Crociati a Verona
seconda e ultima parte
 

di Miguel Martinez




Questa recensione è divisa in due parti, la prima introduttiva e dedicata al libro di Del Medico, la seconda una serie di riflessioni sulla questione dei “cattolici di destra”.





Uno strano mondo

Lascio a voi leggere il libro di Emanuele del Medico, e aggiungo qualche mio commento.

L’ambiente della destra cattolica non è facile da studiare. Non si può sperare di trovare materiale scritto che spieghi il motivo delle scelte che i suoi esponenti fanno. Cosa può raccontare di sé chi crede di parlare in nome della Verità? Curiosamente, questa assenza di biografia è anche una caratteristica di gran parte della storia comunista.

Il mondo cattolico di destra è fatto di persone che si incontrano in privato e che non hanno molto da scambiare con chi non è dei loro. Emanuele del Medico ha fatto un notevole sforzo per capire, ma la comprensione effettiva di questi mondi è difficile senza un’approfondita conoscenza personale. Solo la conoscenza personale ci permette poi di capire quanto la gente cambi; siamo tutti in perenne trasformazione, anche quando recitiamo il ruolo di portatori di verità eterne.


Di padre in figlio

Destra cattolica e neofascismo sono, in origine, due mondi ben distinti. Preciso subito che non uso neofascista come insulto. Intendo una persona che oggi sente in qualche maniera di avere un legame, in senso positivo, con l’era di Mussolini, (riservo il termine “fascista” per la generazione che era a fianco di Mussolini).

Cerchiamo di capire perché cattolici di destra e neofascisti sono in linea di principio qualcosa di ben distinto.

In Italia, una minoranza di persone si impegna in qualcosa. Ogni membro di quella minoranza cerca di presentare se stesso come portatore di un valore astratto. Che può essere il cristianesimo, il comunismo, il fascismo e così via.

Allo stesso tempo, i suoi avversari lo criticano proprio per quel valore astratto che porta: l’individuo in questione “è” Torquemada, Stalin o Mussolini in persona.

Poiché conviene sia ai protagonisti che ai loro avversari, questo gioco a due è estremamente arduo da smontare, eppure farlo è indispensabile se vogliamo capirci qualcosa.

Riflettiamo quindi un attimo. Si aderisce raramente a uno schieramento per motivi sociologici. Poteva essere così nel primo Novecento, quando radicali differenze di classe portavano il padrone a essere di destra e l’operaio a essere di sinistra. Oggi c’è un’omologazione psicologica molto forte, per cui quasi tutti - qualunque sia il loro reddito - si identificano in un unico ceto medio generalizzato, o se vogliamo, una sorta di plebe consumante. O magari succede come a quel mio amico comunista di famiglia aristocratica, che a cinquant’anni si è messo a fare il muratore. Non per conoscere "il popolo", come poteva succedere una volta, ma per “conoscere gli extracomunitari e i fascisti”.

Oggi non si diventa “comunista” o “neofascista” o “cattolico” per motivi di ceto. Ma nemmeno perché si decide di accettare razionalmente questa o quell’ideologia dopo matura riflessione e tanto studio.

No. Si diventa “comunista” o “neofascista” o “cattolico”, nel novanta percento dei casi, o per eredità familiare o per adozione in un gruppo durante la più confusionaria e impreparata adolescenza.

È una realtà dura da ammettere. Ma è un fatto.

Per questo,  chi studia questi mondi deve cercare di cogliere quello che in genere non si trova scritto da nessuna parte: la storia personale dei singoli militanti.

Ora, si possono trovare punti di convergenza o di divergenza tra neofascisti e cattolici di destra; ma rimane un fatto fondamentale: le loro storie personali sono diverse.

I neofascisti sono quasi sempre i figli, o i nipoti, dei militanti fascisti; i quali erano quasi tutti laici. Arturo Carlo Jemolo ha messo  bene in rilievo come il podestà fascista poteva essere complice del parroco nell’organizzare la processione del santo, e il parroco poteva essere complice del podestà nel benedire le bandiere dei balilla, ma fascisti e clericali erano due gruppi umani nettamente distinti. Il gerarca locale era spesso un anarchico o un socialista che aveva smesso di fare l’anticlericale, ma non per questo era diventato credente.

I cattolici di destra sono invece i figli, o i nipoti, dei cattolici impegnati della stessa epoca; nipoti a loro volta dell’ampia minoranza di italiani che si rifiutò di riconoscere il risorgimento. In media, sono anche probabilmente più benestanti dei neofascisti.

Quindi abbiamo due  comunità umane distinte, con linguaggi diversi. La retorica neofascista è quasi sempre rivoluzionaria, quella cattolica di destra è contro-rivoluzionaria. Il cattolico ha poi un enorme patrimonio culturale alle spalle, come può testimoniare chiunque sia rimasto a guardare le migliaia di densi tomi che si trovano nelle biblioteche dei monasteri. Il neofascista ha  spesso una biblioteca minima, tutta risalente al Novecento, costruita con l’unico criterio di riunire autori che per i più svariati motivi avessero avuto simpatie per un qualunque governo dell’Asse.

La grande sconfitta e la Tradizione

Però sia cattolici che neofascisti hanno lo stesso problema: come spiegarsi una sconfitta. La fine della cristianità, per i primi; la fine del fascismo, per i secondi.

Alcuni ambienti cattolici avevano già elaborato una risposta poco dopo la Rivoluzione francese. Si tratta di un grande racconto tragico, che parla di un mondo un tempo perfetto, che si è guastato per la natura peccaminosa delle persone. Occorre quindi battersi contro tutto il processo della modernità; ma la vittoria verrà, anzi deve venire, visto che la vuole Dio. Ma la situazione è tale che questa vittoria potrà venire solo con un intervento divino, promesso dalla Madonna a Fatima, che rimetterà le cose al loro posto.

Questo è il racconto tradizionalista, che viene ripreso nell’essenza da molti neofascisti, con una forte immissione di elementi tratti dall’occultismo dell’Ottocento e dalla Massoneria, anche se i diretti interessati non lo ammetteranno mai. Solo che il “mondo perfetto” dei neofascisti viene proiettato secoli indietro, fino ai tempi che chiamiamo preistorici. Questa è una descrizione sommaria, e so benissimo che alcuni dei diretti interessati si arrabbieranno per la sua superficialità. Ma a me non interessa sapere cosa volevano dire veramente De Maistre o Evola; mi interessa sapere perché questi autori (o almeno riassuntini degli stessi) affascinano certe persone oggi.

La comune sconfitta, il comune senso di impotenza, la comune necessità di rifarsi al passato, porta quindi neofascisti e cattolici di destra a trovarsi, a litigare e a ritrovarsi. Alcuni gruppi pretendono di essere sia veri fascisti che veri cattolici: è il caso ad esempio di Forza Nuova. Anche se sembra che molti suoi adepti, pronti ad agitare crocifissi in faccia ai musulmani, escogitino ogni possibile pretesto poi per non andare a Messa.

Ribelli conservatori

Su Franco Venturi i cattolici di destra hanno detto sciocchezze inenarrabili, e allo stesso modo le dicono sugli immigrati, sui rom o "zingari", sulla musica rock, sugli omosessuali… L’islamofobia e il culto dello “scontro di civiltà” sono strumenti terribili del dominio che subiamo.

I cattolici di destra veronesi hanno deciso di fare una guerra a senso unico: non sono certo i gay lesbian bisexual transgender, ad esempio, ad aver aggredito per primi; anche se i cattolici di destra riescono spesso a recitare a loro volta il ruolo di martiri e vittime.

Allo stesso tempo, però, mi piace cercare le radici delle cose, anche al costo di farmi nemici.

Troviamo che alcuni di questi crociati  come Gianni Baget Bozzo o Massimo Introvigne approvano in pieno l’essenza del mondo attuale, pur opponendosi ad alcuni aspetti che ritengono decadenti. Accettano in pieno il mostruoso ciclo consumistico del Natale, ma si preoccupano solo che non si dimentichi di andare a Messa alla vigilia. Approvano senza problema i piloti dei bombardieri, ma sarebbero più contenti se si portassero dietro il rosario. Questi sono i “cristianisti” o “teocon”.



Un rosario sulla mitragliatrice di un carro armato Bradley del Primo Reggimento di Cavalleria, Quinto Battaglione, appena prima della strage di Fallujah, 10 novembre 2004. (AFP Patrick Baz)


In altri crociati, spesso quelli in apparenza più estremi, troviamo però un rigetto istintivo della società dello spettacolo che lusinga, sommerge e annulla tutti.

