considerava noumenica, ma conoscibile in via di principio. Personalmente, sono lontano da questa concezione.

24. Siamo così arrivati alla conclusione. Occorre ricordare ed onorare uomini come il Nostro, perché essi non erano solo portatori di un insieme di concezioni, tutte opinabili e pertanto tutte criticabili, ma erano soprattutto portatori di un'etica dell'impegno e della conoscenza che si va oggi perdendo. Siamo oggi giunti ad un punto molto basso, e non ho ancora capito se abbiamo già toccato il fondo oppure no. In ogni caso, l'esempio dei nostri grandi predecessori ci spinge avanti, e credo che la gratitudine sia un sentimento da rivalutare contro l'oblio.



Alla prima parte





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