Proposta di interpretazione, metodologia e periodizzazione per la storia della filosofia marxista
(1839-2002)

I parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in quattordici parti.

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INTRODUZIONE

1. Questo breve saggio si propone due obiettivi teorici molto ambiziosi. Per poterli documentare con il necessario apparato filologico ci vorrebbero migliaia di pagine, ma lo spazio e le forze sono quelli che sono. In ogni caso, la citatologia è sempre secondaria, mentre in primo piano deve sempre venire la tesi teorica che si ritiene opportuno sostenere. Le citazioni sono in filosofia quelle che sono negli eserciti le salmerie e, come diceva Napoleone, le salmerie verranno anche loro in coda alle truppe.

2. La prima tesi, che è anche la più importante, consiste nel sostenere che in Karl Marx, ed ancor più nel marxismo successivo, non esiste uno spazio filosofico propriamente detto, nel senso dello spazio teorico di una conoscenza filosofica specifica distinta dalla conoscenza quotidiana, scientifica ed artistica. La filosofia di Marx è quindi una non-filosofia. Certo, come è normale nella storia della filosofia occidentale, la tesi della non-filosofia è sostenuta con argomenti di tipo filosofico, come del resto avviene in molti pensatori (e cito qui solo Gorgia, David Hume e Ludwig Wittgenstein). La scelta non-filosofica di Marx si consuma tutta prima che egli compisse i trent'anni di età, sostanzialmente dal 1839 al 1845. È necessario chiarire la genesi di questa scelta non-filosofica, perché il marxismo successivo sostanzialmente la erediterà.

3. La seconda tesi, che però è anche la meno importante (anche se quella che richiederà più spazio di esposizione), consiste in una proposta di periodizzazione della filosofia marxista dopo Marx, che è anche la storia di una lunga non-filosofia. Accennerò dunque solo di sfuggita alle tesi di Marx di tipo politico o economico (dittatura del proletariato, crisi economiche, eccetera), perché esse non sono l'oggetto conoscitivo di uno specifico spazio filosofico. Questa mia proposta di periodizzazione, di cui espliciterò sempre i criteri metodologici impiegati, divide la storia della filosofia marxista in cinque periodi. Fra di essi vi è ovviamente una dialettica di continuità e di discontinuità, ma a mio avviso è sempre la discontinuità ad essere dominante, e chi non si impadronisce concettualmente di questo criterio finisce sistematicamente con l'affrontare la guerra nuova con le carte belliche di quella precedente, come successe ai francesi con la linea Maginot nel 1939.

Il primo periodo della storia della filosofia marxista è quello costitutivo, e va dal 1875 al 1914. Il ruolo di Engels, ed in subordine quello di Kautsky, è stato essenziale. La sola corrente filosofica che si oppose in modo esplicito alla sintesi teorica di Engels e di Kautsky fu quella detta neo-kantiana, ma essa restò minoritaria, e non uscì dall'ambito universitario. Una seconda corrente fu quella degli empiriocriticisti russi, cui si oppose fortemente Lenin, ma anch'essa restò minoritaria. Il neokantismo e l'empiriocriticismo restano comunque esempi di autonomia di pensiero e di capacità critica.

Il secondo periodo della storia della filosofia marxista è quello della sua prima crisi generale, e va dal 1914 al 1931, quando Stalin definisce per decreto di partito una sola filosofia legale, il cosiddetto materialismo dialettico. In questo secondo periodo la sintesi di Kautsky si esaurisce, ed il movimento comunista avanza in primo piano. A questo secondo periodo appartiene integralmente anche Antonio Gramsci, la cui opera scritta in carcere resta però inedita. All'interno dell'URSS il materialismo dialettico si fa strada contro due correnti contrarie, la negazione integrale della filosofia del cosiddetto materialismo volgare e la filosofia di Deborin, poi battezzata in modo diffamatorio come idealismo menscevizzante. All'esterno dell'URSS il materialismo dialettico si impone con metodi amministrativi contro il cosiddetto "marxismo occidentale" (Lukàcs, Korsch, eccetera).

Il terzo periodo della storia della filosofia marxista è quello della sua "seconda" ortodossia (la prima è quella di Kautsky), e va dal 1931 al 1956, con il XX congresso del PCUS e la destalinizzazione di Nikita Krusciov. In questo terzo periodo si realizza l'integrale sottomissione dello spazio filosofico allo spazio ideologico. Non si tratta di giudicare la cosiddetta "qualità" del materialismo dialettico, che ovviamente è molto bassa. Si tratta di comprendere che purtroppo esso ha "inverato" una tendenza nichilistica già esistente, e cioè la tendenza alla ideologizzazione della scienza (o di ciò che si riteneva erroneamente essere tale). La forza di questa ideologizzazione è stata tale che gli apparati partitici, scolastici ed universitari dei paesi in cui il potere politico era in mano al comunismo storico novecentesco hanno continuato ad applicarla fino alla fine, cioè fino al biennio 1989-91.

Il quarto periodo della storia della filosofia marxista è quello della sua seconda crisi generale, e va dal 1956 al 1991, cioè fino alla dissoluzione tragicomica del comunismo storico novecentesco. In questo quarto periodo ci furono molte proposte di rinnovamento, ma a mio avviso le più rilevanti sono soltanto due, l'ontologia dell'essere sociale di Lukàcs e la nuova epistemologia marxista di Althusser. Ma il malato era assolutamente incurabile, ogni innovazione è irricevibile se il destinatario è intrasformabile, e così nessun rinnovamento fu possibile.

Il quinto ed ultimo periodo della storia della filosofia marxista, quello in cui siamo immersi e che stiamo vivendo oggi, inizia nel 1991. Esso non ha ancora dato luogo, a mio avviso, a nessun segnale di rinnovamento, e questo perché a mio avviso un rinnovamento oggi deve essere radicale, e per ora questo viene scoraggiato ed impedito da apparati intellettuali conservatori di tipo universitario e politico. Non è però solo colpa di questi apparati, che pure stanno giocando un ruolo nefasto. Il rinnovamento non è ancora avvenuto anche perché c'è oggettivamente una forte povertà ed insufficienza delle proposte alternative. Come ad esempio quella che viene qui proposta in questo saggio.

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