Un 270 bis non si nega a nessuno

Storia della legislazione repressiva in Italia

Terza e ultima parte

 








Alla parte precedente

Alla prima parte

Con il decreto legge 18 ottobre 2001 n. 374, poi convertito nella legge 15 dicembre 2001 n. 438, e del quale già ci siamo occupati anche in questa rivista, nell’ambito di un più generale discorso sulle leggi di guerra, l’art. 270 bis viene modificato: si introduce la figura del finanziatore, vengono ulteriormente aumentate le pene per i partecipi (dalla forbice 4-8 anni si passa a 5-10), viene introdotta la finalità di terrorismo internazionale (“anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale”), ed è prevista l’obbligatorietà della confisca “delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato…”, così allineandosi alle norme internazionali ed europee che mirano a colpire i beni delle organizzazioni o dei singoli che sono ritenuti “terroristi”.

Con questo accoppiamento fra “finalità di terrorismo” e “atti di violenza rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione ecc”, il legislatore ha tentato di snaturare la comune definizione di terrorismo (volto a incutere timore nella collettività con azioni di violenza indiscriminata), cercando di rendere ad esso equiparabile qualunque tipo di violenza contro Stati esteri od organismi internazionali, e ciò anche se il senso delle parole non può essere, evidentemente, modificato con un atto di imperio legislativo, perché l’atto di violenza dovrà pur sempre avere natura terroristica, per quello che significa il termine.

Ma l’operazione di “violenza semantica” si muove anche in ambiti extranazionali: la Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea 13 giugno 2002 (2002/475/GAI), ad esempio, lega la definizione di atto terroristico alle finalità, oltre che di “intimidire gravemente la popolazione”, anche di “costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”, o di “destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese (e sembra di rileggere, con linguaggio più moderno, parte del contenuto del vecchio art. 270 – associazione sovversiva ndr) o un’organizzazione internazionale”

E, oltre che a livello USA e di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è noto come anche a livello europeo sia costantemente aggiornato un elenco (le cosiddette Liste Nere), attraverso Posizioni Comuni e Decisioni del Consiglio dell’Unione Europea, di persone, gruppi o entità contro le quali debbono essere adottate, per “combattere il terrorismo”, misure restrittive specifiche o di tipo economico (congelamento dei beni) o di tipo repressivo, nel senso di una cooperazione giudiziaria ancora più rafforzata.

Ma il punto sta proprio qua, che questo elenco (dove sappiamo sono state, e sono, inserite organizzazioni che lottano per la liberazione nazionale, che lottano contro regimi autoritari, che lottano contro il capitalismo, e così via) è formato dal Potere Esecutivo, senza alcuna possibilità di difesa da parte dei soggetti o delle organizzazioni direttamente interessate.

L’inserimento nella lista, tuttavia, equivale a definire tali organizzazioni come “terroriste”. E la ricaduta di questo, seppur del tutto arbitrariamente, avviene sul piano militare e sul piano giudiziario. Sul piano militare viene, in sostanza e nei fatti, dato il via libera a un ulteriore inasprimento delle azioni belliche o, ad esempio, degli omicidi mirati (ricordiamo la concomitanza temporale fra notizia della volontà di Hamas nella lista e primo tentativo omicidiario nei confronti di Yassin). Sul piano giudiziario viene sollecitata l’incriminazione per “organizzazione terroristica”, e cioè, in Italia, per 270bis. E questo è proprio quello che è successo nell’indagine perugina, che ha visto l’arresto di militanti del Campo Antimperialista, e che si è mossa sulla base della definizione del DHKP-C (come noto inserito nella lista) come associazione “con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, in Turchia e altrove”.

E siamo, davvero, alla rottura dell’abituale schema della separazione dei poteri (fra l’altro in tempi in cui proprio i magistrati scendono in sciopero pretendendo di difendere la loro autonomia..). Ma, non solo: si realizza la cooperazione giudiziaria rafforzata con uno stato Extra – CEE, la Turchia, sul cui carattere violentemente antidemocratico e brutalmente repressivo sarebbe necessario scrivere pagine e pagine. E, invece, nell’ordinanza del Gip italiano sono ripetutamente citati, come fonte di prova, i rapporti della polizia turca, che svolge, evidentemente, le sue indagini come tutti possiamo immaginare.

Ma, quel che più conta, si ritiene sussistente il fatto di cui all’art. 270 bis anche nel caso della lotta armata per abbattere un regime di moderno fascismo e per cercare di costruire uno Stato socialista. La nozione di terrorismo è dunque completamente scardinata, e l’arresto di tre italiani (cui si addebitano comportamenti che nulla hanno a che fare con l’organizzazione in questione, e che attengono, invece, alla solidarietà internazionale verso un esule politico) proprio con la incredibile accusa di far parte dell’organizzazione turca, costituisce un assai pesante avvertimento a tutti coloro che si muovono nell’ambito, appunto, della solidarietà internazionale.

In realtà, in una situazione di guerra estesa e diffusa, che prescinde anche dall’esistenza di confini statuali, l’utilizzo dell’art. 270 bis appare mirato a colpire chi non si ha il coraggio di definire nemico, poiché la guerra che pure c’è, per i nostri governanti (e per il loro ceto politico nel suo complesso) deve essere negata.

E’, infatti, di questi giorni la notizia degli arresti in Toscana, per 270 bis, di alcune persone di religione musulmana che, secondo l’accusa, avrebbero voluto recarsi in Iraq per combattere contro gli occupanti.

Sono le note “torsioni” del diritto: si fa finta che la guerra illegittima (che si connota – come peraltro le precedenti – come clamorosa rottura della legge fondamentale dello Stato) non esista, e, a chi non si vuole definire nemico in questa guerra che non si vuole ammettere esista, si imputa l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale.

Come linea di tendenza, insomma, si può intravedere, nell’art. 270 bis c.p., il potenziale strumento per gestire il nemico e chi ad esso è vicino.

Lo sviluppo di questa inesauribile norma (dal 270 al 270 bis, e poi al 270 bis “allargato”) che –paradossalmente – era stata ritenuta “morta” nell’immediato dopoguerra, la porta dunque ad allargare il suo ruolo: non più soltanto strumento di repressione contro il “nemico” interno (i comunisti e gli anarchici prima, i sovversivi/eversori, tout court, poi), ma anche contro il nemico esterno, contro il nemico dell’Occidente Capitalista, contro il terrorista internazionale, giacché, ormai, tutto ciò che combatte contro l’imperialismo, i padroni del mondo (e delle parole), lo vogliono chiamare terrorismo.

Ma anche le parole sapranno ribellarsi.


Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca