"Da una parte, io e due zingare
dall'altra, il mondo intero"

IX parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Miguel Martinez è stato diviso in dodici parti.

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La Leggenda della Zingara Rapitrice

Quello dei Rom è un mondo tragico, ma anche ricco e profondo, perché profondamente umano. Molto in piccolo, ho cercato su questo sito di rendere chi legge partecipe di qualche frammento che ho potuto condividere anch'io.

Però se vogliamo analizzare come gli italiani vedono i Rom, dobbiamo partire da un'altra prospettiva.

Vedere nei Rom dei semplici produttori di delinquenza è un po' come vedere negli italiani semplici produttori di rumori molesti provenienti dalle discoteche. Trascura tutta l'umanità reale degli italiani e ignora l'esistenza di quelli che in discoteca non ci vanno mai; ma è una prospettiva valida dal punto di vista dell'immigrato nigeriano che si deve alzare alle cinque di mattina per andare a lavorare, e sente i discotecari che fanno rumore sotto casa fino alle due. E così come non chiedo al nigeriano di cercare di capire il punto di vista degli adolescenti rumorosi, non chiedo alla casalinga di Voghera di essere entusiasta del vicino "campo nomadi".

Però le posso chiedere di non delirare e non strapparsi i capelli mentre urla in piazza i suoi incubi più perversi. Purtroppo è esattamente quello che fa la solitamente serissima casalinga di Voghera, quando vede una zingara.

Perché la casalinga di Voghera crede profondamente alla straordinaria leggenda metropolitana degli zingari ruba-bambini. Ci sono leggende metropolitane famose che riguardano l'autostoppista fantasma o il topo-cane messicano; ma per fortuna sia i fantasmi che i topi-cane, per la loro natura, riescono a evitarne le conseguenze. Non così 120.000 Rom in carne e ossa.

Il benemerito sito delle Leggende Metropolitane racconta la forma essenziale della leggenda:

"Una donna stava facendo delle compere in un grande magazzino insieme alla sua bambina, quando si è voltata per un attimo. Subito dopo, si è resa conto che la piccola era sparita. I funzionari addetti al controllo hanno bloccato le uscite e hanno perquisito il grande magazzino. La bambina è stata ritrovata in un bagno insieme a due donne che le avevano tagliato i capelli e le avevano fatto indossare abiti diversi. Le due donne sarebbero poi state rilasciate per evitare una cattiva pubblicità al grande magazzino.

Nella maggior parte delle versioni si ritrovano le porte bloccate, la bambina sparita e ritrovata in un bagno, i capelli tagliati (e speso anche tinti), il cambio dei vestiti e il presunto soffocamento della notizia da parte del grande magazzino, della polizia o dei media. Una leggenda simile, rileva Paolo Toselli, cominciò a diffondersi in Italia intorno al 1990, ed è rilevante notare come i rapitori sono quasi sempre gli zingari, a riprova della perenne ossessione verso di loro fondata su atavici timori. Inizialmente la leggenda italiana raccontava di un bambino, o una bambina, rapito al supermercato da una zingara che l'aveva legato ad una gamba e nascosto sotto l'ampia gonna. Dall'estate del 1993, invece, si è andata diffondendo una versione molto più simile a quella americana.

Il bambino, che era seduto sul carrello spinto dalla mamma, scompare improvvisamente. Quest'ultima da l'allarme e le porte del supermercato vengono subito chiuse. Trascorsi alcuni minuti, il bambino viene ritrovato in un gabinetto assieme a degli zingari che nel frattempo gli avevano completamente rasato la testa, cambiato i vestiti con altri più usurati e sporcato il viso per renderlo il più possibile irriconoscibile.

Di solito chi era a conoscenza della storia l'aveva saputa da un'amica che conosceva la cassiera del supermercato. I giornali non ne avevano parlato dietro richiesta della direzione del supermercato onde evitare una pubblicità negativa. Come ho già fatto notare, i "cattivi" sono gli zingari, con tutte le varie denotazioni che il loro stereotipo implica; ecco quindi che il bambino viene "acconciato" per essere più simile a loro, ovvero rasato, vestito con indumenti usurati, e soprattutto sporcato."

Cesare Bermani (Il bambino è servito. Leggende metropolitane in Italia, edizioni Dedalo, Bari 1991) dimostra come il racconto nasce negli Stati Uniti, dove però non esiste una "questione Rom", e quindi prende di mira altri (trafficanti di prostitute e in qualche caso, neri). Bermani documenta poi l'esplosione di questo racconto nell'estate del 1990, prima nelle Marche, poi nei luoghi di villeggiatura - Cattolica, Riccione, Rimini, Bellaria, Milano Marittima, Cervia, Lido di Spina; in novembre all'Ipercoop di Borgo Panigale (Bologna), alla Coop di Guastalla. In Lombardia a Seregno, a Crusinallo e a Pavia.

