In god we kill
America tra terrorismo e rivoluzione
 



In god we kill di Ugo Maria Tassinari (JAMM, Napoli, 2002): una recensione e un commento sul fondamentalismo statunitense   


Miguel Martínez   

26 marzo 2002   




Il giornalista Ugo Maria Tassinari proviene da una lunga militanza nella sinistra che "volle dare l’assalto al cielo". E non rinnega la scelta di ribellione contro il dominio.

In god we kill: America tra terrorismo e rivoluzione - l'autore insiste sulla minuscola per il dio sanguinario a cui si riferisce, che non è quello dei veri credenti - è il suo terzo libro, preceduto da Biennio Rosso con Oreste Scalzone e il monumentale Fascisteria (Castelvecchi 2001), su cui mi permetto di aprire una parentesi. Fascisteria è un’opera impressionante per mole, che ricorda le immani biografie collettive della letteratura araba medievale: è la storia di non meno di duemila esponenti del neofascismo italiano, dal dopoguerra fino ad oggi. Per darvi un’idea di che cosa significhi (e ovviamente per incuriosire i diretti interessati, grazie ai motori di ricerca), ho allegato in un altro file l’indice analitico del libro.

Tassinari non pretende di scrivere biografie psicologiche o spirituali; si limita a presentare con meticoloso dettaglio i momenti in cui vicende personali hanno toccato le cronache. Fascisteria potrebbe quindi sembrare una delle più feroci e documentate denuncie del neofascismo in Italia. In realtà l’opera non è stata letta così dai biografati. Quelli che sono sopravvissuti alle turbolenti vicende dei decenni passati hanno quasi sempre apprezzato il rigore di Tassinari, che si accompagna a un rispetto assoluto per la libertà di espressione. Un rispetto che non diventa però complicità. A questo proposito, va detto che il titolo un po’ ironico e leggermente sprezzante di Fascisteria è stato scelto dall’editore e non dall’autore.

pilota usa

In god we kill è un’applicazione del metodo Tassinari a un’altra realtà: quella statunitense. Egli narra infatti le vicende di quasi mille estremisti statunitensi (qui potete vedere l’indice analitico anche di questo libro). Come in Fascisteria, le biografie fanno impressione per la loro violenza, eppure lasciano una strana sensazione. Perché i personaggi raccontati da Tassinari sono full blooded, larger than life, una via di mezzo tra gli scarti dei marines e gli ambigui eroi della mitologia celtica. Avesse ragione Isaac Bashevis Singer, quando disse che Dio creò il mondo perché amava sentir raccontare storie?


Perché non siamo tutti americani

In god we kill è uno dei pochi libri in lingua italiana a svelare un aspetto cruciale della cultura statunitense: il fondamentalismo omicida. È sorprendente, se pensiamo che gli Stati Uniti, negli ultimi sei mesi, si sono arrogati il diritto di annientare qualunque nazione sul pianeta, compresi – la notizia è di ieri – la Cina e la Russia. Eppure, mentre la Rizzoli ha pubblicato le sciocchezze di Oriana Fallaci, il libro di Tassinari è stato pubblicato dalle JAMM Edizioni di Napoli - alzi la mano chi le conosce. Non è una critica, ma anzi un invito a rivalutare il ruolo delle piccole case editrici (e anche a visitare il sito di "Immaginapoli" dove peraltro si può acquistare il libro online).

Il libro richiede però qualche commento. I personaggi, grandiosi, terribili e meschini che emergono dalle sue pagine ci appaiono profondamente alieni. Ed è giusto che sia così.

Permettetemi una nota personale. Sono stanco degli italiani che mi accusano di essere "antiamericano" perché mi oppongo alla Guerra del Bene Contro il Male. Certo, non sono filo-americano come loro; più semplicemente, io sono americano. Lo sono due volte, perché mia madre è nata negli Stati Uniti e perché mio padre è messicano, e il Messico è America quanto gli Stati Uniti stessi.

Non è vero, come dicevano alla manifestazione organizzata a Roma a sostegno del Petroliere del Bene, che "siamo tutti americani". Io sono americano; Silvio Berlusconi no. Berlusconi è un aspirante esecutore di ordini provenienti da un paese di cui sa poco o nulla. Berlusconi sta agli americani come gli ascari somali stavano agli italiani.

Proprio in quanto americano, vorrei aggiungere qualche nota per chi legge il libro di Tassinari.

