Dalla Rivoluzione alla Disobbedienza

Note critiche sul nuovo anarchismo post-moderno della classe media globale

XI parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dodici parti.

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40. Posso ora avviarmi alla conclusione. Vorrei essere chiaro e soprattutto onesto con il lettore. Non vorrei raccontar(gli) e raccontar(mi) delle storie, secondo l'inveterata abitudine dei cosiddetti intellettuali di sinistra, di cui non faccio parte. Essi non ragionano come studiosi, ma come cappellani militari, che devono galvanizzare la truppa, consolarla per le perdite della prossima battaglia, ed andare poi a rapporto dai generali.

Per quanto riguarda la dinamica ideologica probabile dei prossimi anni (il lungo termine per definizione nessuno lo conosce) sono molto pessimista. Credo che prevarranno proprio quei vicoli ciechi teorici e culturali che ho segnalato. Le ragioni per cui questo avverrà sono molte, ma per comodità del lettore le riassumerò in quattro distinte parolette: Soggetto, Marxismo, Desiderio, Potere.

41. Iniziamo da Soggetto. Do per scontato che il lettore abbia capito il mio punto di vista, per cui la classe operaia e proletaria di fabbrica, sia pure "mondializzata", non può più essere ancora decentemente considerata la classe rivoluzionaria per eccellenza. Rimando alle tesi di Bauman, che condivido nell'essenziale. In breve, la classe operaia di fabbrica presenta due tendenze strutturali costanti nella storia e nella geografia, l'economicizzazione del conflitto dopo un primo periodo di nostalgia contadina ed artigiana, e la delega a ceti politici professionali di rappresentanza, la cui integrazione fatale nel sistema è stata descritta per la prima volta da Roberto Michels in modo assolutamente newtoniano e darwiniano, cioè pressoché definitivo. Il fatto che in questo momento nel mondo il lavoro salariato sia in espansione, a causa dell'abbandono della terra da parte dei contadini poveri che emigrano, è per ora un fatto solo statistico, non culturale e politico, e chi confonde la statistica con la politica (cfr. Lotta Comunista, eccetera) inganna solo se stesso ed i pochissimi che lo stanno a sentire. La statistica non è mai politica senza passare per la cultura. E chi pensa che l'economicismo veteromarxista sia cultura perderà sempre non solo contro i supermercati, ma persino contro Allah, Brahma, Siva e Visnù. L'uomo non vive di solo pane, specialmente quando non ce l'ha. L'uomo è un animale simbolico, non un animale utilitaristico come credono i veteromarxisti.

La frammentazione dei soggetti è dunque un fatto oggettivo. Io non credo alla cosiddetta "fine del lavoro" di Jeremy Rifkin, ma è certo che ormai non possiamo più contare sulle grandi aggregazioni di fabbrica del tempo della Seconda e della Terza Internazionale (con cui tutte le molteplici varianti della Quarta condividono il paradigma teorico di fondo). Quando Negri parla di "moltitudini" non si può onestamente dire che se le sia inventate, mentre è evidente che si inventa la loro capacità rivoluzionaria definendola addirittura "teurgica", cioè costruttrice del nuovo Dio. Storicamente, queste sciocchezze si sono già presentate una volta con Lunaciarsky in Russia all'inizio del Novecento. Lenin considerava Lunaciarsky un simpatico matto tranquillo, mentre oggi si può parlare di "teurgia" senza che nessuno se ne accorga neppure.

È allora chiaro che se i soggetti non si presentano in modo diretto costituiti dall'economia (ma questo non è mai avvenuto), essi devono essere costruiti con la politica e con la cultura. Possono farlo oggi come oggi i cosiddetti "marxisti"? Assolutamente no. Per essi la politica o è militanza (variante di sinistra) o è rappresentanza (variante di destra). Ma la politica o è democrazia diretta o non è. In quanto alla cultura, i marxisti pensano che essa si identifichi con l'ideologia. Errore strategico. Riduzionismo grottesco.



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