Nichilismo, individuo, universalismo reale

Un percorso originale ed inedito di ricostruzione della filosofia marxista

III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in otto parti.

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9. Apro qui una seconda parentesi, dopo quella dedicata a Barbara Cassin. È noto che il filosofo marxista francese Louis Althusser ha negato con forza che in Marx vi sia Umanesimo, Storicismo ed Economicismo, e che questo riguardi semmai solo il marxismo successivo. Althusser ha ragione solo se intende riferirsi alla metodologia ed alla epistemologia di Marx. Da un punto di vista metodologico ed epistemologico, infatti, Marx non è umanista, storicista ed economicista. Ma Althusser identifica lo spazio filosofico con quello epistemologico, ed in questo modo non capisce (e contribuisce potentemente a non far capire) che se si sceglie la via nichilistica della negazione di una struttura veritativa della realtà di tipo logico-ontologico si finisce necessariamente con l'essere umanisti, storicisti ed economicisti. È bene chiarire questi tre punti, perché altrimenti non si può procedere nella nostra analisi.

A proposito dell'Umanesimo, il marxismo non è chiaramente un umanesimo, perché non si fonda su di un concetto astorico e generico di Uomo, titolare di una sorta di grande narrazione progressista (ed interclassista, o meglio di un universalismo fittizio solo borghese), ma si basa su un insieme di concetti scientifici specifici (modo di produzione, formazione economico-sociale, forze produttive sociali, rapporti sociali di produzione, ideologia), nessuno dei quali è "umanistico" in senso metodologico, in quanto non si basano su di una sorta di "espansione" di un'essenza umana presupposta. Ma ciò che è vero in epistemologia non è più vero in filosofia. Marx in filosofia è necessariamente un "umanista", perché rifiutando la struttura veritativa della realtà come logica ed ontologica deve inevitabilmente ricorrere ad un concetto di Uomo autosufficiente come creatore non solo di manufatti materiali ma anche di valori morali convenzionali. Non a caso Marx era un ammiratore di Prometeo, mitico rappresentante dell'autosufficienza umana spinta fino alla ribellione verso la divinità. Ma il prometeismo di Marx (filologicamente innegabile, perché apertamente dichiarato) è sempre una forma di umanesimo, più esattamente dell'homo faber, una figura storica destinata a non sfuggire alla logica impersonale ed integrativa della Tecnica descritta dal filosofo tedesco Heidegger e dal suo allievo italiano Galimberti.

A proposito dello Storicismo, il marxismo non è certamente uno storicismo, perché non intende il continuum temporale della storia come lineare, omogeneo, predeterminato (come lo accuserà superficialmente Popper) e teleologico, ma intende invece la storia come un succedersi discontinuo (e pertanto a diversi livelli non omogenei di temporalità, come correttamente intese Ernst Bloch) di modi di produzione diversi, ognuno dotato di una temporalità differente (anche se ovviamente dello stesso tempo spazializzato dell'orologio, eguale per lo schiavismo, per il feudalesimo e per il capitalismo). Ma ciò che è vero in epistemologia non è più vero in filosofia. Marx in filosofia è necessariamente uno "storicista", perché rifiutando la struttura veritativa della realtà come logica e come ontologia deve necessariamente aderire ad uno storicismo assoluto, sostituendo la Storia all'Origine ed il Divenire all'Essere. Un simile eraclitismo, che consegna allo scorrimento del tempo l'enigma del destino dell'uomo, va ben oltre al semplice fatto, nato a metà del Settecento in concomitanza con l'affermarsi della modernità borghese e capitalistica, per cui la storia diventa un "concetto trascendentale riflessivo" (Koselleck), con cui il pensiero illuministico e poi romantico si congeda dal mito dell'Origine. Lo scorrimento temporale diventa produttore di senso, in assenza (come era invece ancora in Spinoza ed in Hegel) di una struttura logico-ontologica della realtà. Ma il tempo produce solo non-senso, non certamente senso.