L’immaginario unico

Un primo elemento è la straordinaria unitarietà dell’immaginario statunitense. Dalla California alla Virginia, le clapboard houses sono sostanzialmente uguali. E tutti, o quasi tutti, dicono le stesse cose. Infatti, in un paese di immigrati, l’identità nazionale è un atto di volontà, la decisione di essere americani e di conformare il più possibile. Motivo per cui "right" e "left" non sono sinonimi della nostra "destra" e "sinistra"; potrebbero essere al massimo equivalenti dei nostri "fascista" e "comunista": il 95% degli statunitensi che non si identifica con queste categorie estreme si considera appartenente soprattutto all’America.

Però, anche quando tutti parlano allo stesso modo, non è detto che i loro interessi reali coincidano.

Tassinari racconta molto bene il dramma dei contadini americani, annientati come categoria sociale in pochi anni. Un europeo resta perplesso davanti alla loro reazione. Nulla a che fare con il sindacalismo di sinistra che caratterizza gli europei in congiunture analoghe; i ribelli del Middle West si lanciano in un fondamentalismo religioso e politico che esaspera proprio le tematiche ideologiche tipiche degli Stati Uniti. Cosa ci ricorda questo comportamento? Proprio il mondo islamico dove tutti "parlano islamico", ma dove Islam in un caso significa capitalismo, in un altro socialismo, in un caso il potere, in un altro la ribellione.

La centralità della religione

Un secondo elemento caratteristico della società statunitense – che ci riporta di nuovo al parallelo con il mondo islamico – è la centralità del discorso religioso; che è in essenza un discorso cristiano, se le recenti ricerche pubblicate dall’università di NY dimostrano che appena il 4% degli statunitensi si riconosce in una religione non cristiana: giudaismo, islam, induismo o altro.

Mentre Bush invoca le benedizioni di Dio sulla sua guerra, i suoi oppositori organizzano veglie di preghiera; e i razzisti dell’Oklahoma si riuniscono in comunità che si ispirano alla Bibbia, in maniera non tanto diverso dal reverendo Martin Luther King che predicava l’uguaglianza razziale predicando di chiesa in chiesa.

Uno dei motivi dietro questa identificazione religiosa sta nella stessa struttura politica americana. Lo Stato (inteso come "federal government") non si fonda sul nostro concetto di garante del patto sociale, e nemmeno di sostegno per il più debole. Lo scopo dello Stato è uno solo: fare la guerra. Il compito classico dello Stato europeo, almeno dai tempi di Otto von Bismarck - quello di attutire la feroce violenza economica - viene invece demandato in larga parte alle chiese. Che offrono aiuto, animazione, sogni, coesione; e anche identità. Non c’è nulla di strano nel dire, come posso dire io, di essere cattolico per tre quarti e protestante per un quarto. E questa identità comunitaria si contrappone naturalmente a quella estranea, antisociale dello Stato.

Un mondo preilluminista

Un terzo elemento è l’arcaicità degli Stati Uniti: la "millenaria Italia" è in realtà più giovane degli Stati Uniti di un secolo; anzi, nella sua forma attuale, ha poco più di mezzo secolo. Per cui le novità europee, i grandi movimenti sociali, le ideologie, lo stesso concetto della ragione hanno avuto un effetto minimo sulla cultura statunitense. E questo ci aiuta a capire il livello incredibilmente basso della produzione culturale dei movimenti estremisti statunitensi.

La comunità esclusiva

Un quarto elemento è quello della comunità esclusiva. Una comunità che trova il suo modello in uno specifico episodio della Bibbia, quando Neemia affermò il patto tra gli abitanti della Giudea, contro ogni altra comunità del mondo. Questa è la radice ambigua della democrazia americana. La comunità degli "uomini liberi fedeli al patto", del "vero Israele", partecipi e armati. Contro i nativi americani, contro i neri, contro i cattolici, contro gli ebrei, contro gli arabi Al contrario delle società cattoliche, in cui il potere viene sempre delegato ad altro – con il risultato paradossale che nessuno ci crede davvero – nella cultura americana, in assenza di un potere superiore, ogni cittadino diventa esecutore del potere. Un potere che deve uccidere. Per chi in qualunque modo offenda la comunità, esiste un solo destino, che l’intera comunità deve applicare: l’annientamento. Questo spiega la straordinaria ossessione statunitense con le armi, con la pena di morte, con i film dove i malvagi vengono inesorabilmente messi a morte; e la normalità con cui gli Stati Uniti oggi sostengano la necessità di uccidere ogni uomo, donna o bambino che per un motivo o un altro si sia trovato ad appoggiare l’emirato islamico del lontano Afghanistan. Violence is as American as apple pie, "la violenza è americana quanto la torta di mele", si affermava trenta anni – e una quarantina di guerre – fa. Hiroshima non è un caso, ma una necessità del paradigma americano.

