Da Antonio Gramsci a Piero Fassino:

Note introduttive per farsi una ragione e capirci qualcosa in ciò che è successo nel comunismo italiano

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in tredici parti, più un'introduzione.

All'introduzione

Alla parte precedente

Alla parte successiva




3. Antonio Gramsci ed i Quaderni dal Carcere

Gramsci non diventò segretario del giovane partito comunista per capacità proprie, ma perché la direzione di Zinoviev della Terza Internazionale, decisa a “bolscevizzare” i partiti comunisti eliminandone dall’alto le direzioni locali di “destra” (Blander in Germania) e di “sinistra” (Bordiga in Italia) procedette ad arbitrarie nomine e sostituzioni. Comunque questa è proprio acqua passata, roba per storici di professione. Ciò che conta è che Gramsci fu messo in galera dal fascismo, non ne uscì praticamente più fino alla morte avvenuta nel 1937, e scrisse in carcere i famosi Quaderni. Di questi vorrei brevemente parlare.

I Quaderni dal carcere di Gramsci sono un capolavoro assoluto di intelligenza strategica. Con questo non intendo certamente dire che sono d’accordo su tutto. Sono anzi in disaccordo con molte cose, di cui qui per brevità ne segnalerò solo due. Primo, l’analogia del partito comunista con il Moderno Principe non è affatto innocente come sembra (nessuna analogia lo è mai), perché il Principe di Machiavelli era un dispotico assassino, sia pure a “fin di bene”, ed in questo modo il partito comunista viene di fatto pensato attraverso la metafora della rivoluzione dall’alto, e non certo dal basso, cosa che dovrebbe appunto segnalare la differenza qualitativa fra rivoluzione borghese e rivoluzione comunista. Secondo, la funzione degli intellettuali a mio avviso non è quella di essere “organici”, funzione tipica dei cappellani militari e degli psicologi aziendali, ma di essere dei liberi produttori di conoscenze scientifiche e di interpretazioni filosofiche. E potrei continuare, ma qui non c’è né lo spazio né soprattutto la necessità.

I Quaderni dal Carcere meritano una valutazione strategica complessiva. Ed essa non può che essere positiva. A modo suo Gramsci individua nell’economicismo il tallone d’Achille del marxismo, e ciò appare chiaro soprattutto nella sua critica filosofica a Bucharin. Gramsci aveva perfettamente ragione. Che poi nella sua critica all’economicismo egli abbia storto troppo il bastone dall’altra parte, ebbene questo è inevitabile. Nessuno farà mai la frittata senza rompere le uova.

Da qualunque parte lo si consideri, Gramsci appare geniale, creativo e rispettabile. Gran parte del posteriore “gramscismo”, invece, non vale neppure la carta su cui è stato scritto.



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