Per agevolare la lettura, questa storia della scuola italiana è stato diviso in venticinque parti.
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LA SCUOLA PRIMA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

Poiché è impossibile ricostruire nei dettagli ogni articolazione della scuola dall'antichità ad oggi, occorre fare un taglio che, nel mio caso si situa a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento. Se si risale ai secoli immediatamente precedenti, non si rintraccia quasi nulla di scuola pubblica, di scuola obbligatoria, di scuola gratuita.

Si può dire molto schematicamente che la scuola come problema viene posto dalla Chiesa riformata, come realizzazione di uno dei principi alla base della scissione dalla Chiesa di Roma. Si trattava infatti di rendere i fedeli capaci di leggere la Bibbia, ciascuno per conto suo, e di fornirne una libera interpretazione. Questo fatto spinse ad una istruzione elementare che interessò vasti strati di popolazione. Tanto per capire i problemi che vi sono nella ricostruzione, ad esempio, di questo periodo, si tratterebbe di capire a chi è diretta tale istruzione, se solo ai fedeli o a tutti, se si tratta di qualcosa di episodico affidato alla buona volontà di un pastore, o se si iniziano a costruire delle strutture minime, se vi è un minimo di obbligatorietà o meno, se vi è gratuità o meno, se ambo i sessi sono interessati e se si da che età, ... Data poi la logistica (popolazione molto sparpagliata nel territorio e bambini fortemente occupati nel lavoro) come si realizzavano le cose ? I vari Paesi operavano allo stesso modo ? Vi erano sostanziali differenze tra città e campagna ? Queste domande le lascio completamente inevase e le ho fatte solo per far capire i livelli di difficoltà che si hanno nel discutere di queste cose. 

In ogni caso, a fronte di questi inizi di un'educazione di base da parte dei protestanti, anche la Chiesa cattolica si inserì nella stessa strada dopo il Concilio di Trento. A lato dei seminari, si istituirono scuole parrocchiali sempre più estese nel territorio che, se da una parte ebbero il merito almeno di insegnare a leggere e scrivere agli eserciti di poveri e quello fondamentale di essere obbligatorie e gratuite, dall'altro lato rappresentarono un fallimento nella crescita sociale, nel progresso civile ed economico perché erano esclusivamente finalizzate a contrastare le altre Chiese.

Naturalmente quanto dico non riguarda i ceti abbienti. Vi era largo uso di precettori privati con una didattica improntata alla Ratio dei gesuiti. I gesuiti avevano ampia esperienza nell'educazione (più che istruzione) dei giovani. Erano loro le scuole per nobili diffuse nei vari Paesi cattolici dove si insegnava che, insieme a quelle militari (per i futuri ufficiali, tutti di controllata discendenza). Tanto per esemplificare, in una scuola superiore insegnavano: classici greci, latini, del regno in cui ci si trovava, arte di comportarsi. Vi erano anche scuole avanzate nelle quali, oltre a queste cose si insegnava danza, musica e scherma. Vi era una carenza generalizzata nell'insegnamento di matematica e scienze: al più vi erano cenni ad Euclide ed all'astronomia di Tolomeo. In ogni caso la didattica ruotava intorno ad Aristotele, le scuole, a tutti i livelli, lavorano con dispute e sillogismi su date affermazioni. Norma da rispettare scrupolosamente restava il 'non bisogna essere amici o avere confidenza con ragazzi umili di nascita'.  Ma qui parliamo di scuole, appunto, per nobili, per alta borghesia terriera e per i primi artigiani neoricchi. Nella Ratio il corso per accedere all'università è suddiviso in due cicli, uno quinquennale umanistico ed uno triennale filosofico. Nel primo si insegna il latino ed il greco secondo lo schema: grammatica, stile, retorica (assenza completa di materie scientifiche e perfino dell'aritmatica, ma anche di storia, geografia e lingue nazionali). Le cose cambieranno parzialmente solo nella Ratio del 1832 dove si parla di adeguamento dei programmi secondo lo schema [9]:

Dio, l'uomo, il mondo fisico e il mondo morale, con la logica e dialettica e con la metafisica generale e speciale: teologia naturale, psicologia, cosmologia, etica; e nello studio delle scienze esatte: matematica, geometria e astronomia, e delle scienze sperimentali: fisica, chimica e storia naturale.


