La guerra del diritto

La repressione planetaria dopo l'11 settembre
II parte

 




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Controllo totale

L’art. 3 della legge rende più celeri le procedure per le intercettazioni telefoniche nei procedimenti relativi ai delitti previsti dall’art. 270 bis e 270 e ai delitti con finalità di terrorismo. Anche in questo ambito, inoltre, è estesa la possibilità di perquisire "blocchi di edifici" e di sospendere "la circolazione di persone e di veicoli nelle aree interessate". A questo punto, il riferimento mentale più spontaneo va alla nozione di rastrellamento.

L’art. 5 prevede la possibilità anche per i reati con finalità di terrorismo (oltre che per quelli di mafia) di intercettare preventivamente "comunicazioni o conversazioni, anche in via telematica, nonché … comunicazioni o conversazioni tra presenti", anche in domicili privati. Queste intercettazioni sono autorizzate non nei confronti di chi è sottoposto a indagini, ma in via del tutto generale "quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione" dei delitti in questione. È quindi chiaro che tali intercettazioni (utilizzabili a fini di polizia e non processuali) possono colpire chiunque, e qualunque ambiente.

Insomma, il controllo tende – ove già non lo sia – a divenire totale.

Infiltrati ufficialmente

L’art. 4 introduce, senza ipocrisie ma anche senza più pudore, la disciplina delle "attività sotto copertura" della Polizia giudiziaria. Sono disposte dal Capo della Polizia o dal Comandante generale dell’Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza ed effettuate dagli organismi investigativi di tali corpi "specializzati nell’attività di contrasto al terrorismo o all’eversione"; il Pubblico ministero deve soltanto esserne preventivamente informato.

Il fine di tali operazioni è "acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi per finalità di terrorismo" e gli operanti non sono punibili se "anche per interposta persona acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, o altrimenti ostacolano l’individuazione della provenienza o ne consentono l’impiego".

È cioè prevista espressamente l’attività di infiltrazione/provocazione, con ampie previsioni di non punibilità. Ovviamente è consentito l’utilizzo di identità e documenti di copertura e chiunque, conoscendo la vera identità degli infiltrati, la divulgasse, è punito con la reclusione da 2 a 6 anni. Le operazioni segrete devono restare segrete, che diamine!

Parallelamente a ciò, pare che la riforma dei Servizi segreti in corso di elaborazione attribuisca a tali agenti l’impunità per una gamma ben superiore di delitti, da cui sarebbero esclusi solo gli omicidi e le lesioni personali (cfr. "La Repubblica", 27/11/2001).

L’art. 10 bis, infine, compie un primo passo verso la creazione, per i delitti in questione, di giudici "speciali", giacché stabilisce la competenza di Pubblico ministero e Giudice delle indagini preliminari del "capoluogo" del distretto in cui ha sede il giudice competente. Il che vuol dire che se vi è competenza, ad esempio, del Tribunale di Monza, le indagini preliminari saranno invece oggetto dell’attività di Pm e Gip di Milano e non di Monza come per tutti gli altri reati.

In sintonia con la nuova legislazione europea

Ovviamente, tutta questa normativa inerente i reati con cosiddetta finalità di terrorismo si intreccia con la definizione di terrorismo che sarà data a livello europeo, a proposito della quale è più che lecito avanzare serie preoccupazioni, considerato quel che si legge circa il riferimento, quali atti di terrorismo, anche alle occupazioni abusive o ai danneggiamenti di infrastrutture statali e pubbliche, mezzi di trasporto, luoghi pubblici e beni, ovvero anche all’intralcio o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse fondamentali (cfr. Commissione della Comunità Europea, Proposta di decisione Quadro del Consiglio del 19/9/2001).

Il tutto si lega anche alla creazione dello spazio giuridico europeo in tema di "mandato di arresto", con vanificazione delle precedenti procedure di estradizione.

E, a questo proposito, sia consentito sottolineare la miopia di chi ha accusato questo pernicioso e infame governo anche per il fatto che avrebbe ostacolato l’ingresso dell’Italia in tale desiderabile (!?) spazio. Il discorso, infatti, doveva essere diversamente sviluppato, contro questo governo e i suoi miserabili interessi in materia, ma anche, ed essenzialmente, contro la riduzione degli spazi di libertà.

Comunità "nemiche"

La produzione legislativa italiana legata alla guerra ricomprende anche le normative concernenti le "Disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle misure adottate nei confronti della fazione afghana dei Talebani" (Decreto Legge 28/9/2001 n. 353 convertito con legge 27/11/2001 n. 415).

Tali norme sono di derivazione europea (Regolamento CE 6/3/2001 n.467): quello che colpisce è il loro riferirsi a una collettività "politico/religiosa" e il loro disporre misure contro specifiche persone fisiche nominativamente individuate.

Tutto questo desta in chi scrive assai sgradevoli sensazioni, dal momento che è escluso dal consorzio civile chi è appartenente a una comunità "nemica", essendo – con norme di legge – indicato nominativamente dopo una fase di individuazione svolta al di fuori di ogni garanzia giurisdizionale dal "comitato per le sanzioni". In tutto ciò vi è qualcosa di déjà vu, ma anche qualcosa che sa di oscuro presagio …

USA e Gran Bretagna

Che le speciali normative italiane si innestino in un modus procedendi deciso a livello internazionale è risaputo. Ricordiamo soltanto come gli Usa costituiscano l’avanguardia anche in questo campo, raggiungendo il vertice, oltre che della caduta delle garanzie democratiche, anche dell’"imperialismo giudiziario" attraverso la creazione di Tribunali militari con competenza sull’intero globo: "lo Stato penale statunitense tenderebbe così a convertirsi nelle forme di un Impero penale, impegnato a giustiziare i nemici che non siano stati direttamente eliminati con le armi o dai servizi segreti" (così Danilo Zolo, in Dallo Stato di diritto all’Impero penale, "il Manifesto", 16/11/2001).

La fidata Gran Bretagna, seguendo un più basso profilo, pare aver seguito le procedure previste dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che nel suo art. 15 stabilisce che "in caso di guerra o in caso di altre pubbliche calamità che minacciano la vita della nazione, ogni altra parte contraente può prendere misure che deroghino agli obblighi già previsti di questa Convenzione", e ha quindi disapplicato l’art. 5 in tema di controllo dell’autorità giudiziaria sulla privazione della libertà, ricorrendo alla detenzione amministrativa per i "sospetti", così cancellando secoli di civiltà giuridica.

Infine: i Tribunali militari!

Un ultimo dato va affrontato: con decreto legge 1 dicembre 2001 n. 421 (Disposizioni Urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom") si è stabilito (art.8) che "Al corpo di spedizione italiano che partecipa alla campagna per il ripristino ed il mantenimento della legalità internazionale (sic!) denominata ‘Enduring Freedom’ … si applica il codice penale militare di guerra, approvato con regio decreto 20 febbraio 1942 n. 303".

"Corpo di spedizione", "Regio decreto", "Codice militare di guerra", antichi vocaboli acquistano nuovo vigore e splendore: la guerra non è più un tabù e può essere (a differenza che nelle precedenti aggressioni all’Iraq e alla Serbia) finalmente rivendicata, anche se - per ora - con gli eufemistici riferimenti al mantenimento della legalità internazionale.

Siamo insomma entrati in una fase nuova, di guerra globale, e di queste esigenze di guerra anche il diritto, ben lungi dal contrastarle, si fa portatore.



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