Da Luigi Berlinguer a Letizia Moratti
intellettuali e scuola
quinta parte
 



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Si consiglia anche la lettura dello studio di Roberto Renzetti sul lavoro dei think tank e delle imprese, non solo italiane, che hanno portato alla costruzione delle riforme di Luigi Berlinguer prima e di Letizia Moratti poi.



di Costanzo Preve



Per agevolare la lettura, il testo è stato diviso in otto parti.

All'introduzione

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  • Vorrei però tornare ancora sulla questione del rapporto fra il Sessantotto e la scuola per evitare ogni possibile equivoco nel lettore. Ho già detto che considero pienamente legittima e giustificata la polemica di don Milani contro le vestali della classe media bocciatrici e nostalgiche della precedente e presunta (ma largamente fittizia ed inesistente) “alta qualità”, identificata con l’esclusione della plebe dai santuari della cultura.
    Certo, mi permetto contestualmente un rilievo da “tecnico” dell’insegnamento, in favore del disciplinarismo e contro il sociologismo, ma questo non ha nulla a che vedere con la cosiddetta “nostalgia reazionaria”, che proprio non mi appartiene.
    Nello stesso modo, non ho nulla a che vedere con l’ampia letteratura che condanna il cosiddetto “facilismo” scolastico del Sessantotto, per cui i sessantottini, già studenti pigri divenuti professori incompetenti, inaugurarono una scuola facile e dequalificata e finirono con il distruggere la povera scuola italiana. Non sono assolutamente d’accordo con questa diagnosi superficiale. Non nego che ci sia stata una sorta di ondata di “facilismo”, di esami collettivi su programmi inesistenti, di voti unici e di voti politici grotteschi e scandalosi, eccetera. Ma questo fa parte di un folklore contestativo del tutto congiunturale, e che durò solo pochi anni, ed in modo molto ineguale da posto a posto. Le radici del “facilismo”, infatti, vengono dalla testa, non dalla coda. Vengono dalla classe dominante, non dalla classe dominata, indipendentemente dalla falsa coscienza con cui le “promozioni allegre” erano decretate da insegnanti che la mitologia reazionaria vuole ad ogni costo capelluti, spinellatori e femministe assatanate. E’ questo un punto decisivo da capire.

  • Il “facilismo scolastico”, ammesso che esso esista veramente, è parte integrante di un processo di sovranità esclusiva dell’economia e dei mercati finanziari che tende a togliere ogni valore legale, definito “corporativo”, a qualunque titolo assegnato per meriti culturali o politici, e dunque anche ad un titolo di studio, che intenda sfuggire alla decisione monopolistica ed esclusiva dell’impresa. Il punto finale, ovviamente irraggiungibile, di questa tendenza, sta nell’idea che solo l’impresa potrà decidere chi è diplomato e laureato e chi no. Questo implica una scuola più difficile (a livello generalmente post-laurea di master) per i candidati a far parte dei gruppi dirigenziali e della classe dominante economico-finanziaria, ma anche una scuola più facile per tutti coloro che dovranno limitarsi a posizioni esecutive. E’ il modello della scuola elementare e media americana. E’ il modello culturale che Lucio Russo individua nel suo ottimo libro Segmenti e Bastoncini, pubblicato da Feltrinelli. Non cadiamo dunque in equivoci sul “facilismo”, confondendo l’inconsapevole esecutore sessantottino e contestatore con la vera tendenza strutturale e storica.

  • Il “facilismo”, il sei politico, i todos caballeros (e se sono tutti caballeros, ovviamente, nessuno è veramente caballero) avevano ovviamente una ideologia, ma questa non era il pensiero di Marx, quanto una sorta di russovianesimo caricaturale. Il suo motto, di fronte a qualunque insuccesso scolastico, comportamentale e caratteriale dello studente pigro, infingardo e furbacchione, era sempre: “La colpa non è dell’individuo, la colpa è della società”. Questo motto deresponsabilizzante, lo ripetiamo ancora, accompagnato talvolta ad una rapida integrazione freudiana alla moda per cui la colpa era anche un po’ di un eventuale complesso di Edipo non risolto, accompagnava senza saperlo la tendenza principale della facilizzazione e della dequalificazione scolastica, che veniva dall’alto e non dal basso, come ho cercato di chiarire nel precedente paragrafo.

  • La comprensione di quanto andiamo dicendo può essere migliore se studiamo rapidamente alcuni comportamenti tipici del ventennio 1975-1995 da due parti, la parte degli studenti e la parte degli insegnanti. Sarebbe ovviamente necessario un inquadramento storico generale più completo, ma ragioni di spazio lo impediscono. Per questa ragione mi limiterò a richiamare l’attenzione, per quanto riguarda gli studenti, al fenomeno ventennale delle occupazioni, anzi delle Okkupazioni, e per quanto riguarda gli insegnanti, alla fuga dalla cattedra verso il sindacalismo scolastico, i centri pedagogico-didattici dei formatori distaccati, ed altri luoghi di vario parassitismo in cui fu coltivato il ceto che avrebbe poi dovuto garantire la linea di Luigi Berlinguer (per l’attuale linea di Letizia Moratti, come vedremo, le cose stanno in parte diversamente, perché qui l’incontro fra l’aziendalismo dominante ed il pedagogismo cattolico dominato avviene senza la mediazione del ceto parassitario e distaccato dei sindacalisti CGIL Scuola).



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