A proposito dell'Economicismo, il marxismo non è certamente un economicismo, perché non si basa né sullo sviluppo neutrale delle forze produttive né sulla centralità della teoria del valore-lavoro (su entrambi questi punti il maoista occidentale Gianfranco La Grassa ha scritto cose molto convincenti), ma sulla centralità dei rapporti sociali di produzione dentro il modo di produzione. Ma ciò che è vero in epistemologia non è più vero in filosofia. Marx in filosofia è necessariamente un "economicista", perché ciò che viene fuori dalla lotta di classe e dai rapporti sociali di produzione (pur non ridotti a tecnologia produttiva, secondo l'impostazione dell'operaismo e di Toni Negri) è pur sempre e soltanto economia, e nient'altro che economia. Gli agenti storici che agiscono dentro i rapporti sociali di produzione, infatti, siano essi sfruttatori o sfruttati, agiscono in base ad ideologie, o più esattamente a formazioni ideologiche che rimandano comunque al primato dell'economia, indipendentemente dalla centralità o meno delle forze produttive o del valore-lavoro. L'illusione ideologica è così sempre e necessariamente autoreferenziale. Il primato delle forze produttive (Stalin) ed il primato della lotta di classe nei rapporti sociali (Mao Tsetung) sono entrambi forme di economicismo, perché in entrambi i casi domina una forma di ideologismo non filosofico, e dunque necessariamente nichilistico.

10. Come si vede, Althusser non ci può assolutamente aiutare, e ci porta anche fuori strada, perché confonde lo spazio epistemologico e lo spazio ideologico con lo spazio filosofico veritativo. Il nichilismo filosofico di Marx, dentro il quale egli pur sempre elaborò la sua mirabile teoria scientifica della storia ispirata al principio della liberazione e dell'emancipazione (come non mi sogno assolutamente di negare o di mettere in dubbio), è dunque una mescolanza di Umanesimo, di Storicismo e di Economicismo, una mescolanza denominata scorrettamente Materialismo. Nel contesto linguistico del secondo Ottocento europeo, materialismo voleva dire semplicemente ateismo e punto di vista delle scienze naturali (che hanno nella "materia", e solo nella materia, il solo oggetto conoscibile suscettibile di sperimentazione, matematizzazione e protocolli osservativi, verificabili e/o falsificabili). Ma il punto di vista delle scienze naturali dà luogo a certezza e ad esattezza, non a verità, perché il termine verità non è riducibile semplicemente a certezza, esattezza o veridicità (anche se a mio avviso le comprende in ultima istanza), ma comprende anche la struttura logica ed ontologica della realtà umana complessiva (come avevano ben capito Platone ed Aristotele, Spinoza e Hegel). Il "materialismo" è dunque solo una scatola vuota, un indicatore di ateismo e di scientismo. È purtroppo solo una forma moderna e sofisticata di nichilismo.

11. La storia centenaria della filosofia marxista deve allora a mio avviso essere interpretata secondo un criterio opposto di 180° a quello abitualmente adoperato dai marxologi. In generale la si interpreta come una successiva caduta, positivistica, pragmatistica e via dicendo, una caduta rispetto alle alte vette filosofiche raggiunte, cui si attribuisce di solito un paradigma filosofico coerente (anche se poi ogni interprete lo ricostruisce arbitrariamente a modo suo), laddove è filologicamente chiaro che egli non lo coerentizzò mai, anche perché il nichilismo non è facilmente coerentizzabile. Ma la concezione della storia di una dottrina come decadenza rispetto alle alte vette della Origine del padre fondatore è solo la duplicazione secolarizzata del meccanismo istitutivo di ogni religione, come ho chiarito nei paragrafi precedenti. I marxologi sono in generale dei teo-marxologi, cioè dei marxologi che hanno divinizzato Marx, ed usano la citatologia al posto dell'argomentazione. Marx rifiutò la via che pure gli era mostrata con chiarezza da Platone, Aristotele, Spinoza ed Hegel, e prese la via dell'aperta ostilità ad una concezione veritativa logico-ontologica della realtà (che ripeto non è neppure a mio avviso incompatibile con una via logologica, che le è complementare). A questo punto, la storia filosofica del marxismo può essere ricostruita con il criterio della lotta fra forme successive di approfondimento del nichilismo, da un lato (materialismo dialettico, storicismo progressistico, eccetera) e tentativi incerti e contraddittori di uscita da questo nichilismo (socialismo neo-kantiano trascendentale, ontologia dell'essere sociale, eccetera). Devo rimandare ad altra sede questa ricostruzione, in quanto qui non c'è più lo spazio per i dettagli. Aggiungo solo che questa lotta è tutt'ora in pieno svolgimento, e che a breve termine le prospettive non sono affatto buone, per il dominio schiacciante delle posizioni nichilistiche in quel poco che resta tuttora del dibattito filosofico marxista. Ma è giunto ore il momento di passare al secondo punto cruciale di questa mia ricostruzione: il tema dell'individuo, o meglio dire dell'individualità storica concreta, in termini marxiani della "libera individualità".

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