Non a caso parlano di tempi mitici in cui il denaro non avrebbe fondato i rapporti tra le persone; c’è un confuso disprezzo per la volgarità che il capitalismo genera inesorabilmente, per la musica mercificata, per il buonismo del politically correct che vieta di offendere potenziali consumatori di qualunque tipo.

Rabbia e desiderio di qualcos’altro sono cose profondamente sane in un mondo in cui quasi tutti vivono un sonno profondo.

Non è una rivolta cosciente: la maggior parte di questi crociati potenzialmente anticapitalisti non sa cogliere ciò che li distingue dai cristianisti. E per questo vengono spesso riassorbiti. Anche se in questo momento esiste una discriminante decisiva, la guerra contro l'Iraq. Per una maggioranza di cattolici di destra, si tratta di una crociata dell'Occidente.Una minoranza invece riesce a distinguere tra l'Islam - religione certamente eretica e contraria alla legge di Dio - e l'aggressione militare che abusa del nome di Dio per gli interessi del capitalismo statunitense, e che crea problemi drammatici per le comunità cristiane autoctone del Medio Oriente.

Non trovo grave in sé la natura irrazionale di questo movimento. È normale che rabbia e desiderio assumano forme mitologiche: è sempre stato così. Senza voler cadere negli eccessi di chi definisce il comunismo una religione, è pur vero che ogni rivoluzione comunista ha potuto trionfare grazie alla passione che suscitava nei cuori degli uomini, e quella passione aveva molti elementi mitici e religiosi.

Il problema vero è il rifiuto da parte di queste persone di andare a fondo nelle cose. Ci si sofferma in superficie, o inseguendo qualche chimerico sintomo. Per capire come, partiamo non dalle aggressioni ai rom o ai musulmani, ma da una cosa più leggera: gli attacchi alla musica rock, considerata demoniaca per via del curioso abbigliamento di alcuni divi, oppure per via di presunti messaggi subliminali satanisti in alcuni dischi.

Non voglio entrare in merito alla polemica sulla realtà dei messaggi subliminali satanici: su questo argomento, sono state scritte molte sciocchezze, ma è stato fatto qualche lavoro tecnicamente serio, come quelli di Paolo Baroni, che ha in effetti dimostrato l'esistenza di certi rari casi. Per lui sono messaggi satanici, personalmente io tendo a pensare che siano scherzi fatti proprio a danno di chi li va a cercare.

Più interessante è il concetto che l'antisatanismo ci rivela di Satana. Satana è un personaggio malvagio, ma è anche un personaggio che appartiene solo (o quasi) al dramma cristiano. E in quel dramma, è un perdente. Per questi motivi, un non cristiano, per quanto perverso, difficilmente adorerà proprio il Satana dei cristiani, se non come scherzo o provocazione.

Mentre il crociato cerca furiosamente una traccia di questo scherzo ascoltando disco dopo disco all’incontrario, gli sfugge l’immensa dimensione demoniaca dell’industria culturale, di cui la musica rock è una parte integrante.

Le enormi aziende che selezionano e lanciano cantanti-moda, costruiti sistematicamente in ogni aspetto per soddisfare e modellare insieme le oniriche attese delle masse consumanti; l’illusione di una trasgressiva “libertà” come merce che impedisce ogni vera liberazione; l’invenzione del giovanilismo; la convivenza commerciale, in tempi non lontani, tra il mercato del suono e il mercato dell’eroina; il muzak puro suono privo di ogni significato  studiato per ipnotizzare i clienti dei supermercati… cosa si può immaginare di più autenticamente satanico?

Ma forse questa demonizzazione senza approfondimento non è tanto diverso da quella di chi, a sinistra, incolpa di ogni male i "mostri sanguinari" e le "mele marce". Un meccanismo in apparenza più laico, ma uguale nella sostanza.

Giochi di specchi

Il cattolico di destra vive in un paesaggio che è stato devastato dal capitalismo: le città trasformate in musei e vetrine, i centri commerciali come unico luogo vivo, il mondo circostante un unico groviglio di autostrade. L’idrovora del capitale esporta turisti e uomini d’affari in tutto il mondo e risucchia immigranti, che al di là degli aspetti drammatici, sono ovviamente persone "come noi": cioè spesso aspirano a un successo individuale in pieno stile capitalista.

Il cattolico di destra, come il neofascista, percepisce tutto questo, ma riesce a tradurlo solo in un attacco all’ultimo dei sintomi: i migranti stessi.

Franco Venturi non reagì agli attacchi che dovette subire, ma chiunque si trovi nel mirino di certi pazzi furiosi ha il pieno diritto morale di difendersi. Sembrerà poco politicamente corretto, ma sostengo il diritto alla rissa con quelli di Forza Nuova, purché la rissa non si ammanti di troppa retorica.

Però la questione non è così semplice.

Se mi oppongo a chi critica un arrogante miliardario della musica rock, o se difendo il diritto delle imprese italiane a trovare la manodopera che vogliono al prezzo che vogliono, o il diritto di persone provenienti da paesi lontani a farsi i soldi nel rispetto delle regole del sistema, dove sto rispetto al sistema stesso?

Non divento anch’io una goccia d’olio che fa scorrere meglio gli ingranaggi di un meccanismo planetario?

Dove passa il confine allora tra militanza di sinistra e una sorta di pronto soccorso per smussare le contraddizioni del capitalismo e rendere meno acuti i conflitti?

È una domanda difficile e non pretendo assolutamente di avere la risposta.

Ma forse cambiare prospettiva può aiutare a riflettere, o almeno a farci sentire un po' più strani - l'inizio della sapienza è la meraviglia, diceva Platone.

E quindi scombussoliamo tutte le carte con un parallelo apparentemente lontanissimo. Leggiamo insieme un articolo di Larry Derfner, tratto dal Jerusalem Post del 13 gennaio 2005, in una traduzione che circola in rete.

L'articolo si intitola, "Perché invidio i coloni". Citando questo articolo, non voglio affatto dire che i coloni israeliani siano uguali ai cattolici integralisti di Verona. Le differenze tra la realtà israeliana e quella italiana sono ovviamente gigantesche. I cattolici di destra di Verona non hanno mai ucciso nessuno; allo stesso tempo, fanno una banale vita borghese, a differenza di chi si insedia sulle colline palestinesi.

Eppure questo articolo fa venire in mente qualcosa, risveglia curiosi ricordi.

Forse questa testimonianza, per quanto carica, può aiutare a capire quale sia la forza e l'attrazione di realtà che si ispirano al sacro, pur nella più totale ottusità e confusione.



Larry Derfner, dal Jerusalem Post del 13.01.05

Perché invidio i coloni

Da israeliano di sinistra, vado nella direzione opposta a quella del movimento dei coloni. Non mi interessa la loro ideologia di supremazia ebraica, il loro estremismo politico e religioso, la loro tendenza naturale per teorie del complotto e violenza.

Non parlo naturalmente di ogni individuo in tale movimento - parlo dei tratti di personalità dominanti del movimento in toto.

Ma queste mie critiche sono dirette solo al loro credo politico e religioso. Quando devo giudicare quei veri credenti sulla base del modo in cui vivono le loro vite quotidiane, dal tipo di società e comunità che hanno costruito insieme, allora, da persona di sinistra, non posso che ammirarli. Dirò di più: li invidio.

In così tanti campi importanti, i coloni ideologici vivono secondo principi che la sinistra dice di appoggiare, mentre la vita quotidiana della "comunità" di sinistra è una presa in giro dei suoi principi che dovrebbe seguire.

Io mi chiedo: se mi trovassi bloccato nel deserto con una sola macchina che passa, chi preferirei trovarci: una famiglia di coloni religiosi di Bet El, o un post-sionista candidato al dottorato dall'Università di Tel Aviv? Non ho alcun dubbio.

quando si tratta di farsi in quattro per aiutare gli altri, i coloni sono semplicemente campioni del mondo, mentre i "sinistri" vivono le proprie vite, sono individualisti, attaccati alla propria privacy pensando i propri pensieri.

Dare di se stesso per aiutare il prossimo dovrebbe essere uno dei valori centrali della sinistra. Chi lo vive veramente e chi no?

E che cosa dire del materialismo e della caccia alla posizione? La sinistra dovrebbe essere quella che ha un'alternativa all'ossessione materialista occidentale con "gli oggetti", l'ossessione con il gusto, sempre arrampicandosi da qualche parte, e quell'alternativa dovrebbe essere basata sul dimenticarsi un po' del vecchio ego, e dedicare la propria vita a principi più grandi e meno egocentrici. Dove si trovano questi valori?... A Ofra o a Ramat Ha-Sharon?

