Proposta di interpretazione, metodologia e periodizzazione per la storia della filosofia marxista
(1839-2002)

II parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in quattordici parti.

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4. Partiamo dal notissimo motto filosofico del giovane Marx, per cui finora i filosofi hanno interpretato il mondo, e si tratta ora di trasformarlo. Presa alla lettera, questa frase è letteralmente insensata, dal momento che ogni progetto di trasformazione presuppone una interpretazione precedente. Bisogna allora cercare un significato filosofico a questa dichiarazione non-filosofica radicale. Questa frase è stata per circa un secolo e mezzo interpretata semplicemente come un invito alla militanza ed all'impegno politico. I filosofi non devono limitarsi a scrivere libri sul mondo, ma devono impegnarsi in politica, iscriversi ai partiti di sinistra, fare manifestazioni e girotondi, prendere anche le armi quando è necessario, eccetera. ma questa interpretazione "militante" non ci fa procedere di un solo passo. I filosofi hanno sempre cercato di "trasformare" il mondo, e non ci voleva certo un giovane Marx barbuto a suggerirglielo. Bisogna allora fare un'operazione in due tappe. In primo luogo, bisogna interrogare la genealogia filosofica di Marx, cioè il come Marx ha interpretato i filosofi precedenti e contemporanei (e lo faremo con Spinoza, Epicuro, Hegel, Feuerbach e la sinistra hegeliana). In secondo luogo, bisogna spregiudicatamente chiedersi quale sia la vera fonte nascosta ed implicita, quella mai dichiarata ma decisiva. Contro ogni tradizione, sosterrò che questa fonte mai dichiarata, nascosta ed implicita è l'utilitarismo di David Hume ed il successivo "rovesciamento" del cosiddetto "capitalismo utopico" di Adam Smith. tesi forse scandalosa, ma niente affatto folle come sembra.

5. Marx lesse da giovane il pensiero politico-filosofico di Spinoza e ne fu fortemente e favorevolmente impressionato. Questo risulta filologicamente dalla nuova edizione delle opere complete di Marx ed Engels (MEGA). Da queste note risulta che egli approvava incondizionatamente la tesi sul fatto che lo stato deve garantire la massima libertà di opinione e soprattutto non deve legittimarsi in modo religioso, ma tenere distinte teologia e politica. Marx non lascia alcun dubbio su questi due punti fondamentali. Possiamo perciò dedurne che egli non avrebbe approvato gran parte del cosiddetto "marxismo" successivo. Gli stati socialisti del Novecento, nominalmente marxisti, non garantirono mai la pubblica libertà di opinione, ma la repressero sistematicamente, in una gamma di comportamenti che andava dalla mancata carriera al licenziamento, dall'imprigionamento ai lavori forzati fino alla condanna a morte. Chi pensa che Marx sarebbe sopravvissuto sotto Stalin e non sarebbe stato espulso sotto Togliatti può anche credere che i bambini li portino le cicogne. Per quanto riguarda la separazione fra teologia e politica, è noto che il successore laico (peraltro imperfettamente laicizzato) della teologia è l'ideologia, e gli stati del comunismo storico novecentesco si basarono sempre sulla teologia (cioè l'ideologia di tipo ateo-marxista). Insomma, i quaderni di lettura di Spinoza del giovane Marx impediscono ogni lettura "totalitaria" del suo pensiero, e sono consigliabili sia ai seguaci di Popper sia ancor più a tutti quei militanti e dirigenti comunisti passati e presenti che ritengono la libertà di opinione e di espressione un lusso piccolo-borghese di cui i rudi proletari non sanno che farsene. Atroce stupidaggine che dicono in nome di Marx.

6. Marx si laureò in filosofia con una tesi di laurea su Epicuro, o meglio sulla differenza fra il materialismo di Epicuro e quello di Democrito. Già la scelta di laurearsi in filosofia rappresenta un'implicita critica al sistema di valori e di priorità borghesi. Secondo il padre dello scrittore italiano Gianpaolo Rugarli (cfr. La Repubblica, 30-8-02), che impedì al figlio di iscriversi a lettere e filosofia e gli impose la scelta della facoltà "seria" di legge, lettere e filosofia è fatta per le donne, i preti e i froci. Il mio defunto padre era meno pittoresco del vecchio Rugarli, ma condivideva la stessa concezione, per cui a suo tempo dovetti addirittura scappare all'estero per poter studiare quello che volevo. I borghesi hanno sempre saputo che il mondo non deve essere interpretato, ma trasformato con l'attività imprenditoriale, ed i marxisti scoprono sempre regolarmente l'acqua calda quando pensano di essere stati loro i primi a fare questa geniale pensata.

