Ludovico Geymonat


II parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in quattro parti.

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8. Respinte le etichettature improprie di stalinista e di maoista, bisogna però pur sempre vedere nel Nostro un'apertura internazionalistica ed antiprovinciale, che lo portava a capire con estrema chiarezza che le sorti storiche del comunismo non si sarebbero mai giocate nella crescita delle cooperative tosco-emiliane, ma nei più vasti continenti del mondo. E' questa la base e la sorgente della coscienza antimperialista, che il Nostro ebbe sempre vivissima e vigile, e che a mio avviso resta il suo principale attestato di onore politico e culturale.

9. Vi è una grave improprietà storiografica e biografica che si tramanda a proposito del Nostro, per cui egli avrebbe proposto e praticato una versione neo-positivistica (o neo-empiristica) del marxismo, ed avrebbe anzi avuto come filosofia personale una fusione fra neo-positivismo e marxismo. Questo non è affatto esatto. Negli anni Trenta il giovanissimo Geymonat andò a Vienna, e si entusiasmò per l'approccio filosofico dei grandi neo-positivisti di quella generazione. Negli anni Quaranta e Cinquanta, in un'Italia ancora filosoficamente molto provinciale, e divisa fra crociani e gentiliani di destra e crociani e gentiliani di sinistra, il Nostro propagò la conoscenza non tanto delle tesi specifiche dei neoempiristi e dei neopositivisti austriaci e tedeschi, quanto della generale problematica che ne faceva da base. Tuttavia, a partire dagli anni Sessanta, in coincidenza con la sua piena maturità filosofica, il Nostro aderì pienamente ad una filosofia diversissima dal neopositivismo, e cioè alla sua versione del materialismo dialettico marxista. Esattamente come Popper e Kuhn, anche se in modo ben diverso da loro, egli fu anzi un critico accanito del neopositivismo, che considerò una forma di riduzionismo metodologico troppo spesso privo di senso storico nel valutare i fenomeni scientifici.

10. Parlando di materialismo dialettico a proposito della filosofia del Nostro, bisogna ovviamente subito specificare che si trattava di cosa ben diversa da quel materialismo dialettico, detto Diamat, che per più di mezzo secolo fu la filosofia ufficiale ed obbligatoria, unica e monopolistica nel sistema scolastico ed universitario, dei partiti comunisti al potere nei cosiddetti paesi del socialismo reale. Questo materialismo dialettico sovietico, imposto con un decreto statale obbligatorio nel 1931, si rifaceva formalmente a tesi già presenti in Engels e Lenin (anche se del tutto assenti in Marx), ma costituiva esplicitamente un'ideologia di partito, ed era una sorta di metafisica generale unificata della natura e della storia, che considerava la storia stessa un "processo naturale" (Naturprozess). La ragione di questo incredibile riduzionismo meccanicistico è peraltro del tutto logica e facilmente individuabile. In breve, proprio perché l'azione strategica e tattica dei partiti comunisti stalinizzati costituiva il massimo di soggettivismo, proprio per questo questo soggettivismo pratico estremo era travestito da oggettivismo teorico estremo. Le scelte dei partiti comunisti in termini di costruzione del socialismo, empiricamente ricavate dall'esperienza staliniana fra il 1924 ed il 1938, erano presentate come casi particolari di ferree leggi generali della natura e della storia, e lo stesso materialismo storico era così dedotto in via subordinata da un più ampio e metafisico materialismo dialettico. Questa metafisica capovolta era ad un tempo irriformabile ed insostituibile, perché l'adozione di qualsiasi altra forma più civilizzata di marxismo avrebbe tolto ai dirigenti politici il monopolio della presunta conoscenza del processo storico, consentendo una sorta di "libero esame" a proposito del marxismo che essi volevano ovviamente impedire ad ogni costo. E' bene ribadire che il Nostro usò la stessa etichetta della bottiglia, ma vi versò un vino completamente diverso.

11. Il materialismo dialettico del Nostro era una teoria ed una storia della conoscenza scientifica, vista come l'unica e vera forma di conoscenza. La filosofia non era pertanto negata, ed era anzi esaltata, ma le si negava ovviamente la pretesa di essere una forma di conoscenza distinta da quella scientifica nell'oggetto e nel metodo. Questo non è per nulla neo-positivismo ma è certamente una variante novecentesca del positivismo, che si basava infatti sullo stesso principio. In questo, Ludovico Geymonat raggiungeva in modo originale una famiglia di altre posizioni assolutamente consimili, come ad esempio la teoria di Galvano Della Volpe dell'astrazione determinata e del marxismo come galileismo morale e la teoria di Louis Althusser delle pratiche teoriche.

12. Quando queste tre diverse posizioni vennero sostenute (Geymonat, Della Volpe e Althusser), ormai molti decenni fa in un contesto storico che per molti giovani d'oggi è ormai lontano secoli e non solo decenni, esse poterono sembrare molto diverse l'una dall'altra e del tutto incompatibili, ma a mio avviso lo scorrere del tempo le ha ormai avvicinate in quello che era il minimo comune denominatore della loro ispirazione, il conseguimento di un pensiero marxista veramente scientifico, e dunque obbligante e cogente, e non solo filosofico, e dunque vago ed opinabile. Oggi io non ho più personalmente dubbi sul fatto che si trattò di un'illusione scientista, ma allora ci credetti anch'io con molta forza. Con la prospettiva temporale acquisita in questi decenni, abbiamo oggi alcuni criteri per poter valutare con maggiore pacatezza e profondità le caratteristiche teoriche di queste tre proposte assolutamente affini e convergenti.

13. La proposta complessiva di Galvano Della Volpe non deve essere assolutamente giudicata sulla base dell'autodissoluzione dell'intero marxismo compiuta dal suo allievo Lucio Colletti, recentemente scomparso. Sono personalmente convinto, e l'ho scritto già molte volte, che l'abbandono del marxismo da parte di Colletti è stato un abbandono vitale, nel senso di una vera e propria conversione esistenziale totale, per cui si perdono tutte le ragioni motivazionali che avevano precedentemente portato all'adesione alla teoria marxista stessa. Colletti, a mio avviso, travestì davanti a tutti, e travestì anche davanti a se stesso, questa conversione esistenziale totale con il marchingegno della scoperta della differenza fra contraddizione dialettica ed opposizione reale, come se l'intera critica al capitalismo come modo di produzione si basasse su di un semplice equivoco logico, peraltro già perfettamente analizzato nella critica di Trendelenburg a Hegel. Ma tornando a Della Volpe, a mio avviso, la sua stroncatura della dialettica assimilata di fatto alla sua versione neoplatonica più indifendibile è stata anche il massimo fattore di debolezza complessiva della sua proposta filosofica, che ne spiega a mio avviso il rapido declino e la sostanziale sterilità. E questo senza nulla togliere al riconoscimento del suo ingegno e della sua intelligenza.



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