zingari, rom, kosovo, profughi



"All right! All right! All right!"






Soldati della NATO

 
 
 
Una Questura dell'Alta Italia. Una voce di donna risponde "Stranieri"… non "Ufficio stranieri", appena un biascicato "stranieri"… e se le parli di ciò che subiscono i Rom, ti risponde, "non so se Lei si è informato ma la guerra è finita… da parecchio tempo che non succede più niente nel Kosovo". Una morte senza timbri, senza nemmeno il diritto di essere morte. 

Cinquanta e forse più anni fa, mi raccontano, Miloshevich conquistò il Kosovo ai Turchi in una grande battaglia e giurò che sarebbe stata sempre serba; e ora Clinton glielo vuole rubare.  

Piovvero fuoco e uranio per ottanta giorni e ottanta notti, due volte il diluvio di Noè… bombe a grappoli dal cielo e mine sottoterra per i giochi di tutti i bambini di tutti i tempi futuri. La morte dall'alto, invisibile come la peste. 
A Graçanica c'è una batteria antiaerea. A montare la guardia è un ragazzo serbo. Quand'ecco che, da lontano, compare un aereo spia senza pilota. Il ragazzo chiama a raccolta i suoi amici, serbi e rom, e chiede quante bottiglie di birra gli daranno se lui abbatte l'aereo. Raccoglie le offerte, spara e colpisce.  
 
Viene in visita Arkan, il selvaggio sposo della bellissima cantante Ceca amata dai Rom. La tigre è in un albergo a Prishtina e vede una donna Rom, una cugina di Lulzim, che fa le pulizie delle camere. Le chiede se la trattano alla pari dei serbi; e poi le dà una piccola scatola, dicendole di aprirla solo quando sarà uscita. La Romni va nello sgabuzzino in cui tiene le sue poche cose, apre la scatola, e vi trova dentro 1.500 marchi. "Miloshevich ha cento volte più soldi di Arkan, ma non ha mai fatto niente per nessuno, mentre Arkan ha sempre dato ai Rom," mi diranno. Qualcuno però risponde che Arkan ha dato solo per calcolo e non per vera compassione. Come Sheshelj, che ha trovato, per i Rom, lavori, più o meno utili in tutta la Jugoslavia, ed è stato accusato dai serbi di essere troppo amico degli zingari. 

In una notte di pesante bombardamento, una colonna di fuoco si alza da Prishtina, proprio mentre all'ospedale della città Altna dà alla luce la piccola Xhevrija. 

Per un attimo la tempesta cessa. 
 

 

Guerriglieri dell'UCK
 

Arrivano gli uomini dell'Occidente, forse inglesi. Assieme a loro, gli albanesi del Kosovo; e assieme agli albanesi del Kosovo, bande su bande dalla profonda Albania.  

Uomini dalla pelle chiara, la barba non curata, capelli rossi al vento e sangue sulle mani; voci forti e selvagge… UCK… l'avvoltoio che i versi del Corano avevano chiuso per un po' nel muro, come cento secoli e secoli ancora di briganti e grida di morte. 

Restano solo i serbi che non hanno alcun ruolo politico e i Rom; vegliano giorno e notte in attesa. Quando il primo nugolo di albanesi arriva, qualcuno corre a chiamare i soldati occidentali. 

Ed ecco il soldato inglese tra le strade del villaggio. Davanti a lui, una massa di uomini dalla pelle scura che sollevano in alto i loro bambini e gridano in una lingua che non è né serbo né albanese, ma rom. Perché accanto al soldato inglese, c'è un milite dell'UCK, e i rom non osano parlare altro che la propria lingua. 
I rom raccontano la loro versione al soldato inglese in rom. E il milite dell'UCK racconta la sua in inglese. 

Allora l'inglese inizia ad agitare le mani, urla "ALL RIGHT! ALL RIGHT! ALL RIGHT!". E se ne va. 

Così l'UCK fa visita a Lulzim. Sono dieci uomini in divisa, con l'insegna dell'UCK sulle spalline e un accento che non è del Kosovo. Lulzim fa vedere i documenti: nome e cognome albanesi. Allora, sorridendo, il comandante del gruppo tira fuori una pianta, in cui è segnata ogni casa di Graçanica, etnia per etnia. E la casa di Lulzim porta, inequivocabile, la definizione di casa di Rom. 

Così gli dicono che ha dieci minuti per andarsene da lì. Lui dice che non se ne andrà. Benissimo, potete restare in casa, comunque noi tra dieci minuti esatti ci butteremo due bombe. 

Altna, che di orologi e minuti non sa nulla corre tremando alla ricerca di vestiti per i suoi piccoli.  
 

 
Ciò che resta di un quartiere Rom (Theo Fründt).

I Rom, a piedi vanno via da Graçanica in fiamme. Si dirigono verso un grande edificio, forse una chiesa. È da lì che si prepara la fuga dal Kosovo. 
Nulla rende più ricchi della miseria altrui. C'è un serbo con un camion che porta vacche e maiali con addosso anni di sterco e la paura di essere macellati; ai posti di blocco ci sono i suoi amici albanesi. Cento marchi a testa per salire tra gli escrementi e arrivare salvi in Serbia, cinquanta per i bambini. Lulzim conta i suoi tre adulti e i suoi tre bambini. Tra i profughi c'è un ragazzo che è stato troppo in galera per sposarsi. È lui che lo aiuta a trovare i soldi per gli adulti e che nasconde i bambini a bordo del camion, in modo che l'autista non se ne accorga. 

Lulzim è sulla strada per Nish. Altna timida gazzella in un mondo di cacciatori. Nei costumi dei Rom, le sue braccia conserte portano sfortuna, ma non riesce a tenerle giù 
Bechir affida la sua mano calda di bambino quarantenne e con quella si dà con fiducia 
Emir per il quale il mondo è ancora un gioco 
Anela con furia e disperazione 
Xhevrija in balia di tutto, straccio febbricitante nella mano 

Nish è una città ormai bombardata troppe volte. Nella tenebrosa strada dei Rom più zingari che esistano, dove si alza il lungo muro dello Stoçni Trg e strada, ruscello ed escrementi sono tutt'uno. Guardano le mosche posarsi sui visi dei bambini, e Lulzim scoppia a piangere. 

Non c'è nessun aiuto da parte dello Stato. Lulzim viene fermato per strada dalla polizia, che gli chiede i documenti; e vedono che porta un nome albanese. Solo l'intervento di un passante convince il poliziotto che si tratta di un profugo. 

I Rom vanno a cercar da mangiare in una chiesa: il pope dà loro una busta di pasta al giorno.   

 
 





Questa sezione del sito Kelebek è dedicata all'esilio dei Rom (o "Zingari") dal Kosovo.

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