Islam, che paura!!!
 



Paolo La Spisa ha 31 anni, ed è un arabista fiorentino. Ha vissuto un anno in Siria dove oltre a studiare arabo, ha partecipato a incontri di dialogo tra cristiani e musulmani. Attualmente svolge una ricerca di dottorato presso l'Università di Firenze in "Lingue e culture del Mediterraneo" con una tesi sulla polemistica arabo cristiana nel Medio Evo.





Ancora esempi di "propaganda" e "guerra al terrorismo" in carta stampata non risparmiano i quotidiani più letti dagli italiani. Le autorevoli voci di Bernard Lewis e Magdi Allam si levano a verdetto. Nei momenti in cui domina il panico e una nuova Roncisvalle appare all'orizzonte, ci sentiamo bisognosi di sicurezza e ci nascondiamo dietro ataviche chiusure a testuggine di sapore medievale. Se prima l'Anticristo era Maometto oggi sarà il turno di Osama o Saddam, l'importante è che mentre allora c'erano il papa e le crociate oggi ci siano i Bush con le loro "guerre umanitarie".

Si è parlato e si parla anche di guerra d'informazione, e qui veniamo al punto.

Recentemente sono apparsi su quotidiani italiani di grossa tiratura come La Repubblica e il Corriere della Sera articoli a dir poco faziosi sulla civiltà e religione islamica. Forse si obbedisce alla legge dello scontro tra civiltà di cui prima. Sembra insomma che un certo orientalismo di maniera sia ancora in voga presso certi "addetti ai lavori" dediti a diffondere informazioni in qualità di "esperti" di mondo islamico.

Mi pareva che i tempi della mistificazione alla Silvan fossero passati ed invece ecco qua i massimi cervelli messi a disposizione da giornali e talk show italiani e non, pronti ad illuminarci su qualsiasi domanda del tipo: ma gli arabi mangiano ancora con le mani? Usano automobili o cammelli?

Vengono così vivisezionati e mostrati al volgo i più antichi usi e costumi di Arabi oramai morti e sepolti, colpevoli di aver tramandato col sangue la propria eredità e identità culturale. Un po' come i greci ci hanno tramandato la filosofia di Aristotele e Platone il cui sole risplende ancora raggiante in Occidente, così gli Arabi ci hanno tramandato terrorismo e arretratezza.

Lo si legge nelle parole di Bernard Lewis, massimo Gotha vivente dalla massima sapienza e scienza su tutto ciò che riguarda l'Islam. Così ce lo presenta la Susanna Nirenstein in una recentissima intervista su La Repubblica (10/03):

"87 anni, uno dei più grandi mediorientalisti del mondo, portamento invidiabile, oltre trenta libri alle spalle, un vocabolario che comprende una decina e forse più di lingue, consultato dai governi di mezzo mondo compresi quelli arabi".

Addirittura si dice che non ha mai detto bugie in vita sua, un fratello musulmano (gruppo estremista islamico nato in Egitto nel 1928), sostiene che Lewis "può essere o un amico innocente o un nemico onesto, in ogni caso rifiuta ogni falsità", niente male detto da un fondamentalista. Eppure di falsità nell'intervista della Nirestein il gran ciambellano richiesto dai governi di mezzo mondo sembra averne dette.

Basti come esempio quando il "mediorientalista" dice di temere "il modo in cui il Medio Oriente può interpretare l'atteggiamento occidentale" parole sue, e poi soggiunge con pacata autorevolezza: "l'Islam non ha nessuna esperienza di un dibattito libero, aperto, e dunque può leggere la nostra discussione come un segno di debolezza,di paura". Ipse dixit!

Strano come l'emerito professore di Princeton, dall'alto della sua scienza abbia dimenticato i tempi, oramai lontani d'accordo ma pur sempre esistiti, in cui a Baghdad si invitavano cristiani, ebrei, zoroastriani e filosofi di ogni scuola, alla corte del Califfo per imbastire sedute di discussione "libera" e "aperta", in cui ognuno poteva esprimere le proprie teorie senza timore che gli venisse tagliata la testa. Anzi spesso succedeva che prima di avviare la discussione si ammonissero i presenti a non far ricorso ai libri della propria religione, ma si facesse uso della sola logica. Più aperto e libero di così, anzi si potrebbe quasi dire perfino "laico", parola tanto ignota all'Islam!

Interessante mi sembra il caso di un vescovo nestoriano di nome Elia, vissuto all'inizio dell'anno 1000 nell'alto Iraq, che fu interpellato da un Vizir in fin di vita, colto da domande sulla religione cristiana. Nasce un dialogo all'insegna della sincerità e della ricerca della verità, mettendo da parte contrasti e ambiguità di ordine linguistico e filosofico. Anzi il vescovo dà prova di grande destrezza nell'utilizzare il sillogismo, da destare meraviglia nel ministro musulmano.

E si parla di tutto: teologia cristiana e musulmana, grammatica, astrologia, insomma anche qui non appena fu innestata la marcia del dialogo vero e sincero, non si ebbe paura di abbandonarsi agli argomenti più svariati.

E gli esempi potrebbero continuare, non insisto oltre, vorrei solo ricordare che la società arabo-andalusa del XIII-XIV secolo è stato un esempio di convivenza e di dialogo aperto e libero tra comunità di differente religione e lingua. Basti pensare che proprio da lì, attraverso la collaborazione di cristiani, ebrei e musulmani, venne tradotta in latino la filosofia greca di cui oggi ci vantiamo di essere gli unici veri eredi.

Anzi vorrei aggiungere un piccolo particolare: mentre in Spagna sotto i frazionati regni musulmani, le città avevano strade lastricate, munite di illuminazione notturna (la prima in Europa) e i luoghi più comuni dove si incontravano cristiani e musulmani erano i bagni pubblici alla turca, in cui ci si lavava, si mangiava e si conversava, in Europa infuriava la peste.

Bell'esempio di civiltà il nostro!

Nonostante tutto, e queste credo siano cose che dovremmo imparare più o meno tutti sui banchi di scuola, ma, ahimè, qui si entra in un altro delicato argomento, il professor Lewis non sembra curarsi del passato, sebbene si definisca uno storico.

Inoltre alla domanda diretta della Nirenstein sulla neocostituzione irachena come passo importante verso la democrazia, il ciambellano non risponde, alludendo a un famigerato gruppo di pensatori che ritengono gli islamici in generale e gli iracheni in particolare - non si sa perché ma in questi casi gli iracheni sembrano sempre i più sfigati - "incapaci di una vera democrazia" e conclude la non-risposta dicendo "paradossalmente chi ha questa posizione sostiene di avere una politica pro-araba, ma in realtà sono proprio loro ad escludere che i musulmani possano autodeterminarsi". Sembra sorprendente come in questo caso si sia voluto eludere la risposta parlando d'altro, fingendo letteralmente che la domanda fosse stata un'altra, così il professore parrebbe essersi tradito con un lapsus freudiano, rivelando a quale gruppo di pensiero appartiene.

Almeno, alla domanda se gli atti suicidi che avvengono oggi in Palestina siano dettati dal Corano, ha avuto la buona creanza di negarlo e di ricordare che tali atti sono "contrari alla legge e alla tradizione". Qui l'avrebbe detta troppo grossa, se ne sarebbero accorti anche i bambini che gli stava crescendo il naso!

Purtroppo non è finita.

Veniamo al Corriere della Sera di Paolo Mieli che sempre lo stesso giorno pubblica un interessante articolo dal titolo "La parola "terrorismo" resta un tabù. Nell'Islam manca la cultura della vita". Dal titolo sembrerebbe che l'esperto in questione sia veramente affidabile, e questa volta cadiamo proprio bene perché si tratta di Magdi Allam, uno scienziato dell'arabistica e di diritto musulmano. Non come gli orientalisti in estinzione di cui Lewis è forse l'ultimo esemplare in commercio. Qui abbiamo un arabo di razza pura, almeno così il nome suggerisce, che questa volta non ha appreso nelle aule accademiche la sua scienza, ma se l'è bevuta col latte materno e così ce la vuol dare a bere anche a noi.