La violenza è l’altra faccia della famosa innocenza americana. Certamente reale: gli Stati Uniti hanno riserve illimitate di ignoranza, di mancanza di sottigliezza, di affermazioni di bontà che comportano di necessità lo sterminio del ‘male’.

Il concetto di comunità esclusiva di uomini liberi, che ha ben pochi paralleli nella cultura mediterranea, spiega alcuni tratti fondamentali dell’estremismo statunitense: il razzismo, che è anche la necessità di inventare un elemento identificante per un gruppo che non ha storie; il culto delle armi; e l’antistatalismo che però non riesce mai a trasformarsi in vera ribellione al potere.

Questo ci svela un altro mistero: come mai gran parte dei ribelli – Tassinari arriva a definirli rivoluzionari – provenga da esperienze militari molto dure. Come Timothy McVeigh, l’attentatore di Oklahoma City, che attacca direttamente e lucidamente lo Stato, ma non sembra affatto rinnegare il proprio passato di soldato americano.

L’apocalittica

Il quinto elemento, che riassume tutti questi, è l’Apocalittica. Gli Stati Uniti nascono come un esperimento alle cui spalle c’è una dimensione molto diversa da quella europea.

Innanzitutto c’è una lingua, estremamente rozza, che si innesta su un’altra lingua che invece è profondamente ricca. Che non è quella di Shakespeare, ma della coeva Bibbia di re Giacomo, the King James Bible. Questo testo racconta il vero passato americano, che altro non è che la storia d’Israele; una storia che si ripete miracolosamente nella storia degli stessi Stati Uniti: non a caso una gran parte dei gruppi menzionati da Tassinari scelgono di definirsi, in una maniera o in un’altra, come veri israeliti, magari – ma non sempre – con un’aggiunta di feroce, intima gelosia verso gli ebrei.

Ma il vero mito riguarda il futuro: la divisione radicale tra Bene e Male; la certezza – profondamente protestante – di trovarsi dalla parte del Bene; il prossimo annientamento del Male, in una strage di fronte a cui ogni strage del passato impallidisce. E l’instaurazione del Regno, in cui il Gesù guerriero degli americani garantirà il successo a chi lo merita e la morte a chi non ne è degno.

Ovviamente un paese talmente ricco, vario e importante non può rientrare completamente in questa descrizione. Ma è importante capire che questa è l’anima profonda degli Stati Uniti; e se non comprendiamo quest’anima, finiamo per non capire affatto il paese con cui troppi si affannano a identificarsi.

Questo mi riporta a un’idea che è insieme è un timore e una speranza. Il sottotitolo del libro di Tassinari parla infatti di "terrorismo", ma anche di "rivoluzione".

È ovvio che nessuno, da fuori, riuscirà mai a intaccare il dominio americano. È solo da dentro quel paese terrificante che potrà arrivare la redenzione. Trent’anni fa, quando i giovani intellettuali si ribellarono alla guerra del Vietnam, si poteva per un attimo sognare una redenzione illuminista per quel paese. Ma l’illuminismo è stato solo un tocco passeggero dell’Europa, scatenato dal caso della leva di massa in una guerra senza senso. Nulla fa sperare in una di quelle "prese di coscienza" elegantemente laiche e democratiche in cui può credere un europeo.

Io non odio e non amo l’America: il disgusto per l’oligarchia di criminali, di petrolieri e di registi che dirige il paese non significa disprezzo per l’America vera che le obbedisce.

Io credo che ci sia un potenziale di bene anche in quell’America profonda, drammatica, diversa dall’Europa quanto il Niger o la Siberia. Un mondo crudele e insieme innocente, omicida e credente come i bambini. Eroicamente paranoico. Un mondo anche ignorante; ma che – se riuscisse a liberarsi dal divide et impera delle contrapposizioni razziali - sa già tutto ciò che dovrebbe sapere, per la redenzione sua e nostra. Questa America sa che oltre l’Atlantico ci sono i gladiatori e i leoni, da visitare forse, ma che non si devono né salvare né opprimere. Sa che non c’è mai da fidarsi dello Stato e dei suoi padroni.

E sa che l’Anticristo è colui che sfrutta il nome di Dio per condurre le guerre.


Indice del libro Fascisteria di Ugo Maria Tassinari


Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca