INTELLETTUALI SENZA CORAGGIO
 



Valerio Evangelisti, l'autore italiano di fantascienza più noto, ha scritto questa interessante critica al ruolo degli intellettuali italiani sul numero di aprile del mensile francese Le Monde Diplomatique.

Le Monde Diplomatique esce anche in una versione italiana, a cura del Manifesto; è quindi significativo che questo articolo - che riguarda l'Italia ed è stato scritto da un autore italiano assai conosciuto - sia stato soppresso nell'edizione italiana.




Valerio Evangelisti   

aprile 2002   





Il governo italiano di destra ha, al proprio fianco, un numero estremamente ridotto di intellettuali di prestigio. Pochi sono gli scrittori, pochissimi i cineasti, rari pittori e musicisti. Chi sostiene Berlusconi sono anzitutto gli editorialisti dei grandi quotidiani, in qualche caso provenienti dalle facoltà universitarie (Angelo Panebianco, Ernesto Galli Della Loggia, Paolo Mieli ecc.). Tra costoro e gli opinionisti del fronte teoricamente opposto, quello dell’Ulivo, esiste una sorta di solidarietà di categoria, dovuta a una sostanziale identità di vedute circa i benefici del liberismo selvaggio e della mondializzazione. Se si parla di guerra in Afghanistan, di movimento anti-global, di difesa della civiltà occidentale contro la barbarie, di espulsione di immigrati, di politiche sociali, è molto difficile trovare differenze tra la maggior parte degli editorialisti de La Repubblica o L’Espresso (Geminello Alvi, Antonio Polito, Eugenio Scalfari, Mario Pirani, ecc.) e quelli dei giornali governativi.

Tuttavia manca ancora, a Berlusconi, l’appoggio di un numero sufficientemente ampio di scrittori, di cineasti e di altre categorie di artisti. Il settimanale che più lo sostiene, Panorama, è stato costretto ad accordare la definizione di “più importante scrittrice italiana” all’anziana giornalista Oriana Fallaci, autrice di un pamphlet violentemente xenofobo, in cui invita a sputare sui musulmani e dipinge i Somali (forse la più innocua minoranza presente in Italia) e gli africani in genere quali naturali portatori di sporcizia, fisica e morale. D’altro canto, il governo si è visto obbligato, in mancanza di meglio, ad affidare la gestione della mostra di Venezia e della Scuola nazionale di cinema a incompetenti e industriali, mentre ambasciatore della cultura italiana nel mondo pare essere diventato l’estroso Vittorio Sgarbi, che fino a qualche mese fa propagandava un caffè in televisione e teneva alla radio lezioni di sex appeal.

Ma sbaglia chi crede che, di fronte a questo vuoto, gli intellettuali non allineati al potere svolgano davvero la funzione critica e antagonistica di loro pertinenza. Molti di loro denunciano le ripetute violazioni della legalità, ma non le connettono né al segno di classe del governo Berlusconi, espressione di una nuova borghesia arricchitasi con il commercio, i servizi, le comunicazioni, le speculazioni di borsa, né a un quadro internazionale posto sotto il segno dell’imperialismo e del neocolonialismo. Mancano in Italia i Bourdieu, le Forrestier, le Susan Gorge, i Gore Vidal. Se protesta c’è, è contingente e partitica.

Del resto, quale critica ci si può attendere da chi muove da punti di vista in gran parte convergenti? Nessuno dovrebbe dimenticare la campagna astiosa contro gli immigrati condotta per due anni dall’ex scrittore ribelle Alberto Arbasino, né che Umberto Eco fu tra i precursori delle politiche di privatizzazione dell’università.

Eppure le aberrazioni di un governo sempre più simile a un regime sono sotto gli occhi di tutti, e dovrebbero fare gridare allo scandalo. Alle opinioni pubbliche straniere giungono solo i casi denunciati dalle forze del centrosinistra e dagli intellettuali che vi si riconoscono: la negazione della scorta ai magistrati in lotta contro la mafia, la sostituzione di un giudice nel corso di un processo che vede Berlusconi e il suo ex legale Previti quali imputati, la depenalizzazione di reati che minacciano il leader e il suo entourage confindustriale.

Non varcano però le frontiere innumerevoli casi di arbitrio quotidiano. Talora piccoli, come l’istituzione a Bologna di un numero verde, gestito da un deputato di Forza Italia e rivolto agli studenti che vogliano denunciare gli insegnanti rei di criticare il governo (ne è derivata un’ispezione ministeriale, intesa anche ad accertare se nelle scuole bolognesi si mettesse nel giusto rilievo la superiorità dell’Occidente sul mondo islamico, e si celebrasse degnamente il Natale). Altre volte clamorosi, come l’espulsione, in una versione locale della “notte dei cristalli”, di 1500 immigrati prelevati nel corso della notte dalla polizia, con irruzioni in appartamenti privati, ed espulsi (ma si potrebbe dire “deportati”) nel giro di 24 ore.

Tutto ciò, dal mondo della cultura che conta, viene accolto con silenzio, anche perché spesso di tratta dell’applicazione di leggi varate dal centrosinistra, su cui gli intellettuali tacquero al momento dell’approvazione. Quando la protesta si solleva, spesso riguarda la sola persona del premier (che si presta, in effetti, ma non può esaurire il problema), oppure lesioni troppo patenti al quadro istituzionale. Passano quasi sotto silenzio, invece, sia l’imbastardimento capillare della società che le occasioni di scontro vero, capaci di far vacillare il sistema.

Dai movimenti di contestazione, che pure esistono nel reale, gli intellettuali si ritraggono con una sorta di repulsione. I liceali di tutta Italia occupano le scuole, gli insegnanti scendono in piazza contro la riforma demenziale del ministro dell’istruzione Letizia Moratti (ennesima donna d’affari elevata a incarichi strategici), il movimento pacifista mobilita centinaia di migliaia di manifestanti, gli operai lottano contro la completa liberalizzazione dei licenziamenti, gli immigrati minacciati dall’aberrante legge Bossi-Fini danno vita a massicci cortei. Tutto ciò vede la maggior parte del mondo culturale italiano, e soprattutto il corpus arrogante e vanesio degli scrittori di grido, assente, indifferente o addirittura ostile.

A parte qualche autore di genere, ignorato in quanto tale dall’accademia, nessuno si chiede se l’ideologia neoliberale fatta propria dal centrosinistra non contenesse in germe la vittoria di Berlusconi e del suo governo. Se il costruire campi di detenzione per immigrati, teorizzare l’utilità di guerre “giuste”, favorire il precariato non costituissero le premesse per una successiva degenerazione autoritaria. Udiamo quindi Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri tuonare contro il fascismo di ritorno, Nanni Moretti stigmatizzare l’inefficienza dei leaders dell’opposizione. Mai che si chiedano se tutto ciò non abbia radici.

Clamoroso il caso di Genova, prima prova pratica del governo Berlusconi (anche se ebbe per regista non tanto questi, quanto il leader post-fascista Gianfranco Fini): violenze incredibili a danno dei manifestanti più innocui, reintroduzione di forme di tortura, molestie sessuali sulle donne arrestate, certezza dell’impunità per quei poliziotti che cosparsero di sangue le strade cittadine. Uno spettacolo osceno, ai limiti del sopportabile. Attuato da funzionari di polizia scelti dal centrosinistra, che a Napoli, pochi mesi prima, aveva attuato una prova generale del macello. E coperto da una magistratura che oggi è divenuto di moda attaccare in blocco o difendere in blocco.

A fronte di tutto ciò, quanti scrittori italiani hanno fatto udire forte la loro voce? Quanti, tra coloro che ne possiedono i mezzi, hanno sollevato una parvenza di protesta? I cineasti che filmarono quelle giornate sono rimasti isolati da chi, attraverso la scrittura, pretende di possedere una peculiare conoscenza del mondo e si vanta di aderire alla realtà (il realismo connota da sempre, agli occhi degli accademici italiani, la narrativa “alta”: persino Italo Calvino e Dino Buzzati faticarono a ottenere un riconoscimento). Si comprende, allora, il prevalere del minimalismo più oltranzista nella letteratura italiana di oggi: non solo mancanza di idee, ma anche di coraggio.

