Da Antonio Gramsci a Piero Fassino:

Note introduttive per farsi una ragione e capirci qualcosa in ciò che è successo nel comunismo italiano

IX parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in tredici parti, più un'introduzione.

All'introduzione

Alla parte precedente

Alla parte successiva




9. Enrico Berlinguer e la deriva identitaria degli anni Ottanta

Negli anni Ottanta il vecchio dinosauro PCI è come un bastimento alla deriva. Come tutti i dinosauri, ha ormai un corpo grande ma una testa minuscola. Il togliattismo progressista e storicista si era già squagliato come un mucchio di neve al sole. La sconfitta operaia alla FIAT aveva di fatto sancito, con questa battaglia difensiva di retroguardia, la fine della funzione di opposizione e di contestazione della classe operaia di fabbrica in Italia. Gli intellettuali, che lungi dall’essere individualisti come spesso stupidamente si dice da chi non li conosce bene, sono invece profondamente conformisti e gregari e si muovono tutti insieme come banchi di pesci, si mossero negli anni Ottanta in gruppo dal gramscismo al pensiero debole postomoderno. Ai posti di comando PCI non arrivarono i vecchi maneggioni togliattiani di destra (Napolitano, Chiaromonte, Macaluso, ecc.), ma i giovani nichilisti della FGCI che avevano consumato integralmente la morte di Dio diventando così dei nicciani “ultimi uomini” (Occhetto, D’Alema, Veltroni, ecc.).

Un partito senza teoria è come un popolo civile senza metafisica, per usare l’espressione di Hegel. Il PCI degli anni Ottanta è un partito senza teoria, senza strategia e senza tattica. Un povero bestione barcollante, che trova inevitabilmente nella deriva identitaria il solo collante che possa ancora dare senso di appartenenza ai militanti ed agli elettori smarriti.

Il partito si ammalò di “craxite”, cioè di personalizzazione polemica contro la figura del cinghialone e del ladrone, cui venivano contrapposti gli austeri ed onesti comunisti. La lettura delle riviste degli anni Ottanta (e di “Linus” in particolare, brodo di coltura di tutti i morettismi successivi) è in proposito ad un tempo agghiacciante ed esilarante. Non esiste più analisi strutturale delle classi e dei rapporti sociali, ma solo una insistita e maniacale polemica contro i ladroni socialisti. Ora, non nego che i socialisti fossero veramente dei ladroni, e lo erano appunto perché non disponevano delle collaudate idrovore di finanziamento strutturale DC e PCI (industria di stato, finanziamenti esteri, cooperative, ecc.), e dovevano supplire con una sorta di dilettantismo brigantesco. Ma questa non era che la superficie pittoresca del problema, così come lo è oggi la “berlusconite”, cui la “craxite” assomigliava come una goccia d’acqua.

La personalizzazione mediatica del conflitto è il più evidente sintomo della avvenuta americanizzazione culturale. Tramonta Gramsci, ascende Fassino. Non a caso, quando alla fine del 1989 si sgretolò il baraccone tarlato dell’Est, Fassino dichiarò che il PCI non aveva potuto seguire bene il fenomeno perché impegnato nelle elezioni comunali romane del 1989. Trovo questa dichiarazione inconsapevole da teatro dell’assurdo assolutamente sublime, come le discussioni sul sesso degli angeli degli ultimi bizantini mentre i turchi entrano in città (anche se penso si tratti di una leggenda metropolitana, perché non mi risulta).





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