Poi - Che dire della madre di tutti gli ideali contemporanei della sinistra - il multiculturalismo, conosciuto anche come "inclusione"?... Andate ad una manifestazione di Pace Adesso, e tutto ciò che vi troverete sono Ashkenaziti, "bianchi", - al 99%, senza esagerazione. Il tipo universitario, tutti.

Non è - D-io ce ne scampi e liberi - che gli ebrei "orientali" della classe lavoratrice non sono i benvenuti - In realtà, se un contingente da Shlomi o Yerucham volesse venire in Piazza Rabin, sono sicuro che Pace Adesso affitterebbe elicotteri per portarceli e riportarli a casa. Ma il fatto resta che solo i borghesi ben istruiti e Ashkenaziti vanno a queste cose.

Ora, fatevi una passeggiata fra le folle dei coloni dell'accampamento di tendoni davanti alla Knesset. Ci vedrete quasi solo ebrei osservanti, ma in questo comunità di ebrei di destra e osservanti non c'è una sola classe o gruppo etnico. Ci sono Ashkenaziti e Orientali, ci sono anche Etiopi, gli ebrei israeliani più poveri, che non vedrete MAI ad una manifestazione della sinistra. Quanto a classe, alcuni di questi hanno l'aria raffinata, altri sembrano rozzi.

Là troverete la stessa "inclusione multiculturale" vista in ogni manifestazione gigantesca della destra. Vero: la folla è quasi tutta osservante, e non ci sono arabi. Ma neppure nelle manifestazioni per la pace ci sono arabi, eccetto per quelli invitati a fare discorsi, e quasi tutti sono laici.

Quindi, dove vai se vuoi vedere un'immagine veramente di sinistra dal punto di vista demografico - l'arcobaleno della nazione, il mosaico umano, Il Popolo? Vai a Gerusalemme o a Ramat Aviv?

Una volta la sinistra aveva dalla sua lavoratori e contadini; adesso tutto quello che ha sono intellettuali. La sinistra una volta aveva la sua versione delle colonie - un modello vivente di comunità semplice, un modello di vita costruito su principi di sinistra.

Si chiamava il Movimento dei Kibbutz, e nell'ultima generazione non c'è stato una comunità più demoralizzata in tutto il paese. I kibbutzim hanno abbandonato il "noi" per il "me" con una fretta ineguagliata al di fuori delle ex repubbliche sovietiche!

I kibbutznikim non cantano e ballano più intorno ai falò. Se vuoi cantare e ballare devi andare nelle "colonie" di Giudea, Samaria e Gaza, devi andare a Gerusalemme, agli incontri dei religiosi. Lì è dove sentirai lo spirito, il calore, l'unità la vicinanza - non nei circoli elitisti degli accademici e liberi professionisti della sinistra.

Sono gli ebrei osservanti di destra che sono le vere masse israeliane!

Oggi, sono essi che fanno un rumore che ha il suono del pianto dell'umanità. Il solo rumore che i sinistri fanno è quello delle chiacchiere da ristorante.

Nella battaglia per il futuro d'Israele, quest'anno, la destra sarà una presenza multiculturale e inclusiva nelle strade, mentre la comoda sinistra Ashkenzita sarà in-doors. Lasceremo che l'esercito e la polizia si occupino di tutto ciò...

Tuttavia, nonostante tutto, non voglio che mi si fraintenda - non sto cambiando parte, affatto. Quel che è giusto è giusto e quel che è sbagliato è sbagliato, e il movimento dei settler è sbagliato, distruttivo, e non possiamo continuare così. Spero sinceramente che un sacco di colonie alla fin fine sia distrutto e che l'ideologia del loro movimento sia sconfitta.

Ma se succede, spero anche che lo spirito umano e comunitario dei settlement viva e cresca - da questa parte, a sinistra della Linea Verde. Se i coloni vogliono trasferirsi e ridedicare se stessi all'interno dei confini di uno stato democratico, ebraico, io, come israeliano di sinistra, non li vedrò più come un ostacolo per nulla.

Al contrario: li vedrò come un esempio da seguire, un'ispirazione. Persino come eroi.


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