A ottanta anni dalla morte di Lenin (1924-2004)

II parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve su Lenin è stato diviso in otto parti.

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2. Un legittimo dubbio iperbolico: esiste veramente il “leninismo”?

E’ filologicamente accertato senza ombra di dubbio che ad un certo punto Marx scrisse che era sicuro di una cosa sola, e cioè di non essere “marxista”. Non ricordo esattamente il contesto preciso di questa affermazione, ma il significato è chiaro: tutti gli “ismi” che vengono confezionati in mio nome, e che certamente ancor più verranno confezionati dopo la mia morte, devono essere presi con beneficio di inventario.

La stessa cosa, ovviamente, può essere detta per Lenin. Personalmente, non credo neppure che esista una cosa univocamente definita chiamata “leninismo”. Mi è noto, ovviamente, e lo farò io stesso nei prossimi paragrafi, che si possono facilmente elencare alcune soluzioni date da Lenin a problemi teorici e politici (lo sviluppo del capitalismo in Russia contro i populisti, la teoria del partito politico contro i menscevichi, la teoria delle alleanze di classe contro gli operaisti “luxemburghiani”, la teoria dell’imperialismo contro le definizioni date da Kautsky e da Bucharin, la teoria del materialismo dialettico contro l’empiriocriticismo, eccetera). Per chi conosce la storia del marxismo, elencare queste soluzioni ed organizzarle in un sistema teorico coerente è un gioco da ragazzi. Ma, appunto, è sempre pericoloso trasporre i giochi da ragazzi nella teoria politica e filosofica. In proposito mi limiterò a segnalare solo due punti principali.

In primo luogo, è storicamente e filologicamente accertato che il termine di “leninismo” è ovviamente posteriore al 1924, anno della morte di Lenin. Che cosa fosse il “leninismo” è oggetto di lotta politica fra Stalin, Trotzky e Zinoviev, ognuno dei quali definisce il leninismo a suo modo. La definizione storicamente accettata dal movimento comunista è ovviamente quella di Stalin, che la espone in due opere successive, pubblicate rispettivamente nel 1924 e nel 1926. Si apre una divaricazione fra il cosiddetto “marxismo-leninismo”, sintesi accettata prima da Stalin e poi da Mao, ed il cosiddetto “marxismo rivoluzionario”, termine che indica in realtà il trotzkismo. In quanto Padre Fondatore del Comunismo, Lenin diventa la posta in gioco di una guerra ideologica senza quartiere.

In secondo luogo, Lenin fu il massimo esponente di una concezione teorica in cui le scelte politiche e ideologiche erano fatte caso per caso sulla base di una valutazione legata all’analisi concreta di una situazione concreta. Il contrario, quindi, degli “ismi” (di tutti gli ismi), che invece deducono la scelta politica o teorica da un corpus dottrinale precedente. Chi ha conoscenze della storia delle filosofia occidentale sa bene che questo approccio individualizzante alla scelta pratica non risale affatto ad un fantomatico “materialismo”, ma risale ad Aristotele ed alla sua teoria della cosiddetta “deliberazione” (boulesis). Mentre nelle scelte teoriche si ha a che fare con canoni formali e regolari (quelle che oggi chiamiamo le “leggi scientifiche”), nelle scienze pratiche, e quella di Lenin è chiaramente una scienza pratica della rivoluzione, si ha a che fare con una saggezza (sophrosyne), che a differenza della semplice sapienza (sophia), consiste nella capa\cità di fare la scelta giusta caso per caso (boulesis).

La scelta rivoluzionaria dell’ottobre 1917, ad esempio, è un caso tipico di “arte dell’insurrezione” che non può essere dedotta da nessun “ismo”, tanto meno poi dall’“ismo” per cui la rivoluzione non si può fare più nei cosiddetti punti alti dello sviluppo capitalistico (corruzione delle aristocrazie operaie a causa della distribuzione dei sovraprofitti imperialistici, ed altre “sciocchezze” del genere, mi si scusi per l’espressione volutamente un pò volgare), e bisogna allora farla negli anelli deboli della catena mondiale imperialistica. Questo argomento è una tipica “razionalizzazione a posteriori” di un fatto portato a termine in una congiuntura irripetibile che non si può dedurre da nessun “ismo” (e tantomeno dal cosiddetto “leninismo”), e che è invece compiuto da una “deliberazione” (boulesis) attuata non in base alla sapienza marxista ma in base alla saggezza politica pratica.

Per queste ragioni, e per altre che qui trascuro per brevità, ho forti dubbi che si possa parlare sensatamente di “leninismo”. Parlerò invece di Lenin, o più esattamente del modo concreto e specifico in cui Lenin ha affrontato questioni teoriche e pratiche.



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