Nel capitolo V della Ratio si legge:


Poiché scopo della dottrina che in questa Compagnia si apprende è quello di giovare, con divino favore, alle anime proprie e dei prossimi; questa sarà, in generale e nelle persone particolari la misura secondo la quale si determinerà a quali facoltà, e sino a qual punto, i nostri divranno attendere. E poiché, generalmente parlando, a ciò giovano le lettere umane, delle diverse lingue, la logica, la filosofia naturale e la morale, la Metafisica e la Teologia, tanto la scolastica quanto quella che si denomina positiva, e la Scrittura Sacra, attenderanno a questi studi quelli che sono mandati ai Collegi...


e nel capitolo XII, riguardante le Università:


Poiché scopo della Compagnia e degli studi è quello di aiutare i prossimi alla conoscenza ed amore di Dio ed alla salvezza delle loro anime; ed a questo fine il mezzo più proprio è la facoltà di Teologia; a questa principalmente attenderanno le Università della Compagnia; ... E poiché la dottrina della teologia ed ,-- il suo uso richiedono, specialmente in questi tempi, la cognizione delle lettere :. umane, e della lingua latina, greca ed ebraica; anche in queste si avrà numero sufficiente di buoni professori... Ed altresì, poiché le Arti o Scienze naturali dispongono gli ingegni alla Teologia e servono alla perfetta cognizione ed uso di essa, e per se stesse giovano al medesimo fine, si trattino con quella diligenza che si conviene e per mezzo di dotti professori, cercando in ogni caso e sinceramente l'onore e la gloria di Dio. 

E' solo da notare che questa concezione di scuola contribuirà in modo decisivo alla resistenza alla penetrazione della scienza, ed alla cultura ed ai metodi che ad essa si accompagnano, che si sviluppava negli altri Paesi europei, ormai da 100 anni.

Le prime istanze critiche nascono con l'Illuminismo in connessione con  le trasformazioni economiche e sociali che si accompagnano alla Prima rivoluzione industriale, quella della manifattura che inizia a superare la produzione artigiana per produzioni impieganti un numero sempre maggiore di lavoratori. Per intendere l'importanza di ciò che i pensatori illuministi andavano seminando ed, in tempi relativamente brevi, cambiando, basta osservare, con Geymonat [1], che:

all'inizio del Seicento la chiesa cattolica può ancora intervenire con una certa efficacia nel dibattito fra copernicanesimo e cosmologia tolemaica, nel Settecento il copernicanesimo è universalmente accettato dagli scienziati i quali non fanno più alcun conto della condanna che continua a gravare contro di esso; nella seconda metà del Seicento Malebranche può ancora seriamente indagare quali fossero le dimensioni possedute dall'ape vivente ai suoi tempi quando era contenuta, cinquemilaseicento anni prima, entro gli organi genitali del primo campione di tale insetto creato direttamente da dio, un secolo dopo questo problema appare risibile; durante tutto il Seicento la fisica deve fare i conti col problema dei miracoli, interpretati come un intervento diretto di dio che sospende per un istante le leggi da lui imposte alla natura, alla fine del Settecento Laplace delinea un sistema del mondo in cui non ha più bisogno di fare in alcun modo intervenire « l'ipotesi di dio »; agli inizi del Settecento si crede ancora alle streghe e qualche disgraziata è purtroppo condannata al rogo sotto l'accusa di stregoneria, alla fine del secolo le esecuzioni capitali vengono compiute per motivi dichiaratamente politici, senza più invocare alcuna giustificazione religiosa.

E' nella seconda metà del Settecento che il problema scuola laica pubblica emerge all'attenzione di principi e sovrani illuminati, per un complesso di concause. Da una parte si capisce che la gestione della scuola è gestione di potere e l'autorità laica vuole togliere tale potere alla Chiesa, dall'altra, pur non essendovi sentimenti antireligiosi, si porta avanti una tale operazione per avversione alla gestione curiale del potere e allo strapotere dei gesuiti. Tutti i pensatori dell'epoca narravano delle meraviglie di una diffusa educazione popolare, di quali miracoli si sarebbero potuti fare nella crescita politica, sociale ed economica. Ed allora i principi illuminati ambirono essere loro stessi a capo di un tale progresso e lavorarono per togliere alla Chiesa l'educazione per trasformarla in istruzione pubblica, popolare e laica. Si trattava di modernizzare l'istruzione togliendola all'ambito ristretto di una visione curiale, per formare cittadini che rispettassero il potere del principe medesimo e sapessero inserirsi produttivamente nella società. E' chiaro che vi furono lotte politiche importanti e che, al di là dei fini che ciascuno si proponeva, la scuola popolare e laica fu uno strumento fondamentale di crescita sociale e politica.

Una accelerazione nell'organizzazione di tale scuola fu l'abolizione della Compagnia di Gesù nel 1773. Il solo fatto di dover rimpiazzare una gran quantità di maestri con dei laici (o anche con altri ordini religiosi non tanto invadenti) fa intendere le dimensioni del problema e ci fa porre la domanda di quanti fossero preparati per la funzione alla quale erano chiamati.

In ogni caso, dalle enunciazioni generali al passaggio alle realizzazioni, vi fu una gran mole di difficoltà: la già detta necessità di reperire maestri, il problema della formazione di altri, la cronica mancanza di fondi per strutture e per il pagamento di salari, le difficoltà ad individuare cosa insegnare, l'uniformità degli insegnamenti tra le diverse scuole, la mancanza di ogni idea di scuola che pensasse a formare cittadini, di ogni teoria didattica, ed infine la difficoltà quasi insormontabile di far capire alle famiglie poverissime che qualcuno, strappato come forza lavoro alla famiglia stessa, doveva recarsi a scuola per una non meglio compresa idea di emancipazione sociale ed economica. Quest'ultima difficoltà è alla base della gratuità che diventa argomento indivisibile da obbligatorietà ma, anche con la gratuità, questa scuola è intesa come nemica dal popolo a cui si rivolgeva. Osserva Genovesi [2] che vi è qui un circolo vizioso: senza scuola non acquista fondamento il concetto di infanzia e senza quest'ultimo concetto non sembra aver senso la scuola. Comunque stiano le cose è certo che in situazioni economiche drammatiche ed assolutamente precarie, il togliere delle braccia lavorative da una famiglia è un momento di ulteriore crisi insopportabile. Qui, anche se schematicamente, si mostra che gli ideali illuministici vedevano interessi molto differenziati e difficilmente conciliabili. Cosa difende la Chiesa ? e cosa il principe ? e la borghesia ? e gli utopisti teorici ? ed il popolo ? Per rendere conto dei sogni degli illuministi basta rifarsi alla posizione di uno dei moderati, Helvétius. Egli dice che la disuguaglianza di spirito che si riscontra tra gli uomini dipende unicamente dalla diversa educazione che essi ricevono, e dalla ignota e differente concatenazione delle circostanze in cui si trovano collocati. Solo modificando la loro educazione, attraverso la modifica della società in cui vivono, gli uomini diventeranno davvero virtuosi. Occorre costruire un nuovo ambiente sociale intorno ai giovani, ambiente che deve essere orientato al raggiungimento della felicità, attraverso il massimo sviluppo delle loro capacità. Sarebbe interessante confrontare queste cose con le supposte idee del sovrano, del cardinale e del padre di famiglia. Ma, a lato di queste ottime intenzioni, vi sono i primi studi relativi ad una pedagogia moderna che considera il fanciullo come essere completo e sano con il quale cercare non già di guadagnare tempo ma di perderne.

Anche se l'Italia viveva non proprio centralmente le vicende culturali europee, si fecero dei tentativi di scuola popolare pubblica nei vari Stati in cui essa si divideva, ed essi risultarono assolutamente difformi e con risultati completamente differenti. Una caratteristica comune è che sono pochissime le persone interessate ad un servizio che risulterà, almeno fino alla fine del Settecento, quasi inesistente.


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