Generali e spazzatura
 



Il generale Fabio Mini, capo di stato maggiore del comando Forze alleate del Sud Europa , ci informa che la "lotta istituzionale" deve sopprimere, anche in maniera "non indolore", la "spazzatura propagandistica" che si maschera come "diritto al dissenso". E ci informa che a New York non sono morti invano, perché ci hanno insegnato a farla finita con un "mondo piacevolmente impegnato nella beneficenza". Curioso: il buon generale è specializzato in Scienze umanistiche presso l'Accademia Agostiniana della Pontificia Università del Laterano.   



Miguel Martinez   

13 dicembre 2001   




I militari, si sa, parlano poco. E quando parlano, è bene ascoltarli, se non altro perché sono armati.   

Quando un militare dichiara pubblicamente che è arrivata l'ora di liquidare il dissenso in maniera "non indolore", è bene ascoltare con molta attenzione.   

Soprattutto poi se non si tratta di un generale qualunque, ma del generale Fabio Mini, capo di stato maggiore del comando Forze alleate del Sud Europa e curatore dell'edizione italiana di Guerra senza limiti - L'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione (Libreria Editrice Goriziana).   

Ecco cosa scrive sulla rivista Limes:[1]   

"... c'è il rischio che vecchi movimenti ideologici e rivoluzionari condannati dalla storia, ma mai debellati, traggano profitto da questa instabilità generalizzata e fomentino disordini, ribellioni e ulteriori destabilizzazioni.   

La questione dell'antrace negli Usa appartiene chiaramente a questa tipologia, ma anche la spazzatura propagandistica e di disinformazione che ci viene propinata sotto le nobili vesti del diritto al dissenso fa parte di questo rischio. E non importa se la matrice sia bianca, nera o rossa. La lotta istituzionale si deve rivolgere anche in questo campo e non sarà né semplice né indolore.   

Il mondo è cambiato, la guerra globale si è spostata su di un piano completamente nuovo. Il modo di combattere deve cambiare e le priorità per cui lottare devono cambiare. La visione di un mondo globalizzato, piacevolmente impegnato nella beneficenza e legato da stessi bisogni e da stessi consumi, omogeneizzato nelle aspettative e nelle istanze come nelle risposte, si è infranta l'11 settembre.   

Se avevamo bisogno di un attacco terroristico di proporzioni immani e di una guerra bizzarra e asimmetrica per acquistare coscienza del mondo a-lineare in cui viviamo, i cinquemila di New York non sono morti invano e la guerra al terrorismo in Afghanistan e altrove è giusta e doverosa". 

 

Il messaggio è doppio. In primo luogo, ci viene spiegato che la "lotta istituzionale" deve combattere, in maniera "né semplice né indolore", la "spazzatura propagandistica" che fomenta "ribellioni".   

Sarà solo per un'associazione di date che questo 11 settembre ne ricorda un altro? Viene in mente, chissà perché, l'11 di settembre del 1973, quando le truppe del generale Augusto Pinochet Ugarte, nel lontano Cile, posero fine in maniera "non indolore" a "disordini e ribellioni".   





11 settembre... 1973, assalto al palazzo presidenziale del Cile.

Ma torniamo al generale Mini. Il riferimento che fa alle missive all'antrace è quantomeno pretestuoso: finora l'unico dato certo è che chi ha inviato quelle lettere era un americano che ha voluto far ricadere la colpa sui musulmani scrivendo improbabili minacce "islamiche". Una delle ipotesi - peraltro tutta da dimostrare - collegherebbe le lettere all'antrace ai fondamentalisti cristiani statunitensi, che non sono né "rivoluzionari" né "condannati dalla storia", visto che lo stesso Ministro della Giustizia, John Ashcroft, ne condivide almeno le idee.   

Augusto Pinochet, in fondo, era interessato solo al suo spicchio di mondo: chi riusciva ad arrivare vivo ai cancelli di un'ambasciata si salvava dai suoi agenti. Mini si occupa invece di tutto il pianeta.   

Con sprezzante ironia, il generale ci avverte che è ora di finirla con la visione di un mondo "globalizzato, piacevolmente impegnato nella beneficenza e [...] omogeneizzato nelle aspettative". Tradotto, non significa che è ora di finirla con la globalizzazione; si tratta piuttosto di lanciare una nuova globalizzazione, non basata sulla "beneficenza" o sull'idea che gli esseri umani, ovunque si trovino, abbiano le stesse aspettative o gli stessi diritti.   

No. I tremila disgraziati di New York "non sono morti invano", perché ci hanno insegnato che è possibile un altro mondo, senza "beneficenza", tenuto insieme dalla "guerra senza limiti."   

Un progetto per l'Italia e un progetto per il mondo. Secco e chiaro come una raffica di mitra.   

NOTA   

[1] Fabio Mini, "Perché combattiamo ancora", Limes, quaderno speciale n. 4, nov. 2001, pp. 19-20. 

   


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