Dalla Rivoluzione alla Disobbedienza

Note critiche sul nuovo anarchismo post-moderno della classe media globale

X parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dodici parti.

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36. Un'osservazione preliminare. È possibile una politica del desiderio? Rispondo decisamente: no, non è possibile. E non è possibile per il fatto che la politica è per definizione l'arte del limite e della finitezza, mentre il desiderio è per sua stessa natura illimitato, indeterminato ed infinito, e quindi per definizione politicamente non regolabile. Spero che il lettore riesca a cogliere concettualmente questo punto fondamentale, perché in caso contrario è inutile proseguire il ragionamento.

37. Foucault, Deleuze, Guattari, eccetera, si sono limitati ad auspicare una politica del desiderio, e solo Negri ha fatto il vero salto dall'auspicio alla proposta vera e propria. Ma una proposta impossibile dà luogo ad una pratica inesistente. Quella di Negri non è allora una politica, ma una vera e propria anti-politica. L'anti-politica, per sua stessa natura, lascia un vuoto, ed in questo vuoto possono entrare tutte le politiche opportunistiche del cosiddetto movimento No Global. Questo è il segreto del favore con cui i vertici No Global considerano questa filosofia. Essa non è una loro rivale, poiché si pone su di un altro terreno, puramente virtuale e fantasmatico. La lunghezza d'onda del desiderio non incontra mai la politica, e per questo può essere lodata e raccomandata. Come nella cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, l'annuncio di salvezza di Gesù di Nazareth non è traducibile in termini politici, ed appunto per questo non dà nessun fastidio agli apparati ecclesiastici e sacerdotali, che non se ne sentono in alcun modo minacciati. Se infatti si sfoglia l'ultimo libro di Hardt-Negri, Impero, questa dimensione religiosa è ossessivamente presente, appunto perché nasconde la sua totale inapplicabilità politica: la teleologia della moltitudine è teurgica (p. 366); il comunismo è amore e innocenza (p. 382); il povero è la condizione di qualsiasi possibilità dell'umanità (p. 152); S. Francesco di Assisi è il nuovo modello di annuncio rivoluzionario (pp. 382-383).

38. Se i marxisti non fossero ridotti ad una manica di specialisti rissosi rinchiusi in centinaia di workshops accuratamente separati l'uno dall'altro, in modo che filosofi, storici, economisti, sociologi, politologi, eccetera, non possano mai incontrarsi per verificare se per caso si riferiscono oppure no ad un unico paradigma comune, si sarebbe già dovuto aprire da tempo una discussione seria su questo nuovo paradigma frutto del matrimonio fra Padova e Parigi, operaismo ed antropologia del desiderio.

Ovviamente questo non è avvenuto. A suo tempo uscì un rabbioso libello scritto con stile staliniano (cfr. M. Clouscard, I tartufi della rivoluzione, Editori Riuniti, Roma 1975) in cui Deleuze e Guattari, ed indirettamente Foucault, erano definiti neo-fascisti, in nome ovviamente del marxismo-leninismo. In questo modo cavernicolo gli stessi argomenti di Clouscard (alcuni dei quali non privi di plausibilità) diventano inutili e vuoti. Chi accusa Negri di "fascismo" si autoesclude di fatto da qualsiasi discussione razionale. È bene non dimenticarlo mai.

39. A mia conoscenza, le uniche critiche "civili" al modello Negri-Deleuze sono venute da pensatori moderati di orientamento politicamente liberale e filosoficamente kantiano. Gente, cioè, che difende il soggetto come titolare di scelte morali alternative responsabili. Si tratta del presupposto psicologico ed antropologico di ogni agire politico. Farò qui solo due esempi, e li faccio con tristezza, perché queste cose avrebbero dovuto essere dette da persone che continuano a criticare radicalmente il capitalismo, e non essere lasciate a dei liberali neo-kantiani.

Il primo esempio. Nel suo libro dedicato alle scuole filosofiche contemporanee (cfr. Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Bari 1987) Jürgen Habermas critica esplicitamente la teoria politica che deriverebbe inevitabilmente da Foucault (op. cit. pp. 241-270). Questa critica è a mio avviso molto intelligente. Habermas capisce bene che Foucault fa diventare il Potere un concetto trascendentale a priori, ed in questo modo qualunque agire politico, compreso il più democratico, diventa una specificazione del Potere, che è a sua volta considerato come assiologicamente negativo. Foucault (e di riflesso il suo allievo padovano Negri) non fonda così una nuova politica, ma ribadisce semplicemente l'impossibilità di ogni politica.

Il secondo esempio. Due liberali francesi, di cui uno è oggi diventato un politico chiracchiano di alto livello (cfr. L. Ferry - A. Renaut, Il 68 Pensiero, Rizzoli, Milano 1987) inseriscono correttamente la filosofia del desiderio in un più ampio movimento anti-umanistico di critica della soggettività. Si tratta appunto del Sessantotto-Pensiero. Io non sono d'accordo con tutto quello che dicono, in particolare quando sostengono che tutto il cosiddetto anti-umanesimo francese è solo una ripetizione della filosofia tedesca novecentesca. Sciocchezze. E Adorno, per esempio, dove lo mettiamo? Ma si tratta di dettagli. La tesi di fondo, a mio avviso, è giusta nell'essenziale. La distruzione del soggetto è la distruzione di ogni etica, non solo di ogni morale, e senza la scelta etica a mio avviso non ci può essere comunismo di qualsiasi tipo. Poi sulla fondazione dell'etica è possibile discutere ancora. Ad esempio, io considero impossibile un'etica universalistica dell'amore, e mi basta un'etica universalistica della solidarietà (in buona compagnia peraltro con Leopardi). Ma tutto questo presuppone una teoria dell'io che non sia certamente schizofrenico o paranoico, ma neppure minimo e frammentato.



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