Un 270 bis non si nega a nessuno

Storia della legislazione repressiva in Italia

Seconda parte

 








Alla parte precedente

Alla parte successiva

Il delitto previsto dall’art. 270, nel corso dello sviluppo del nostro Stato “democratico”, non solo, (come abbiamo visto) non è stato espulso dall’ordinamento, ma, addirittura, si è rivelato insufficiente rispetto ai bisogni repressivi degli anni ‘70 e ‘80.

Contro le organizzazioni armate, ma anche contro ai movimenti di massa di quegli anni, l’autorità giudiziaria era infatti ricorsa allo strumento “principe” per la repressione di gruppi e movimenti, e cioè, il reato associativo.

Lo schema di questo reato, infatti, slegato dalla necessità di imputare la commissione di specifici fatti concreti, consente di incriminare per la semplice appartenenza ad un ambito politico.

Ma, poiché, soprattutto per i semplici partecipanti all’associazione, le pene previste dall’art. 270 erano ritenute troppo blande, la magistratura aveva ritenuto di dover e poter applicare l’imputazione prevista dall’art. 306 c.p., cioè la banda armata (pena prevista per i partecipi, da 3 a 9 anni). Contemporaneamente, le incriminazioni, “promuovevano” i partecipi ad organizzatori (pena da 5 a 15 anni), e coloro che semplicemente erano “contigui”, cioè politicamente vicini, oppure disposti, al più, a fare qualche favore, a partecipi. Ed i giudici all’opera in quegli anni “dimenticarono” di porsi il problema della necessità della sussistenza di quegli elementi costitutivi del reato, che pure erano tassativamente ricompresi nella norma (esistenza di una vera e propria organizzazione militare, con struttura gerarchica, dotata di armi, finalizzata a commettere altri specifici delitti contro la personalità dello Stato), tanto che qualche studioso ha sottolineato come

“ Troppo spesso, ahimè, le sentenze dei giudici penali degli anni di piombo hanno messo in evidenza una professionalità ancora minore di quella che fu propria dei giudici del Tribunale Speciale. In qualche caso poi, l’atteggiamento di quei giudici fu tale, da apparire oggi pericolosamente permissivo”,
ricordando, fra l’altro e ad esempio, la sentenza 31 gennaio 1928 n. 4 del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, che aveva, assolvendo, così argomentato:
“Per banda armata, nel suo proprio, genuino e legale del vocabolo, si intende un corpo stabilmente organizzato per l’attacco e per la resistenza, un’associazione avente un valore militare, composta di persone armate pronte all’attacco e capace di sostenere l’urto di una forza organizzata dello Stato, un’organizzazione con legame permanente, gerarchico e disciplinare, in cui da un canto vi siano capi, duci, direttori e organizzatori, e dall’altro gregari, allo scopo di commettere uno dei delitti precisati dal codice penale”
(cfr. Paolo Petta, Spigolature da una giurisprudenza sempre attuale, in Critica del Diritto n. 33, giugno 1984).
E’ certo che molti militanti dell’autonomia avrebbero dovuto, se possibile, preferire il giudizio dei Tribunali Speciali del ventennio!

Alla fine del 1979, per semplificare gli strumenti repressivi ed accentuarne la portata, venne introdotto, con il cosiddetto decreto Cossiga (poi convertito – con qualche modifica – nella legge 6.2.1980 n. 5) l’art, 270 bis, con questo letterale contenuto:

“Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da quattro a otto anni”.
Come si vede, non solo sono di gran lunga aumentate le pene rispetto al vecchio reato di associazione sovversiva, ma i minimi sono aumentati anche rispetto a quelli previsti per il più grave reato di banda armata.

La previsione della condotta incriminata, poi, in ulteriore e clamorosa violazione dell’art. 25 della Costituzione e del principio di legalità, è ancor più vaga delle precedenti: addirittura è prevista la punizione del semplice “proporsi” il compimento di atti di violenza. La punibilità, cioè, scivola ancor di più verso la prevenzione della pericolosità, e verso il riferimento al cosiddetto “tipo di autore”, teorizzazione propria della cultura giuridica della Germania nazista (ti punisco non per quello che hai fatto, ma per quello che sei). D’altra parte tutto quanto il cosiddetto diritto dell’emergenza (che è, in realtà, diritto penale non dell’eccezione, ma della nuova regola che si viene stabilendo) è incentrato sull’identità del soggetto “trattato” nel procedimento penale: questo è il senso della legislazione premiale – sui pentiti e sui dissociati – e della legislazione e delle prassi carcerarie basate sulla differenziazione.

Ed è con questo 270 bis che lo Stato, all’epoca, si prepara a fronteggiare, e fronteggia, chi si ostina a non adeguarsi alla normalizzazione della seconda metà degli anni ottanta e degli anni novanta. Esemplare, in questo senso, è l’istruttoria veneziana del 1985 che vede decine di imputati di 270 bis patire molti mesi (fino ad un anno) di carcerazione preventiva perché, gli si contesta di aver promosso, nell’ambito dell’attività del Coordinamento dei Comitati contro la repressione e del Bollettino, campagne di solidarietà materiale morale nei confronti di detenuti “irriducibili”; gli si contesta che i predetti comitati sarebbero frequentati da imputati scarcerati doverosamente, ma non perché hanno fruito della legislazione premiale, bensì per scadenza dei termini; la loro pericolosità sociale, poi, deriverebbe dalla partecipazione a manifestazioni contro la NATO, contro la installazione dei missili nucleari, contro la presenza dei militari italiani in Libano, giacché tali iniziative politiche sarebbero in sintonia (oltre che con l’opinione di milioni di persone) anche con la linea delle Brigate Rosse!

Tutti questi imputati, anni dopo (nell’autunno 1991), saranno assolti dalla Corte di Assise addirittura nella fase degli atti preliminari, senza cioè dar corso al dibattimento, in quanto è del tutto evidente che il fatto non sussiste… Intanto però, la repressione “preventiva” aveva già fatto il suo corso.

Con la ripresa dei movimenti, alla fine degli anni novanta, inizio del duemila, l’utilizzo dell’art. 270 bis, peraltro mai cessato, riprende vigore, anche solo per consentire lo svolgersi di perquisizioni, e di acquisire, così, informazioni sui rapporti fra singoli, movimenti, ambiti organizzativi.

Ma, in questo modo, siamo giunti alla nuova fase della guerra globale contro il terrorismo.


Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca