La fine della scuola:
E in Italia?



di Roberto Renzetti




Questo è il quarto di una serie di articoli sulla mercificazione della scuola e la "riforma scolastica".

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Non entrerò nei dettagli delle riforme che, a partire dal 1997, si sono susseguite il ambito scolastico. Il mio scopo è solo quello di far conoscere alcune importanti affermazioni che compaiono in alcune leggi, affermazioni che, nella pratica, hanno cambiato alla radice la scuola italiana.

La prima legge che interviene sulla scuola è quella che introduce l’Autonomia scolastica (Legge Bassanini) (22) . La parola autonomia è apparentemente affascinante ma, nel contesto scuola, è ambigua ed assume significati preoccupanti in quanto propedeutici alla paventata privatizzazione. Nella suddetta Legge è scritto che si deve estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche. Nella scuola i salari diventano variabili, si introducono criteri di flessibilità, sistemi di valutazione legati all’elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati. Solo se la valutazione della produttività scolastica di cui sopra darà esito positivo le scuole avranno dei soldi, non essendo mai ben chiarito cosa questi concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con il mondo della scuola. In modo più completo si definisce anche l’autonomia organizzativa: essa

è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione ed al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative ...
Per la sua completa realizzazione sarà possibile superare i
vincoli di unità oraria della lezione, dell’unitarietà della classe e delle modalità di impiego e di organizzazione dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali.
Per buon peso si iniziano a stabilire riduzioni consistenti di docenti (circa 21mila nel 1998: si può intuire che, quando si vuole privatizzare, occorre che l’impresa sia economicamente sana perché sia appetibile) e, addirittura, si cambia il nome del Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) in Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). La sparizione di pubblico (Legge 300/99) come aggettivo qualificante l’istruzione fa il paio con altri provvedimenti che vengono presi in quegli anni: la parità scolastica tra scuola pubblica e privata (Legge 62/00), il comitato per valutare il prodotto educativo (Direttiva 307/97), l’introduzione di crediti e debiti (DM. 24/00), ... Anche qui, come a San Francisco, occorre inventare qualcosa che faccia digerire il tutto. Il miracolo viene fatto dai pedagoghi (con psicologi e docimologi) che iniziano con la loro opera di spostamento dell’asse della scuola dai contenuti ai metodi che si avvitano su se stessi (una vera e propria deriva). La Sintesi Maragliano (maggio 1997) che spinge su nuove tecnologie è emblematica del clima:
“Le nuove tecnologie dell'informazione hanno in questo senso un valore paradigmatico, dal momento che coniugano in modo visibile la componente materiale costituita dall'hardware, fondamentale per svolgere le funzioni che loro competono, con la componente simbolica del software, che determina le operazioni che vengono effettuate e dà loro senso.”
e nessuno spiega che non si studierà quell’hardware né tanto meno quel software. Per la Sintesi occorre togliere alla scuola tutto quello che sa di scuola e sostituirlo con giochi, con l’alleggerimento del carico culturale, con strumenti multimediali, con divulgazioni, con testi essenziali, con il sostituire la storia con la cronaca, andando sulla strada del saper fare e con il coinvolgimento delle famiglie nel processo educativo. La Sintesi è ancora più esplicita e dice con chiarezza ciò che si vuole:
far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l'orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della ‘cultura del posto’ a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all'autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all'impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell'apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell'educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”



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