Sacrifici e terrori

Riemerge così una storia antichissima. I romani accusavano i cristiani di celebrare i loro riti sacrificando bambini; i cristiani per secoli hanno accusati gli ebrei di uccidere i bambini per impastare il pane azzimo a Pasqua con il loro sangue. Una versione più laica risale alla guerra tra greci e turchi del 1919-1922: ho sentito sia greci che turchi raccontare come i soldati degli altri lanciassero per aria i "nostri" neonati e li raccogliessero sulle punte delle baionette. La forma più pittoresca del racconto parla invece dei soldati dell'altra etnia che aprono le pance delle donne incinte per tirare fuori i feti - quest'operazione complessa, macabra e insensata viene attribuita a numerosi eserciti, spesso con ingannevole precisione di luogo e data.

"Se non ti comporti bene, ti porterà via lo zingaro!" La paura per il bambino è anche la paura del bambino, instillato per secoli e trasmesso di generazione in generazione.

Le grandi psicosi sono sempre a sfondo biologico. Variazioni infinite su temi assolutamente elementari: i loro maschi vogliono prendere le nostre donne; noi dobbiamo sottrarre le loro donne a quei maschi (con varianti pseudofemministiche assai interessanti); loro minacciano i nostri figli.

Nei primi due casi, la psicosi è chiaramente maschile. Gli uomini altrui sono malvagi, ma le loro donne sono desiderabili (raramente il razzista si scandalizza se il proprio seme intacca la purezza delle razze inferiori).

Nel terzo caso, invece, la psicosi è forse più femminile: come dice Barbiellini Amidei, si tratta di "un incubo delle madri". E di riflesso, a essere malvagie sono soprattutto le donne: infatti i Rom sono eccezionali in quanto sono l'unica comunità di cui vediamo - in maniera riconoscibile - quasi esclusivamente le donne. Donne che vediamo spesso con bambini, anche essi insolitamente protagonisti della società Rom.

"Salvate i bambini!"

E qui si aggiunge una razionalizzazione perbenista e moderna, che non avrebbe sfiorato i nostri avi: il bambino è una cosa che si tiene sterilizzata in un apposito contenitore. I bambini Rom devono essere "schiavi", perché nessuna mamma manderebbe in giro i propri figli in quella maniera. Oggi, nella società del Figlio Unico, "il rischio non deve neppure affacciarsi all'orizzonte del bambino [...] una volte che dovesse disgraziatamente apparire in questo orizzonte, va combattuto ed estirpato immediatamente a ogni costo e con qualunque mezzo" (Roberto Volpi, Liberiamo i bambini. Più figli, meno ansie. Roma, Donzelli editore. 2004, p. 22).

Ma la realtà è che ci sono bambini che nascono in luoghi per nulla sterilizzati, dove non ci sono contenitori. Passano la loro infanzia circondati da un enorme affetto, ma anche a giocare su grandi mucchi di rottami rugginosi, a prendere a bastonate i topi, a guardare con curiosità il fuoco che divora la baracca del vicino. E che trovano naturale essere corresponsabili dell'economia domestica dalla più tenera età. Non sto dicendo che tutto questo sia un bene; ma dico che succede così. E ovviamente ci sono molte famiglie Rom in cui non succede, perché le mamme, prima di andare a mendicare, lavano per bene i loro figli e li spediscono, per quanto recalcitranti, a scuola.

Molti odiano i Rom adulti, ma dicono che bisognerebbe "salvare" i figli dai loro padri. Ovviamente anche i Rom adulti sono stati bambini una volta: quindi, o sono tutti vittime, o sono tutti colpevoli. Altrettanto ovviamente, lo stesso ziganofobo che teme che i Rom rubino i suoi bambini istiga al rapimento istituzionale dei bambini dei Rom: "io gli toglierei i figli a questi zingari!"

Certamente, è meglio (anche se magari meno divertente) crescere a Milano Due che nel Campo di Centocelle. Però è meglio crescere al Campo di Centocelle che in un istituto.

Non è facile combattere una leggenda. Innanzitutto, perché la leggenda non conosce la logica: se qualcuno afferma che i Rom rapiscono i bambini, e tu gli chiedi di portare una prova, ti risponde, "è risaputo che gli zingari rubano".

Ora, il fatto che qualcuno ruba portafogli non costituisce una prova che quella stessa persona rapisca i bambini.

Personalmente, ad esempio, ritengo, con ottimi motivi, che il signor Francesco Battistini sia un giornalista cialtrone. Non salto da qui alla conclusione che lui faccia l'esibizionista davanti agli asili nido, e anzi se qualcuno lo dovesse accusare di farlo senza prove, lo difenderei, spero con più serietà di quella con cui lui diffama la gente.

