Etica ed economia
Una critica radicale a Michael Novak e ai teocon

quarta parte
 

di Oscar Nuccio



Alla nota introduttiva




La "ricostruzione da zero" non deve muovere dagli scritti di Lutero, di Calvino ecc. Perché si faccia lavoro serio, e non ideologizzato, occorre accertare se il "pensiero economico" di costoro fu parto verginale di menti vergini, come lasciano intendere i loro apologetici biografi.

Dell'ex agostiniano Lutero non mi occupo, perché egli espresse in forma esasperata i princìpi della teologia giuridica cattolica (eppure oggi vi è chi in Germania lo propone come "illuminista"!). L'avversione antica e radicata contro i mercanti -checché contrabbandino Fanfani, Todeschini & C. sulla "simpatia" della Chiesa verso gli operatori economici - è da lui riespressa con vigore nel noto scritto Alla nobiltà della nazione tedesca ove dice, non diversamente dai predecessori suoi confratelli agostiniani del Trecento, di non conoscere "buone costumanze entrate in patria per mezzo di mercanti e per questo motivo Dio nei tempi andati fece dimorare il suo popolo d'Israele lungi dal mare, non permettendogli di esercitare la mercatura". Male peggiore è rappresentato dal prestito ad interesse "escogitato dal diavolo" e dal Papa convalidato "in tutto il mondo".

"[…]. Invero il prestito ad interesse dovrebbe essere un segno che il mondo, per i suoi gravi peccati, è venduto al demonio […]".

Ma è il rifiuto della ragione che testimonia i permanenti legami ideologici tra il frate apostata ed i teologi "gregoriani" (un Pier Damiani, ad esempio) ed i domenicani come Girolamo Savonarola, perché al pari di costoro il religioso tedesco demonizza la ragione, riscoperta dall'umanesimo civile italiano: questa è la "bella fidanzata del diavolo, la bella prostituta" che "pretende marciare da sola e ciò che essa dice, immagina che è lo Spirito Santo che la ispira. È la peggiore cortigiana di Satana". Non v'è dubbio che quanto a rifiuto del razionalismo umanistico Lutero è strettamente imparentato al prelato domenicano Dominici, il fiorentino arcivescovo autore della Lucula noctis.

Giurista, prima ancora che teologo, Calvino lascia traccia del pensiero laico nella concezione dell'uomo, pur dopo la rottura con il razionalismo umanistico. Convengo con André Biéler, autore di un libro sul pensiero economico e sociale di Calvino, che non è possibile studiare in dettagli questo pensiero senza preliminarmente indicare i fondamenti teologici sui quali questo poggia. Che se non ci si dà la pena di conoscere le grandi linee della sua dottrina dell'uomo e della società, ci si espone al rischio di non comprendere le ragioni profonde per le quali egli è intervenuto in campi che a prima vista dovevano essere a lui estranei; si rischia per giunta di deformare il suo pensiero interprentandolo alla stessa maniera di quello di un sociologo o di un economista del nostro tempo. Giuste osservazioni di metodo. Ma a tali osservazioni mi permetto aggiungerne una mia: è possibile studiare, o semplicemente rappresentare, il pensiero di un riformatore del calibro di Calvino, al quale viene attribuita la paternità di una grande "rivoluzione" (vedremo che altra grande "rivoluzione" dagli storici cattolici, in diretta concorrenza con i seguaci di Max Weber, è assegnata ai frati francescani!), assumendo in tutto e per tutto come suoi prodotti originalissimi le proposizioni uscite dalla sua penna, senza essere mossi dalla curiosità (che è meglio chiamare correttezza scientifica) di verificare se quelle proposizioni hanno, o non hanno, qualche legame, pur debole, con proposizioni formulate prima in altri e corposi contesti culturali? No, che non è possibile, a meno di menare il can per l'aia come sembra che facciano storici più o meno blasonati.

Certa mistica medievale aveva esasperato l'odio contro la natura ed il corpo nemico dell'anima. Il motivo del conflitto insanabile tra l'anima ed il corpo domina l'opera ascetica di Innocenzo III, le laudi di Jacopone da Todi, le omelie di Girolamo Savonarola. La riconciliazione delle due componenti la persona fu merito prioritario degli umanisti civili italiani (Albertano da Brescia, Coluccio Salutati, Giannozzo Manetti, Leon Battista Alberti, Lorenzo Valla). Questo aspetto esenzialissimo dell'umanesimo non può essere ignorato, come è stato ignorato dallo studioso elvetico di Calvino, che dell'opera di costui ha trascritto i passi più significativi aventi ad oggetto la sua concezione dell'uomo, e li ha presentati quali prodotti originalissimi di dottrina antropologica, come se Pico della Mirandola non avesse scritto prima della Riforma l'Oratio de hominis dignitate ove è umanisticamente spiegato il significato da dare al concetto espresso nel Genesi che Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza.

Calvino non aggiunge nulla che non fosse stato già detto dalla schiera di scrittori italiani del Quattrocento quando nella Istituzione dichiara che l'uomo è il più nobile ed eccellente capolavoro in cui appaiono la saggezza la giustizia e la bontà del Creatore. Egli precisa - magnifica Biéler - gli attributi di questa maiestatica umanità. Il lettore che non conosca - e lo si trova anche nel mucchio degli storici - l'opera di rivalutazione compiuta da tanti autori italiani penserà a una scoperta.


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