Il succo teorico della tesi di laurea di Marx sta nella tesi per cui il materialismo atomistico di Democrito era completamente meccanicistico, e non lasciava di fatto nessuno spazio al caso ed alla libertà, mentre quello di Epicuro è diverso, perché la cosiddetta "deviazione" degli atomi (clinamen, parekklisis), rilegittima il caso e fonda anche la libertà stessa. Su questa base l'ultimo Althusser fondò il cosiddetto "materialismo aleatorio". A mio avviso questa tesi di Marx, peraltro filologicamente evidente, si può prestare a due interpretazioni fondamentali. In primo luogo, si tratta di una sorta di auto-interpretazione biografica esistenziale di Marx, che in questo modo spiegava filosoficamente perché era "deviato" lui stesso dalla semplice "caduta" da nonno borghese a padre borghese a figlio borghese. E invece no. Nonno rabbino, padre borghese e figlio comunista. In secondo luogo, si tratta di una precoce scelta in favore di Epicuro e contro gli stoici. Vedremo che più avanti Engels e Kautsky secolarizzarono in modo indirettamente luterano la vecchia teoria stoica della necessità, che divenne poi la teologia storicistica del movimento operaio, prima socialista e poi comunista. Ma Marx fu sempre un pensatore della libertà, e non a caso definì "libera individualità" la sua concezione antropologica della necessità. La stessa definizione di libertà come necessità riconosciuta, cioè come coscienza della necessità, è di Engels e non certo di Marx.

7. E passiamo ora a Hegel. Preghiamo il lettore di prestare una particolare attenzione, perché il gioco si fa duro, ed i duri incominciano a giocare. Molti credono che nella sua giovanile Critica alla filosofia del diritto di Hegel Marx abbia regolato definitivamente i conti con lo stesso Hegel. Mai pregiudizio fu più infondato di questo. In questa opera, a mio avviso mediocrissima (non seguo evidentemente qui il giudizio di Galvano Della Volpe e della sua scuola), Marx continua a dire che esistono solo le pere, le mele e le ciliegie, mentre non esistono ovviamente quelle "ipostasi" chiamate la Pera, la Mela e la Ciliegia. Sembra di ascoltare un mediocre studente di filosofia che ha appena letto un riassunto delle critiche mosse da Aristotele alla teoria delle idee di Platone. Naturalmente, a Marx non interessano particolarmente le pere, le mele e le ciliegie, quanto la famiglia, la società civile e lo stato discusse appunto nella Filosofia del Diritto di Hegel. In modo del tutto corretto egli vuole dire che non esiste la Famiglia, la Società Civile e lo Stato (maiuscoli), e chi afferma che esistono fa solo delle "ipostasi", dal momento che ci sono solo dei tipi storici e mutevoli di famiglie, di società civili e di stati.

Giustissimo. Elementare, Watson. Semplicemente, Hegel non c'entra niente. Marx critica Hegel come se Hegel fosse portatore di un idealismo di tipo platonico-pitagorico, e come se le famiglie, le società civili e gli stati fossero assimilabili a figure geometriche, cioè a linee, a triangoli e quadrati. Qualcosa, in breve, che non muta nel tempo, perché si tratta di modelli geometrici eguali nelle piramidi egizie e nei salotti borghesi. Ma l'idealismo di Hegel non è di tipo geometrico-pitagorico, ma di tipo storico, ed allora è chiaro che quando parla di Famiglia, Società Civile e Stato (con la maiuscola, ma in tedesco tutti i sostantivi si scrivono con la maiuscola, cosa che forse ha contribuito ad alimentare lo spirito filosofico dei tedeschi) non ne parla come se fossero la Pera, la Mela e la Ciliegia, espressioni da fruttivendolo idealista. Ne parla come il massimo storico possibile di realtà e di razionalità in quel preciso momento storico, che è quello della modernità borghese.

A mio avviso, il giovane estremista Marx è del tutto giustificato a confondere l'idealismo storico di Hegel con l'idealismo geometrico di Pitagora e con le sue "ipostasi". Meno giustificati sono quei marxisti che pensano di essere "materialisti" perché vogliono toccare le pere, le mele e le ciliegie. Se poi ne rovesciano le cassette, pensano di rimettere Hegel con i piedi per terra.

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