Ebbene purtroppo anche se l'ordine dei fattori si inverte il prodotto non cambia nemmeno qui. Quanto a sentenze e generalizzazioni se la cava anche lui quando afferma dopo argomentazioni inconfutabili: "è evidente che manca una cultura della vita nell'ambito delle comunità e dei mass media arabi". Ciò che precede è un'analisi dell'utilizzo delle parole "terrorismo" e "martirio" nella stampa e nei notiziari arabi, dove la visione delle cose è completamente rovesciata rispetto a quella della stampa europeo o occidentale-americana.

A titolo di esempio ricordo come fosse ieri il discorso del presidente siriano Bashar el-Asad al vertice arabo di due anni fa a Beirut, in cui affermò con vigore: "Da parte nostra - della Siria appunto- il terrorismo viene da Israele". Credo che in quel discorso, completamente snobbato dalla stampa europea, il presidente siriano abbia spiegato con chiarezza cosa intendeva per "terrorismo" e "resistenza" riferendosi alla difficile situazione in Palestina. È vero, spesso si crea confusione anche nella stampa araba, ma credo che questo sia un vizio da cui non è esente nemmeno quella nostrana. Il Pinocchio d'Egitto, come è stato battezzato, dice: "Gli autori degli attentati vengono indicati come "partigiani iracheni", "combattenti stranieri" o, più semplicemente, "attaccanti"", e conclude "è un arrampicarsi sugli specchi per aggirare il problema. Una ardita ricerca di vocaboli neutri per non chiamare le cose con il proprio nome". Verissimo caro Magdi, peccato che l'America quando fa la propaganda di guerra gioca allo stesso sporco gioco, vengono utilizzate espressioni a dir poco ridicole del tipo "guerra umanitaria" e "bombe intelligenti", poi non dovremo preoccuparci di morti tra i civili innocenti tipo vecchi e bambini perché si tratterà di una semplice "operazione chirurgica" e se morti imprevisti pur ci saranno si tratterà di un "effetto collaterale". Come fu quello in cui fu distrutta la sede di al-Jazira a Kabul, effetto collaterale o guerra all'informazione?

Sembra che anche Israele utilizzi la stessa strategia da "operazione chirurgica", talmente chirurgica che per far fuori un terrorista che se la svigna in auto per le strade di Gaza, usa gli F16 per fermarlo…

Insomma come al solito l'asino cade nel voler fare "due pesi e due misure".

Vorrei concludere riportando fatti ricavati dalla mia esperienza personale avendo vissuto un anno in Siria per studiare arabo e capirci qualcosa di più, proprio stimolato dalle tante bugie dei nostri media sull'Islam e gli arabi.

La Siria è un felice esempio di Islam moderato che cerca di mettersi in dialogo aperto e libero. Nel gennaio di quest' anno ho fatto visita al direttore della scuola coranica Abu Nur di Damasco, Salah ad-Din Kaftaro, figlio del gran Mufti Ahmad Kaftaro. Il direttore mi ha accolto con estrema gentilezza spiegandomi come oggi il problema dell'Islam sono gli uomini di religione che non danno una buona immagine dell'Islam al mondo. "Osama Bin Laden non è un musulmano" mi ha detto, "chi uccide innocenti non può definirsi musulmano". Sorseggiando un bicchierino di tè mi diceva che era tornato da un incontro con degli shuyukh (dotti musulmani) in Arabia Saudita ai quali aveva posto il problema di aprire la Terra Santa dell'Islam (la Mecca e Medina) anche ai non musulmani.

La stessa scuola coranica di Abu Nur è l'unica nel mondo islamico che accoglie tra i suoi banchi di scuola anche non musulmani desiderosi di imparare l'arabo e il Corano. Congedandomi mi ha regalato la lettera di auguri che il gran Mufti aveva inviato al patriarca ortodosso di Damasco in occasione del Natale.

In quell'occasione mi è sembrato di aver preso parte ad un dialogo aperto e libero, eppure non siamo nei tempi magici di Harun ar-Rashid e delle Mille e una Notte, i tempi dell'età dell'oro dell'Islam sono oramai lontani, così lontani da essere qualche volta dimenticati pure da storici di fama mondiale.

No, questo è il tempo del terrorismo e della barbarie, un nuovo Medio Evo si apre davanti a noi in cui tutto ciò che è Islam evoca paura e terrore, i titoli dei giornali gridano"mamma li turchi" e intanto nuove possibilità di dialogo sembrano sfuggirci di mano.




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