"Non è detto per niente che sia così"
Intervista a Gilad Atzmon




   

Traduzione dell'intervista a Gilad Atzmon, a cura di Mary Rizzo, pubblicata su Peacepalestine.

Gilad Atzmon è un rinomato musicista, direttore dell'Orient House Ensemble, scrittore e commentatore politico. È nato e cresciuto in Israele, ma dal 1994, ha scelto la via dell'"esilio" in Inghilterra. Mary Rizzo di peacepalestine gli ha posto alcune domande in occasione dell'uscita del suo secondo romanzo, My One and Only Love e del suo nono disco, dal titolo MusiK. Il suo precedente album, Exile, vinse il premio di "album jazz dell'anno" della BBC.
Su questo sito abbiamo già pubblicato l'articolo Abusare di Auschwitz di Gilad Atzmon e l'intervista di Manuel Talens con Gilad Atzmon.





Mary Rizzo: Voglio farti qualche domanda a proposito della tua carriera e delle tue attività, e voglio anche parlare di alcune delle tue idee e opinioni, in modo che le persone interessate sappiano dove ti trovi in questo momento della tua vita. Iniziamo con la tua opera più recente, il tuo secondo romanzo, "My One and Only Love". Possiamo dire che inizia dove finisce il tuo primo romanzo?

Gilad Atzmon: Non necessariamente. Credo che sia un libro molto diverso, eppure presenta un'altra forma di decostruzione dell'identità israeliana.

MR: Ritieni che la tua sia una scrittura politica?

GA: Non mi ritengo un essere politico, e quindi non si deve considerare politica né la mia musica né i miei scritti. Sono impegnato nel pensiero critico.

MR: Alcuni criticano quello che scrivi, dicendo che i tuoi personaggi maschili sono sessisti e i tuoi personaggi femminili piuttosto vuoti. Che ne pensi?

GA: Credo che questa affermazione sia fondata, semmai. I miei personaggi maschili mi sembrano individui abbastanza distrutti. Credo che ci sia una grande mancanza di comprensione tra i sessi. La trovo una cosa affascinante e stimolante. Per me, la sessualità femminile è l'ultima, esplosiva dimensione dell'aspirazione umana, è l'ultimo desiderio. Allo stesso tempo, si tratta dell'incarnazione della paura maschile. Sembra che gli uomini preferiscano morire in battaglia piuttosto che non farcela a letto.

MR: Nella tua scrittura, la maggior parte dei tuoi personaggi si impegna massicciamente in confessioni autobiografiche personali. Perché usi questa tecnica?

GA: Soprattutto perché cerco di prendere in giro questo tipo di ricerca. Credo che una grossa parte del potere ebraico si basi sulla trasformazione di una narrazione personale in una narrazione storica. Un giovane sionista di oggi risponderebbe a una sfida umanista raccontando la storia personale di suo nonno (Auschwitz, Treblinka, etc.). Io mi impegno a smascherare il carattere fittizio della narrazione personale. La tua storia è come tu vuoi che sia. Non si tratta di una narrazione storica, e non è nemmeno la tua fiaba. Si tratta di una costruzione pura e semplice.

MR: L'identità e l'identificazione sono temi ricorrenti sia nei tuoi romanzi che nei tuoi saggi. Perché costituiscono un tema così centrale?

GA: L'identità domina il discorso 'intellettuale' del ventesimo secolo dopo la fine dell'ultima guerra. Viene presentata come l'autentica rivelazione del 'vero sé'. Io ridicolizzo questo concetto, e sostengo che la verità sia il contrario. La politica dell'identità semplicemente ci aliena da noi stessi. Dire che io sono un ebreo, un sionista, un gay, una lesbica, vuol dire identificarsi. Si tratta di una forma di autoalienazione. È molto diverso dal dire, io sono 'io', che è probabilmente la forma ultima di autentico autoriferimento. Allo stesso tempo, dire io sono io non è certo molto rivelatore. Si tratta in fondo di una specie di tautologia (è come dire, 'A' è 'A'). In breve, io sostengo che l'essenza della politica identitaria, cioè il presupposto che 'il personale sia politico', è uno scherzo intellettuale. Il personale è personale, qualunque cosa ciò possa significare. Quando il personale diventa politico, non è altro che personale.

MR: A volte dici che i critici dei grandi media tendono a censurare le voci che non diffondono la narrazione sionista accettata. Ma se prendiamo in considerazione il caso della "Passione di Cristo" di Mel Gibson, non è invece che stiano facendo, involontariamente o forse nemmeno involontariamente, una pubblicità gratuita a quel film? Personalmente, non credo che i suoi film avrebbero fatto tanti incassi senza l'aiuto dell'ADL [N.d.T.: la Anti-Defamation League, organizzazione sionista che concesse la sua massima onorificenza a Silvio Berlusconi nel 2003].

GA: Sono d'accordo, senz'altro. Credo che le organizzazioni ebraiche, come il popolo ebraico, siano molto abili nel vincere le piccole battaglie, ma sono ancora più abili nel perdere tutta la guerra. Sono assai abili nelle piccole manovre tattiche, ma perdono sempre la grande battaglia. Lo dimostra oltre ogni dubbio l'olocausto - proprio quando, all'epoca, gli ebrei avevano praticamente il controllo della finanza, della politica e della cultura dell'Europa centrale, la comunità ebraica europea fu sostanzialmente annientata. Ora che Israele minaccia l'intero Medio Oriente con la sua potenza nucleare, la popolazione d'Israele è composta prevalentemente da non ebrei. Detto in altre parole, non lo si può considerare uno stato ebraico. Proprio quando la comunità ebraica organizzata degli Stati Uniti ce l'ha fatta a dominare la politica di destra americana, il loro programma sionista viene smascherato, e sarà solo una questione di tempo prima che il popolo americano si rivolga contro i propri vicini ebrei. Diciamo tra parentesi che questa non è per nulla una buona notizia per i nostri fratelli palestinesi. Come puoi vedere, ci sono manovre tattiche impressionanti, ma una grave mancanza di comprensione del quadro generale.

MR: Esiste il rischio che un artista cerchi lo scandalo a causa della visibilità che gli dà - e tu stesso pensi di correre questo rischio? Insomma, l'opera rischia di essere oscurata dalla personalizzazione dell'artista e delle sue opinioni?

GA: Certamente, ne sono pienamente consapevole. Lascio decidere ai miei ascoltatori/lettori.

MR: Non ci sono molti scrittori-musicisti le cui creazioni abbiano una visione del mondo coerente. I pochissimi che mi vengono in mente sono Leonard Cohen e Nick Cave. Secondo te, è difficile dedicarsi a entrambe queste forme d'arte contemporaneamente, oppure si tratta della paura di fallire o della critica che comporta qualche altro blocco creativo?

GA: Intanto, il lavoro è tutt'altro che coerente, e ne sono felice. Cerco di restare coerente all'interno di uno specifico argomento. Se capisco bene quello che mi chiedi, ti riferisci qui all'attività artistica duale. Credo che ormai la mia scrittura e la mia musica siano complementari. E la cosa mi piace molto. Si stimolano a vicenda, ho due Gilad che crescono indipendentemente su di me, per ora sono amici tra di loro. Quando smetteranno di amarsi, saranno guai seri per me.

MR: Esiste una diffusa tendenza tra gli autori nati in Israele a dedicarsi ai commentari politici, sembra più che tra autori di una diversa origine nazionale. Pensiamo a Yehoshua, aGrossman, a te. Perché pensi che sia così?

GA: Credo che la faccenda sia abbastanza semplice. L'esistenza israeliana è tragicamente intrecciata con una grave colpa. Essere israeliano vuol dire essere un razzista, un nazionalista e un colonialista. Quando sei un intellettuale israeliano, e immagino che Grossman lo sia (Yehoshua è semplicemente uno che pretende di esserlo), sei condannato a cercare di risolvere questa tensione.

MR: Alcuni dei tuoi critici dicono che sei un musicista eccezionale, e che dovresti semplicemente "stare zitto e suonare", come se Gilad Atzmon l'artista e Gilad Atzmon il commentatore fossero categorie distinte o entità separate. Cosa dici a proposito del tuo diritto di esprimere le tue opinioni, e il fatto che le tue opinioni ottengono un'eco particolare perché sei un artista?

GA: Questi critici si fanno sentire soprattutto all'interno di ghetti ebraici molto diversi tra di loro, o in Israele o postati in qualche Judeo-Cyber Shtetl. Queste persone chiaramente non riescono a capire che io sono un musicista jazz. Essendo quello che sono (ebrei segregati) non riescono a capire cosa vuol dire essere un musicista jazz. Essere un musicista jazz vuol dire essere un filosofo nel senso più radicale e tedesco. Vuol dire 'cercare la condizione della possibilità'. Vuol dire chiedersi cosa significhi il jazz, cosa significa l'arte, cosa significhi trovarsi nel mondo e cosa significhi Israele. A volte lo faccio con il saxofono infilato in bocca, altre volte lo faccio con il mio portatile schiacciato sotto le mie grosse dita.

MR: Hai notato se esiste una sovrapposizione tra i tuoi pubblici, cioè se quelli che apprezzano la tua musica sono aperti verso i tuoi altri sbocchi o viceversa? Oppure il genere di musica che componi è dedicato a un pubblico più ristretto?

GA: Non so in realtà, per quanto riguarda la mia musica, mi sembra che noi (l'Orient House Ensemble, OHE) siamo in continua crescita. Per quanto riguarda i miei romanzi, attiro alcuni nuovi lettori. Direi che quando si tratta di documenti scritti, esiste una piccolissima cerchia di lettori devoti. Credo soprattutto nell'impatto della cultura popolare.

MR: Non tanti musicisti hanno scritto a proposito d'Israele, e quando lo fanno il pubblico generale e i critici in genere non se ne accorgono. L'esempio che mi viene in mente è la canzone di Patti Smith su Rachel Corrie, "Peaceable Kingdom". Eppure, in tutte le recensioni che ho letto del tuo ultimo album, mentre non si dice in modo esplicito che le tue canzoni riguardano Israele, i critici sottolineano le tue idee politiche. Pensi che la tua musica renda l'idea da sola, oppure esistono idee preconcette sul tuo messaggio?

GA: In realtà penso che la maggior parte degli europei provi disgusto per i metodi espansionistici e razzisti di Israele, ma trovano difficile parlarne in maniera aperta. Credo che l'OHE, una band multietnica, aiuti ad esprimere questa voce. Facci caso, io utilizzo il palco per dire quello che penso d'Israele e della sua sorella minore (gli Stati Uniti).

MR: Nella brillante canzone, "Re-arranging the 20th Century" ("Risistemare il ventesimo secolo"), troviamo un miscuglio di standard, alcuni effetti sonori davvero sorprendenti e un denso arrangiamento. Cosa significa questa combinazione?

GA: Per me, 'Risistemare il ventesimo secolo' vuol dire, 'non è detto per niente che sia così'. Vuol dire puntare l'indice sulla narrazione dei vincitori angloamericani e chiedere, perché avete assassinato quasi un milione di civili tedeschi innocenti bombardando le città tedesche, mentre avreste chiaramente potuto porre fine alla guerra in due mesi colpendo i centri logistici e industriali della Germania? Perché avete invaso la Normandia nel giugno del 1944, era solo perché Stalin stava vincendo a Oriente? Perché non avete mai trovato il tempo di bombardare Auschwitz? Non è perché non volevate ammettere che sapevate della macchina industriale omicida tedesca, nel caso in cui vi foste trovati a concludere un armistizio con la Germania nazista… Perché avete scagliato una bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki? Aveva per caso qualcosa a che fare con il fatto che Stalin (di nuovo lui) stava per interferire con i vostri progetti nell'area del Pacifico? Per me, "Risistemare il ventesimo secolo" vuol dire ammettere tutte queste domande, ammettere altre narrazioni molto diverse.

MR: Provi affinità per altri artisti, o ogni artista è un'isola a sé?

GA: Innanzitutto, io dirigo un ensemble in cui mi trovo circondato da ottimi musicisti, ma per rispondere alla tua domanda, la risposta è sì. Casomai, traggo una profonda ispirazione dall'età dell'oro del jazz, Parker, Dizzy, Miles, Coltrane. Furono artisti rivoluzionari, e il jazz dovrebbe essere così.

MR: Tu hai collaborato con alcuni musicisti molto importanti. Che tipo di collaborazione vuoi veramente stabilire, se lo vuoi stabilire?

GA: Non sono più un musicista di session. Voglio suonare la mia musica, e voglio contribuire con la mia voce alle persone che apprezzano la mia personale voce. Mi è piaciuto molto lavorare con Robert Wyatt. Un vero spirito artistico, genuinamente naturale, dedicato esclusivamente alla creazione della bellezza!

MR: Le parodie religiose che prendono in giro il cristianesimo sono spesso apprezzate dalle masse, "The Life of Brian" è l'esempio più evidente. Ma per qualche motivo, quando il "bersaglio" è il giudaismo, le si etichetta subito come antisemite. Cosa ne pensi di Dieudonné?

GA: Sai esattamente quello che penso dell'antisemitismo… In ogni caso, è difficile ricordare qualche presa in giro del giudaismo. Casomai, sono gli ebrei a essere ridicolizzati, di solito per la loro avidità e il loro vittimismo. Ma allora ci dovremmo chiedere, perché sono avidi. Io sostengo che la mancanza della nozione dell'Altro è il nucleo di questa identità problematica. È il nucleo della grave mancanza di un pensiero autenticamente etico.

MR: Quali libri hai letto recentemente?

GA: Il guardone - Alberto Moravia. Un autore scandaloso. Il secolo ebraico - Yuri Slezkine. Un libro importantissimo per chiunque voglia saperne di più sull'attuale fase di suprematismo ebraico.

MR: Sai quanto mi piace Mojo, in quel contesto, quali sono i dieci track di altri che metteresti nell'elenco dei più importanti per te?

GA: No, non posso, mi ci vorrebbero giorni, ma ti posso dire che Coltrane sarebbe lì, e anche Piazzola, Bach, Bird, Brahms, Robert Wyatt, forse i Beatles.

MR: La società in cui viviamo dipende in larga misura dai valori consumistici, che hanno aspetti positivi, ad esempio il facile accesso alla cultura per ampi settori della società, ma anche valori negativi, che culminano nella folle distruzione delle risorse del mondo per alimentare la nostra dipendenza dai combustibili. Nel mondo occidentale, sembra che il nostro stile di vita e l'acquisizione dell'ozio non siano negoziabili. Siamo tutti, chi più e chi meno, una parte del meccanismo. Dove dobbiamo segnare il limite? A che cosa dovremmo cominciare a rinunciare?

GA: Come probabilmente sai, ho intitolato il mio album musiK, sottolineando la 'K' maiuscola, per me è la K di musiK piuttosto che la 'c' di musica che sta per lo sforzo verso il bello, il sublime, l'estetico.

Mentre la K sta per la bellezza, la C simboleggia la commercializzazione angloamericana. Questa differenziazione introduce una linea categorica di demarcazione tra la 'Kultura' superiore e la bassa 'cultura' prodotta in serie. Detto questo, io sostengo che la Kultura debba essere distribuita in massa. Io distinguo tra la sublime filosofia di Immanuel Kant e l'inferiore filosofia di mercato presentata da quel c**one di Milton Friedman. Credo che ci stiamo preparando per la rivoluzione del 'no grazie'. Quando la gente dirà semplicemente, no grazie, non mi interessa comprare.

MR: Parliamo di cultura: la cultura e la politica formano una strana coppia, come il realismo sovietico intimamente legato al sistema egemonico al potere; oppure, il patrocinio di un sistema politico può permettere alla cultura di svilupparsi al più alto livello, se prendiamo per esempio Firenze durante il Rinascimento, quando l'arte era al servizio del potere. Funziona solo quando c'è un potere illuminato - e tale potere esiste, o è solo un mito?

GA: Questa è un'ottima domanda, e la risposta non può essere breve. Ho scritto molto in passato su questo argomento. Mentre in passato erano l'aristocrazia e la borghesia che sostenevano l'arte e gli artisti, nella società liberaldemocratica questo ruolo viene assunto dai politici. Quelli che finanziano gli artisti e i progetti artistici. Di conseguenza, gli artisti occidentali sono tutt'altro che una voce critica. L'altra fonte di sostegno è l'industria culturale, e anche qui non ci sono molto opportunità per una rivolta degli artisti. Io penso che il jazz sia l'unica forma possibile di voce critica. Semplicemente, ci serve molto poco per far notare la nostra arte.

MR: Esiste uno stretto rapporto tra religione e cultura, soprattutto nella storia europea e nel periodo classico dell'espansione araba, per citare i due eventi più noti a noi occidentali, e questo rapporto è sempre stato importante nel passato. Si tratta di un concetto superato dalla storia?

GA: Un'altra domanda interessante. Sai, non ci avevo mai passato, ma come sai, sono gli ebrei americani che controllano l'industria culturale occidentale… Mi sembra più che probabile che il motivo stia nel fatto che pochissimo contesto spirituale filtra nella nostra cultura di massa. Però, e ritorniamo al jazz, una gran parte della musica jazz era strettamente intrecciata al pensiero religioso. Oggi non è più così, però.

In fin dei conti, l'industria serve per accumulare denaro, e così l'industria culturale. Devono credere che il sedere di Madonna venda meglio di un'autentica rivelazione spirituale. Io credo che alla fine si vedrà che hanno torto, ma ci vorrà del tempo, fosse solo perché Madonna in effetti ha un sedere glorioso.

MR: Esiste un problema con il livello delle conoscenze nella cultura attuale? Ad esempio, nella maggior parte degli strati sociali, la gente sa chi è Don Chisciotte, ma non credo che molti di noi abbiano avuto occasione di leggere Cervantes. Il motivo è che probabilmente tutte le nazioni condividono un'idea provinciale della diffusione culturale, concentrandosi sui criteri linguistici locali. Come uomo di cultura, vedi una soluzione a questo, oppure ai nostri tempi è inevitabile, o forse addirittura un fatto positivo?

GA: Ancora di più, noi viviamo in un'immaginario di villaggio globale, che serve proprio per impedirci di allargare la nostra visione oltre l'orizzonte. Le nostre capacità critiche si stanno restringendo ogni secondo di più.

MR: Possiamo considerare la cultura una fuga dalla realtà o dagli avvenimenti? Possiamo considerarla in qualche modo come un alibi per l'indifferenza o l'inattività politica?

GA: L'arte, nella misura in cui l'arte è cultura, serve per suggerire una possibile realtà alternativa. Ma non ritengo che l'arte in quanto tale serva come alibi. Credo che la motivazione dietro l'indifferenza politica sia piuttosto evidente. Una volta che mi dici che ho il diritto di votare per il mio futuro, tanto vale smettere di interessarmi al mio futuro. Allo stesso modo, una volta che una donna ti dice che sei libero di sfidare le sue tendenze liberali, puoi perdere interesse nel farlo.

MR: Assieme ad altre cose, sei laureato in filosofia. In base ai tuoi studi, hai qualche opinione sull'assolutismo che va di moda ai nostri tempi, ad esempio la contrapposizione tra estremi quali internazionalismo contro unilateralismo, laicismo contro fondamentalismo, non-violenza contro il ricorso alla violenza nei conflitti internazionali?

GA: Non sono laureato in filosofia. Ho studiato per diventarlo, ma non sono mai arrivato al capolinea, la mia carriera musicale ha preso il primo posto. Per rispondere alla tua domanda, non ho nulla in contrario all'assolutismo o all'estremismo. Ho problemi invece con la modalità poco profonda di pensare. Ho un problema con il colonialismo angloamericano presentato come se avesse come obiettivo la liberazione del mondo arabo. Ho un problema con la certezza di essere nel giusto dei sionisti di sinistra. Ho un problema con il political correctness, con la gente che pretende di sapere cos'è giusto e cos'è sbagliato.

MR: In seguito ai fatti dell'11 settembre negli USA, l'islamofobia, o più in generale una diffidenza verso gli arabi, sembra essersi scatenata in Occidente. C'è una differenza con il modo in cui gli israeliani vedono gli arabi? Esiste un modo per combattere questa tendenza?

GA: Sono d'accordo, ci sono somiglianze sconvolgenti. Direi inoltre che gli americani sono riusciti a copiare ogni errore israeliano. Hanno copiato la strategia della destra israeliana, terrorizzando il proprio popolo con le possibili conseguenze del terrore. Guarda che non mi interessa salvare l'America. Voglio solo dire che l'America è attualmente l'unica superpotenza mondiale. Quindi l'unica forza in grado di abbatterla sono gli americani stessi. Devo dire che Bush e i suoi neocon sono le persone adatte per farlo. Hanno la mia benedizione.

MR: Pensi che il razzismo si fondi sull'ignoranza, che sia la conseguenza di un'attiva adesione a un'ideologia, o che magari si basi anche in parte su elementi oggettivi?

GA: Tanto per cominciare, gli esseri umani sono creature dotate di coscienza razziale, quindi la domanda è, che cosa fanno con questa coscienza. Dobbiamo ammettere che le persone hanno aspetti diversi, e forse hanno alcune qualità fisiche e intellettuali diverse. Il razzismo sorge quando privilegiamo una razza su un'altra. Questo non ha necessariamente a che vedere con l'ignoranza; di solito, è la conseguenza di un punto di vista suprematista. Qualcosa che è stato a lungo covato nel pensiero talmudica. Quindi, quando diventi uno studioso del Talmud, devi essere un razzista. Non ha nulla a che vedere con l'ignoranza, casomai è il contrario. Nel giudaismo, il razzismo è oggetto di educazione.

MR: In Italia, c'è la tendenza nei media a presentare "arabi buoni" come commentatori, che dedicano gran parte del loro tempo a criticare apertamente l'Islam, in genere senza venire contestati, perché li si ritiene dei moderati. Allo stesso tempo, "ebreo buono" è un termine spesso adoperato dai sostenitori d'Israele e significa una persona che critica Israele, ma non tocca il tema del giudaismo, anzi evita a tutti i costi di parlare di religione. Perché pensi che sia così? A che serve?

GA: Credo che sia ovvio, si tratta del lancio di una moderna crociata. Ma per essere più precisi, anch'io cerco di evitare il tema del giudaismo. Per me, la questione è l'identità ebraica, e non il giudaismo. Io conosco molti testi che mettono in discussione codice suprematista giudaico e talmudica, ma per me il male moderno sembra incarnarsi nel sionismo laico.

MR: Tu a volte hai criticato le persone che si definiscono ebrei laici, che in quanto tali criticano il sionismo. Ma mi sembra evidente che sono spesso molto efficaci nel diffondere il messaggio che è possibile per gli ebrei combattere il sionismo, a coloro che ritengono che tutti gli ebrei siano ciecamente fedeli a Israele. Perché trovi questa combinazione problematica, visto che è efficace?

GA: Riassumo quello che ne penso in due frasi: 1. Se il sionismo è disumano, allora l'argomento contro il sionismo dovrebbe stare in piedi da solo, insomma l'appartenenza etnica o sociale, la fede religiosa o le preferenze sessuali di chi scrive sono del tutto irrilevanti. 2. Mettere in discussione il sionismo in quanto ebreo vuol dire cedere all'idea sionista che l'ebraicità sia il predicato più importante associato al popolo ebraico. Quindi, mentre mi rendo conto che alcuni di questi attacchi possono essere efficaci, dall'altra possono essere altrettanto utili alla causa sionista. Presentano il mondo ebraico come una società plurale e polarizzata. Questo si adatta molto bene alla strategia sionista. Casomai, fornisce una corazza intellettuale a Israele e al sionismo. Siccome trovo gli argomenti espressi in nome del laicismo ebraico vuoti, provo un urgente bisogno di decostruirli. Devo anche dire che apprezzo le obiezioni al sionismo in nome del giudaismo. Sostengo autenticamente i Neturei Karta e ogni altra forma di obiezioni religiosa ebraica al sionismo.

MR: Quelli che chiamano se stessi ebrei atei presentano un altro problema, perché se Dio non esiste, allora la premessa dietro uno stato ebraico è nulla. Cos'è allora che porta tanti ebrei atei a sostenere uno stato ebraico, se questo presenta un grosso problema filosofico che è in se stesso un ossimoro?

GA: E' vero, infatti il sionismo alle origini era un marginale movimento laico. Suggeriva l'interpretazione della Bibbia come se fosse un documento legale (un registro catastale) anziché un testo spirituale. In pratica, si tratta di una forma di evangelismo ebraico che è molto più pericoloso di qualunque scuola religiosa.

MR: Perché pensi che gli Stati Uniti diano tanto sostegno a Israele? Andrà avanti per molto?

GA: Il sionismo si è presentato al colonialismo occidentale come un servitore. Prima si trattava dell'impero britannico, ora sono gli Stati Uniti. Ogni volta che ci sono conflitti nella regione, gli americani sono coinvolti. Ma adesso siamo di fronte a un cambiamento di grande portata: non è più Israele che serve all'America, quanto piuttosto il contrario, gli americani stanno combattendo per abbattere le ultime isole di resistenza araba contro il sionismo. Immagino che sia una questione di tempo, prima che il popolo americano si renderà conto di dove lo stanno portando i sionisti.

MR: Il Secolo Americano che stiamo vivendo finirà? Oppure è la stessa natura unilaterale della Pax Americana a impedire che qualunque altra area del pianeta si esprima nel suo pieno sviluppo?

GA: Finirà, probabilmente con la fine dell'America. Pensa che già sotto diversi aspetti, l'America sta attraversando una fase di disintegrazione: sul piano legale, sociale e diplomatico.

MR: Perché i gruppi ebraici moderati non criticano Israele?

GA: Perché non esistono gruppi ebraici moderati. L'ebraicità è un'identità radicale che si basa sull'elezione e sul suprematismo.

MR: Operi una distinzione tra Israele e gli israeliani?

GA: Non proprio, gli israeliani sono persone che colonizzano la Palestina, Israele è il concetto della colonizzazione della Palestina.

MR: Se una persona è malata, occorre somministrarle una medicina perché possa agire con la massima efficienza. Facciamo un'analogia con le società. Che medicina prescriveresti per Israele?

GA: NESSUNA, Israele non ha il diritto di esistere, è la più grande minaccia alla pace mondiale. Israele dovrebbe diventare uno stato dei suoi cittadini, ma quando questo succederà, si chiamerà Palestina.

MR: E per gli USA?

GA: Nessuna medicina, l'America sta facendo tutte le cose si giusta. Si sta distruggendo da sola in modo efficiente. Credo che l'America dovrebbe smetterla di mettere al primo posto gli interessi degli israeliani, una specie di 'Jewnited state of Jewmerica', è meglio iniziare a essere gli Stati Uniti del popolo americano, ma forse ci vorrà del tempo.

MR: Per la Palestina?

GA: La Palestina starà bene, il tempo lavora a favore del popolo palestinese.

MR: Nel prossimo futuro, è possibile che Israele entri nell'Unione Europea, mentre la Russia non viene praticamente presa in considerazione. Questa adesione potrebbe esasperare l'attuale impeto ideologico dell'Alleanza Atlantica, vista la maniera in cui le nuove nazioni hanno ottenuto ingresso automatico nella NATO, oppure potrebbe aprire la strada a un orientamento mediterraneo?

GA: Non sono un esperto delle questioni dell'Unione europea, ma non vedo Israele che entra a far parte dell'UE nel prossimo milione di anni.

MR: Segui la politica israeliana?

GA: Non da vicino, comunque, non più.

MR: Pensi che il sionismo sia un movimento storico che un giorno smetterà di essere significativo, come la maggior parte di altri dinamici movimenti nazionalisti come il garibaldismo, il giacobinismo e il nazismo, che furono legati a uno specifico periodo storico, oppure si tratta di un'ideologia permanente che si sa adattare alle situazioni storiche, e che si può applicare ad altre realtà, oltre al movimento nazionalista israeliano per uno stato ebraico in Palestina?

GA: Domanda interessante. Infatti, il sionismo era già morto tra i tardi anni Settanta e l'inizio della seconda Intifada. Il sionismo è una forma di negazione, e finché gli ebrei possono trovarsi alle prese con un conflitto, si alimenterà il sionismo.

MR: Credi che esistono diversi tipi di sionismo, come il Sionismo culturale di Buber, o il sionismo "leggero" praticato da Peace Now? Esiste qualche tipo con caratteristiche positive?

GA: No, le differenze sono marginali e trascurabili. Il sionismo è la credenza che gli ebrei abbiano diritto a un focolare nazionale in Palestina. Questo concetto è inaccettabile. Primo, perché gli ebrei non sono una nazione. Una nazione è un popolo che già vive in una terra. E secondo, perché la Palestina non è libera.

E poi il sionismo è razzista. È lo stato degli ebrei, ma l'ebraicità è un definizione razziale. È un fondamentalismo religioso, con la trasformazione della Bibbia in un documento legale (vedere sopra). Inoltre è colonialista, è un sistema legale che favorisce gli stranieri rispetto agli indigeni. Tutte le forme di sionismo ricadono in queste categorie. Sono inaccettabili.

MR: Conosco molte persone che ritengono che il tuo atteggiamento verso Israele sia completamente sbagliato, anche se ritengono che i tuoi fini siano accettabili. Insistono che il riconoscimento dei delitti d'Israele costituisce un lungo processo di presa di coscienza, e che tutti i progressi che hanno fatto nell'adottare questo punto di vista, che va contro la maggior parte delle cose che sono state insegnate loro e che credono in buona fede, li hanno fatto assumendo un approccio non accusatorio e non aggressivo. Che ne pensi?

GA: Non mi interessa parlare agli israeliani o agli ebrei. Sto parlando degli israeliani, d'Israele e della 'identità ebraica'. C'è una bella differenza. Inoltre, non sono un politico e non ho scopi politici. Voglio dire quello che ho da dire, e il fatto che le mie opinioni rendano estremamente infelici alcune persone mi fa sentire molto bene.

MR: Che cos'è che temono gli israeliani, e cosa impedisce loro di accettare una coesistenza pacifica con la popolazione indigena? Esiste qualche giustificazione del loro stato mentale?

GA: Certamente, la pacificità è un concetto decisamente non ebraico. Va da sé, la storia lo dimostra oltre ogni dubbio. Guarda la pacifica Europa dopo la Seconda guerra mondiale, guarda invece cos'è successo al Medio Oriente appena i sionisti hanno deciso di emigrarvi in massa, guarda gli Stati Uniti di oggi che servono gli interessi sionisti. Quando i politici sionisti parlano di pace, dicono: "la pace ci piace, ma vogliamo definirne i termini e le condizioni", questo dimostra quanto lontano sia l'israeliano da qualunque concetto di riconciliazione. La pace vuol dire impegnarsi in un rapporto empatico con l'Altro, e questo non potrà mai avvenire finché ci si percepisce come eletti. Per gli israeliani, la pace è una specie di baratto, è la materializzazione dell'empatia, vivere in pace vuol dire godere di diverse forme di sicurezza.

MR: Recentemente, molti hanno cominciato a investigare la questione della Negazione ebraica come parte intrinseca della mancanza di progresso nel riconoscere le sofferenze dei palestinesi. Altri si sono concentrati sulla mentalità vittimistica che si esprime in maniera macroscopica con l'enfasi sull'Olocausto. Nei tuoi romanzi e saggi, tu metti a fuoco entrambi. Si tratta di una situazione che si può modificare in qualche modo, oppure è impossibile intervenire collettivamente su una cultura?

GA: Mi immagino che sia possibile. Io trovo tutt'attorno a me ebrei israeliani che si stanno de-ebraicizzando. Credo che essere un ebreo sia uno stato della mente. Credo che con il giusto aiuto, gli ebrei possano facilmente trovare il loro posto tra gli altri, la domanda è se vogliono stare con gli altri.

MR: Credi che sia possibile una pace sincera tra palestinesi e israeliani? Ritieni che si possa perdonare e superare la reciproca sfiducia?

GA: A me non interessa la pace, mi interessa la riconciliazione. Presumo che quando gli israeliani riconosceranno la sconfitta, si circonderanno le mura di un ghetto. Anzi, a pensarci, il fatto che stanno erigendo quelle mura attorno a loro indica che già riconoscono la loro sconfitta.

MR: Alcuni, come Leah Tzemel e Juliano Mer Khamis, dicono che a volte sentono come se il loro lavoro venisse usato come una foglia di fico, per dimostrare che il dissenso è accettabile in Israele. Ti sembra plausibile, e si tratta di un pericolo che gli attivisti israeliani spesso incontrano?

GA: Certo, ecco perché insisto nel non venire mai presentato come israeliano, ma come uno nato in Israele, ex-israeliano, ex-ebreo, palestinese di lingua ebraica. Quello che volete, ma non come israeliano o ebreo.

MR: Spesso hai scritto che rispetti il giudaismo come religione, ma che lo respingi come alibi per un paradigma politico ("questa terra ci è stata promessa e quindi è nostra di diritto"). Eppure critici certi aspetti della religione ebraica, come ad esempio il concetto di elezione. Credi che questa religione si possa riformare senza metterne in pericolo le fondamenta?

GA: L'elezione non è concetto giudaico; piuttosto si tratta di un chiaro errore di interpretazione ebraico del giudaismo. Nel contesto della religione ebraica, l'elezione costituisce un pesante dovere morale. Gli ebrei sono stati scelti come simbolo di un comportamento etico supremo. Lo dico, mentre sono pienamente a conoscenza di diverse leggi talmudiche scandalosamente razziste e immorali.

MR: Hai ambizioni politiche. Una volta, un po' per scherzo, avevi detto che saresti ritornato in Israele quando sarebbe diventato una Palestina unita, e che saresti stato felice di fare il Ministro della Cultura. Prima o poi, la politica attira molti. Credi che sia possibile partecipare alla vita politica?

GA: Non ci sono ambizioni politiche qui. Quando arriverà il momento, suonerò la mia musica al popolo palestinese.

MR: Recentemente, Jean Daniel ha scritto nel "The Jewish Prison" che Israele ha conservato una mentalità da ghetto, che contrasta con una più moderna idea di cosmopolitismo. Sei d'accordo, e se lo sei, c'è un modo per uscirne, o si tratta di qualcosa di endemico a molti aspetti della cultura ebraica, e quindi di una situazione difficile da cambiare?

GA: Sono d'accordo, e come forse puoi ricordare, ne ho parlato nel mio libro, Guide to the Perplexed. Gunther Wünker fu chiamato in Palestina per tirare fuori gli ebrei dal Ghetto. Il muro dell'apartheid che sta sorgendo dimostra senza dubbio il fallimento categorico del sionismo.

MR: Cosa pensi di Abu Mazen, o hai qualche previsione sulle prossime elezioni palestinesi?

GA: Mi interessa molto vedere il ruolo di Hamas.

MR: Manchi da molto tempo da Israele. I tuoi figli sono ancora piuttosto giovani, ma chiaramente sono coscienti del fatto che Israele svolge un ruolo importante nella vita dei loro genitori, come racconti Israele ai tuoi figli?

GA: Un anno fa, mia figlia, che allora aveva sette anni, dovette parlare in classe dell'origine dei suoi genitori. Quando arrivò a parlare di me, disse, "mio padre è una specie di palestinese". Credo che abbia capito.

MR: Quali sono le parole che pensi che gli israeliani dovrebbero dire ai palestinesi?

GA: Non devono dire proprio niente, hanno avuto tutto il tempo per parlare, comunque consiglierei ai palestinesi di non ascoltarli.

MR: Quali parole pensi che i palestinesi dovrebbero rivolgere agli israeliani?

GA: Devono solo ripetere lo stesso telegrafico messaggio, nessuna soluzione che non affronti la questione dei profughi e di Gerusalemme.

MR: Israele può in qualche modo redimersi? Oppure, la redenzione è un concetto cristiano che non si può trasferire a uno stato fondato su principi ebraici?

GA: Mi sembra che tu ti sia risposta da sola.

MR: Le opinioni contrapposte su come trattare la situazione mediorientale sono state tradizionalmente lette in maniera opposta a sinistra e a destra. Ma recentemente, sembra che entrambi si stiano spostando verso una linea di "moderazione". Anche se non si tratta esattamente di una nuova frontiera, pensi che si debba trovare un nuovo orientamento che non contrapponga destra e sinistra, in modo da rendere il discorso meno sterile e più produttivo?

GA: Io ritengo che destra e sinistra siano concetti superati. Sono interessato a un vero pensiero etico, qualcosa che non si trova tra i politici dei nostri tempi.

MR: Lev Grinberg ha scritto riguardo al "Genocidio culturale" condotto contro il popolo palestinese. Credi che una simile situazione sia possibile, e in tal caso esiste il modo di fermarlo?

GA: Certo che esiste, per farlo bisogna fermare Israele e prosciugare la cultura israeliana, boicottare gli accademici e gli artisti israeliani, trasformare Israele in un deserto culturale. Siamo già vicini.

MR: Sei soddisfatto di quello che hai realizzato?

GA: Vivo in pace.

MR: Che progetti hai per il futuro?

GA: Ogni sera io suono, ogni sera mi devo reinventare. Il mio progetto per il futuro è il mio prossimo concerto.









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