Nichilismo, individuo, universalismo reale

Un percorso originale ed inedito di ricostruzione della filosofia marxista

I parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in otto parti.

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1. La situazione generale del dibattito filosofico che intende trarre ispirazione dal marxismo teorico e dal comunismo politico è oggi semplicemente vergognosa. Si leggono e si continuano a leggere analisi convincenti, o quanto meno pertinenti, di tipo sociale, economico, politico, geopolitico, culturale. Ma in filosofia niente. O quanto meno in filosofia prevalgono i testi ispirati a commenti interminabili a citazioni tratte dai classici, da Marx a Lenin, da Gramsci ad Engels. Ma dalle citazioni non viene fuori altro che la citatologia, questa parente povera della filosofia. La citatologia è inoltre autoreferenziale, e non rimanda altro che a sé stessa. La citatologia deriva da una concezione teologica della perfezione insuperabile dei classici, come se i classici fossero dei fondatori di religioni come Mosè, Gesù di Nazareth o Maometto. Il citatologo non è soltanto disperatamente sterile. È anche inevitabilmente aggressivo verso chi rifiuta la via rassicurante della citatologia stessa. Sospetta sistematicamente complotti revisionisti, eclettismi piccolo-borghesi, contaminazioni impure, eccetera. Prima del 1991 e della caduta del comunismo storico novecentesco il citatologo aveva almeno un punto di riferimento ortodosso (il filosovietismo, lo stalinismo, il togliattismo) o eretico (il bordighismo, il trotzkismo, il maoismo). Ma dopo il 1991 il citatologo incarna in modo pittoresco e tragicomico l'autoreferenzialità pura. Si tratta di una figura antropologica della attuale crisi del marxismo. Ma se nel campo dell'economia, della politica e della storia la citatologia ha poco spazio, perché bisogna pur sempre fornire dati, prognosi, ipotesi, nel campo della filosofia la citatologia continua ad avere un suo spazio soffocante. Vi sono per questo molte ragioni, che inizieremo ad indicare nel prossimo paragrafo.

2. In primo luogo, il citatologo è quasi sempre un docente universitario di filosofia. Per ragioni complesse dovute ai meccanismi della carriera accademica e alle regole della stesura dei testi che possono essere presi in considerazione per superare un concorso universitario, l'originalità è bandita ed è considerata segno di presunzione, immaturità, dilettantismo e stravaganza, mentre è considerato decisivo un ricchissimo apparato di note, cioè di citazione. Mi rendo conto che tutto questo è in larga misura inevitabile, per scoraggiare la superficialità e l'incapacità di leggere e di commentare testi, sia di maggiori che di minori. Ma il risultato finale è l'educazione alla citatologia, non alla filosofia. E siccome la citatologia, necessaria per superare un concorso, alla lunga annoia e disgusta, il risultato finale è quel clima psicologico di cinismo e di disincanto, di relativismo e di irrilevanza che regna in particolare fra i professori universitari di filosofia. Almeno per i professori di medicina ed i grandi clinici il relativismo ed il cinismo sorgono dalle barcate di soldi che guadagnano. Ma per i professori di filosofia il relativismo ed il cinismo sorgono proprio dal modo esasperatamente citatologo con cui fanno il loro mestiere.

E questo ci porta ad una seconda ragione. Per fare filosofia bisogna, innanzitutto, credere nella filosofia e nell'esistenza di un suo oggetto e di un suo metodo specifici, distinti da quelli delle scienze naturali e sociali, della letteratura, dell'ideologia, della religione e dell'arte. La maggioranza dei professori universitari di filosofia, esperti di citatologia, non vi crede affatto, e questo dà luogo ad una situazione irresistibilmente tragica o comica, a seconda dell'umore con cui la consideriamo. La maggioranza dei filosofi detti impropriamente "marxisti" condivide questa impostazione con i propri colleghi detti "borghesi", e lo fa con un grado maggiore o minore (ma generalmente inesistente e borioso) di consapevolezza autocritica. La situazione, come si vede, è completamente bloccata.

3. La considerazioni fatte nei due precedenti paragrafi mi permettono di collocare in modo storicamente più credibile quanto ora cercherò di dire. Circa dieci anni fa, presso l'editore Vangelista di Milano, pubblicai una trilogia filosofica di tipo non citatologico ma relativamente originale di ricostruzione della filosofia marxista (Il convitato di pietra. Saggio su marxismo e nichilismo, 1991, (Il pianeta rosso. Saggio su marxismo e universalismo, 1992, ed infine (L'assalto al cielo. Saggio su marxismo ed individualismo, 1992). Si tratta di un percorso filosofico che ritengo ancora attualissimo, e che in questo breve saggio intendo riproporre, ovviamente con le modificazioni dovute alle riflessioni di questo ultimo decennio.

Dieci anni fa, alla pubblicazione di questa trilogia seguì un imbarazzante ed assordante silenzio stampa. Nessuna segnalazione, nessuna recensione, nessuna discussione. Non zero virgola qualcosa, zero assoluto. Una spiegazione di questo silenzio potrebbe essere la modestia della scrittura filosofica e la povertà della proposta teorica, e cioè una meritata punizione. Un'altra spiegazione, da sconsigliare per i suoi evidenti risvolti paranoici, potrebbe essere la volontaria congiura del silenzio appunto per "silenziare" un interlocutore potenzialmente imbarazzante e destabilizzante. Ma a distanza di dieci anni propendo per un terzo tipo di spiegazione. Ritengo che la problematica generale da me sollevata in questa trilogia fosse talmente aliena ed incomprensibile per la sinistra colta politicamente corretta, che gestisce il potere giornalistico ed editoriale delle segnalazioni ed organizza la manipolazione delle discussioni consentite, da risultare in un certo modo invisibile.

Sono passati dieci anni da allora, e ritengo che cose allora inconcepibili ed invisibili stiano lentamente diventando concepibili e visibili. Per questo ripropongo qui le tesi fondamentali di allora, con una sola radicale modificazione. Mostrerò prima come l'adozione da parte del marxismo di uno statuto filosofico nichilistico sia stata l'origine della crisi. Passerò poi ad una trattazione della natura dell'individuo sociale moderno come solo possibile titolare della possibilità del comunismo. Concluderò infine sul problema del nuovo universalismo che ci sta di fronte.

4. In principio ci fu il tempo, e la freccia del tempo è irreversibile. Lo spazio simbolico in cui scorre il tempo (immagine visivamente deformata dell'unità materiale fra spazio e tempo genialmente concepita da Einstein) è uno spazio della perdita, dell'implosione e dell'entropia, lo spazio cioè del nulla. Il tempo corrode il corpo umano, nostro principale luogo di identità, portandolo inesorabilmente dall'adolescenza alla vecchiaia. Il tempo corrode ed annulla la memoria delle generazioni, vincolandola a supporti materiali fragili come il papiro, la pergamena, la carta, i dischetti. Il tempo vanifica infine tutti i valori costitutivi delle comunità umane di tipo individuale e collettivo, morale e sociale. Il nesso terribile fra tempo e nulla, temporalità e nichilismo, ha costretto quell'animale simbolico che è l'uomo a cercare nell'Origine del Tempo sottratta al Tempo stesso la sola base stabile della sensatezza della propria esistenza segnata dalla consapevolezza anticipata e conosciuta della propria morte. Lo spazio simbolico dell'Origine del Tempo deve dunque essere sottratto alla temporalità stessa intesa come distruzione nichilistica permanente di ogni stabilità. A mio avviso, se non si parte da questo punto, e si parte invece da una fantomatica "materia" originaria come matrice del mondo (dall'acqua di Talete al (big bang dei fisici moderni), si parte con il piede sbagliato, ed è allora del tutto inutile parlare di filosofia, marxismo, comunismo ed altre parole vuote di questo tipo.

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