La Leggenda non ci propina statistiche, non ci offre retorica. Ci parla di un luogo che ci è profondamente familiare, il centro commerciale. Ci parla di carrelli, di luci al neon, di un bambino che strilla e tocca le merci, le lunghe gonne e il viso scuro della zingara...

Ecco perché una notizia come questa, dell'ottobre 2004, dove non ci sono zingare, non interessa quasi nessuno:

"Tenta di rapire una bimba all'asilo

Messo in fuga dalle urla della madre

Un uomo di 30 anni ha avvicinato una giovane mamma e, armato di un oggetto appuntito, un coltello o forse delle forbici, ha tentato di portarle via la figlioletta di tre anni. E' accaduto fuori dall'asilo comunale di Capodichino a Napoli. La donna si è messa ad urlare e il rapitore è scappato sull'auto guidata da un complice."

Il sadico sorriso dei maghrebini

Peter Burger, dell'università di Leiden in Olanda, ha fatto un interessante studio sulla Banda degli Smiley - gli smiley sono i sorrisini internettari. Citiamo dal riassunto di una sua conferenza; ma chi ha fatto il riassunto ha omesso il fatto assolutamente fondamentale, senza cui non si capisce nulla: nella sua relazione originale, il professor Burger parlava chiaramente di una banda di maghrebini. Cioè di arabi, cioè di musulmani.

Nell'autunno del 2003 si scatenò in Olanda un'ondata di panico, originata da una voce sulla "Smiley Gang" (Banda del Sorriso). Si raccontava come tale banda assalisse le donne, obbligandole a scegliere tra subire uno stupro o ricevere uno "smiley". Chi optava per lo "smiley" riceveva una rasoiata sul volto, che lasciava un'orrenda cicatrice a forma, per l'appunto, di sorriso. In anni recenti, la leggenda è circolata anche in Belgio ed in Francia. Le leggende non sono solo narrate, ma vissute. Scolari e studenti hanno preso provvedimenti per minimizzare i rischi, in numerose città alcuni giovani terrorizzavano le donne spacciandosi per membri della gang, ed almeno due ragazze si sono falsamente dichiarate vittime della violenza.

Inizialmente propagatasi di bocca in bocca, la leggenda della "Smiley Gang" ebbe una grande diffusione a causa dei media. Essa comparve su giornali, notiziari televisivi e radiofonici, venne diffusa attraverso catene di sant'Antonio via e-mail e discussa su newsgroup e sui weblog. Nonostante i media più ufficiali sistematicamente riportassero le smentite della polizia e lo scetticismo degli esperti, è probabile che questa pubblicità abbia aumentato piuttosto che ridotto il numero di persone che credevano alla leggenda.

E infatti, quale esperto televisivo o poliziotto riesce a fare concorrenza al terrore ispirato da quell'immagine, così genialmente agrodolce, sadica e infantile insieme? Che porta qualcuno addirittura a dichiararsi vittima della banda, ferendosi in viso? Sono cose che per la faccia di Ciampi o Fassino non si fanno.

Però questo non assolve quegli esperti, o autonominati tali, che invece di contrastare la leggenda, la diffondono.

Sul mio sito ho citato nome e cognome di una giornalista che si è resa complice di questa leggenda, Nunzia Vallini. Che ha dato sul Corriere della Sera l'alibi del "rapimento zingaro" a una signora italiana che aveva ammazzato il proprio bambino. Da segnalare che per Nunzia Vallini, la prova antizigana consisteva nel fatto che erano spariti degli oggetti nella macchina della signora - furto uguale zingari, insomma. Invece per i genitori della bambina di Lecco, intervistati dall'inviatina di Bruno Vespa, la prova che le romnijà volevano rapire la bambina consisteva nel fatto che non avevano rubato la borsa della mamma.

Ma nella lunghissima scala gerarchica del degrado umano, esiste qualcosa di più ributtante ancora di Nunzia Vallini. La cosa si chiama Davide Giacalone. Scrivendo su Legnostorto, egli aggiunge alla leggenda un elemento del tutto nuovo - una culla:

"Poi arriva il giudice di Lecco che, d’accordo con il pubblico ministero, mandano libere due zingare (due donne, non due bambine) che avevano preso un bimbo dalla culla."

davide giacalone

La faccia di Davide Giacalone


Giacalone afferma di essere ex-segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana, di essere stato - a 22 anni - Capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri; di essere poi diventato consigliere del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, di essere attualmente consigliere d'amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società Sip, Italcable e Telespazio.

Collabora con L'Opinione, e fin qui nulla di strano. Ma il bello è che dirige un periodico che si chiama La Ragione. Sì, proprio "La Ragione", come nel verbo ragionare.

Aggiungiamo infine che, se gli zingari non c'entrano, ci sono effettivamente degli extracomunitari che compiono rapimenti sul suolo italiano. Ma questo è l'oggetto di un altro articolo su questo sito.



Una zingara si avvicina alla culla della Bimba di Lecco?


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