Ulteriori banchi di prova ne sono stati la guerra e il razzismo. Pochissimi hanno pubblicamente preso posizione contro la vergogna afgana, anche se in privato sussurravano il loro dissenso. Persi in futili esercizi di stile, impegnati in piccole diatribe da caffè condotte con elegante nonchalance, gli scrittori antimilitaristi in pectore non hanno osato sfidare la falange compatta degli opinionisti, che sui grandi organi di stampa propagandavano a pieni polmoni una folle e un po’ turpe jihad occidentale. Era, del resto, accaduto lo stesso con la Somalia, con il Kossovo e con le altre avventure militari che hanno coinvolto l’Italia.

E non si tratta solo di articoli o di interventi d’occasione. E’ anzitutto dai libri degli scrittori italiani che queste realtà, come quasi tutte le altre realtà, sono praticamente assenti. Cosa mai capiranno, dell’Italia odierna, i futuri lettori della narrativa prodotta ai giorni nostri in quest’angolo d’Europa? Temo niente; anzi, temo che non la leggeranno. E si badi che mi riferisco solo alla letteratura “realistica”, per definizione nobile. Inutile cercare nel contesto italiano un Orwell o uno Zamjiatin, che ci parlino del presente e del futuro in forma di metafora.

Ma veniamo al razzismo, attraverso un banale esempio che la dice lunga sull’interscambio tra schieramenti, e sulla continuità ideologica alla base dell’esperimento autoritario del governo Berlusconi. Martedì 15 gennaio, su Il Corriere della Sera, appare un corsivo firmato dal già menzionato Geminello Alvi. Un economista fino a poco tempo fa collaboratore illustre di testate legate al centro-sinistra. Si sta discutendo di smog e inquinamento, e il brillante studioso ha una propria tesi. L’inquinamento sarebbe un portato naturale dell’incremento demografico. Da cui, dopo la derisione ormai di rito dei no-global (che “salterellano in corteo come tarantolati”), la logica conclusione: si stanno “importando” milioni di immigrati, ed è questo che inquina l’aria.

Il lettore non italiano stenterà a credere che su uno dei principali quotidiani della penisola si possa scrivere qualcosa del genere: Haider o Le Pen forse avrebbero difficoltà a condividere, dell’articolo, altro che non sia la sostanza della proposta, mentre giudicherebbero troppo stupido tutto il resto. Eppure è questo il livello medio dei nostri opinionisti, degli sciagurati maîtres à penser che ogni giorno distillano odio razziale, classista, religioso dalle colonne di quotidiani compiacenti. E che si scagliano con inaudita violenza contro tutti coloro che, in un mondo ormai moralmente gelido, resistono abbarbicati alla trincea dell’idealismo.

E’ questo che unisce schieramenti apparentemente opposti. Il centrosinistra, nel suo inseguire forsennatamente la borghesia emergente, abbandonò ogni scelta di campo che lo distingueva. Rinunciò a ogni idea solidale e promosse il neoliberalismo a unica ideologia concepibile. Il centrodestra ne ha raccolto grato l’eredità, rendendola più persuasiva con le proprie esplicite scelte di classe, venandola di neofascismo e ammantando il tutto di una volgarità post-moderna. Solo a questo punto gli intellettuali di sinistra si sono risvegliati.

Riusciranno gli intellettuali di opposizione a capire che Berlusconi non è un fenomeno isolato o abnorme? Dall’impaccio con cui hanno assistito all’intesa tra questi e Tony Blair non si direbbe. Ma la cartina di tornasole è stata Genova. Chi tacque allora, o si espresse in maniera blanda, continuerà a tacere. Infliggendo alla cultura italiana, già impoverita di suo, il marchio ulteriore della codardia.


Questo articolo è apparso per la prima volta sul sito web http://www.eymerich.com ed è stato riprodotto con il permesso dell'autore.




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