Parola mantenuta
 




19 aprile 2004   





Nel marzo del 2003, Joseph Farah, direttore dell'importante WorldNetDaily, scriveva entusiasta che gli iracheni potevano già "sentire l'odore della libertà" che si avvicinava.

Un anno dopo, in seguito all'uccisione a Fallujah di quattro soldati di ventura americani, impiegati dalla Blackwater Corporation, lo stesso Farah scriveva:

"A Fallujah vivono 250.000 persone. Scommetto che la popolazione diminuirà tra poco. Fallujah dovrà pagare il prezzo del sangue che è stato versato. Forse dovremo radere Fallujah al suolo. Forse dobbiamo distruggerla. Forse dobbiamo schiacciarla, polverizzarla e spargere il sale sul suo suolo, come facevano i romani con i nemici fastidiosi. È ora di far vedere a tutti gli iracheni e ai loro fratelli e sorelle in tutto il Medio Oriente che provocare gli americani non paga. Devono accettare il fatto che le cose non saranno mai più come prima in Iraq".
Il confronto tra queste due affermazioni dà tutta la misura della Guerra Infinita. La retorica mediatica, spettacolare, della bontà. E la realtà feroce della potenza assoluta che prevede solo l'annientamento per chiunque osi opporsi.

Ma c'è anche un terzo elemento. La promessa di Joseph Farah è stata mantenuta. Come vediamo in questa testimonianza da Baghdad.

L'immagine in fondo che illustra questo articolo è tratta dal sito di Padre Jean-Marie Benjamin, e proviene a sua volta dal libro "Peace" (Edizioni Favre di Lausanne, Svizzera).




Repubblica 19 aprile 2004

Nel cuore dell'incubo Falluja

"Ho visto morte, fame e paura" "È una vendetta violenta e disumana per i soldati Usa uccisi e oltraggiati"

"Adesso c'è una specie di tregua, ma i morti sono migliaia: donne,anziani, bambini"

Il racconto di Hamid, quarant'anni, fuggito dalla città sunnita assediata: "E' una rappresaglia".

DAL NOSTRO INVIATO RENATO CAPRILE

BAGDAD - Ha visto mucchi di cadaveri per strada. Anche di donne e bambini lasciati li dove erano caduti, perché i cecchini non davano tregua. Ha visto gente seppellire nel giardino di casa i propri morti, perché le bombe americane non hanno risparmiato nemmeno il cimitero. Ha visto centri di raccolta degli aiuti alimentari saltati in aria. Ha visto uomini morire sull'uscio di casa.Ha visto lo stadio trasformarsi in un'enorme fossa comune. Ha visto dal di dentro cosa significhi un assedio. La fame, la paura, la disperazione di chi è rimasto intrappola. Hamid non vive a Falluja. È nato li ma da tempo si è trasferito a Bagdad. Ma a Falluja sono rimasti i genitori e i fratelli. E lui, che si trovava lì per caso, è rimasto bloccato per tredici lunghissimi giorni. Dal due al quindici di aprile.Quando la morsasi è appena allentata si è rimesso in macchina e, attraverso stradine di campagna, le uniche percorribili, è riuscito no nsenza rischi a ritornare a Bagdad.

Hamid ha quarant'anni, una moglie, tre figli e un piccolo commercio nel suk più grande della capitale. Hamid non esita a parlare di rappresaglia. "Violentissima, disumana"per vendicare i quattro americani barbaramente uccisi e oltraggiati tre settimane fa alla periferia di Falluja, la più ribelle delle città del triangolo sunnita. Quella che è insorta contro gli americani appena sette giorni dopo che era caduto il regime. Città di frontiera,di traffici, di contrabbando, vicina com'è ai confini di Siria, Giordania e Arabia Saudita. Saddamista fin dalla prima ora - gran parte dell'intelligence e dei gerarchi del regime venivano proprio da qui - capitale della resistenza, ma anche centro di grandi tradizioni culturali e religiose con le sue settanta e passa moschee.

Hamid è un uomo tranquillo,uno che bada agli affari propri,uno che si sforza sempre di capire le ragioni degli altri. Anche degli americani che da un anno a questa parte in quella zona hanno pagato un altissimo prezzo di sangue.

"D'accordo - dice - ma da qui ad ammazzare centinaia di innocenti, con cecchini, li ho visto coi miei occhi, appostati sulle terrazze delle moschee cene corre. Quello che è stato fatto Falluja è una delle pagine più nere di questo orrore infinito.Non ho cifre, ma le vittime non possono essere state che centinaia - almeno settecento secondo fonti del Consiglio degli ulema sunniti, ndr - e migliaia i feriti.

Ero a Bagdad durante la guerra. Sarà perché Bagdad è almeno dieci volte più grande di Falluja,ma non c'è paragone. Qui non c'erano bombe intelligenti, ma soltanto bombe. Fatte cadere a grappoli sui quartieri più popolosi della città. Al Jolan, il cuore commerciale, alAskari, alDhubbat. Come se niente fosse. Qualche giorno dopo eravamo tutti tappati in casa. Mettere il naso fuori equivaleva a morire. Ho visto un vecchio di una settantina d'anni, colpito subito dopo aver aperto la porta della sua villetta .E non lo hanno nemmeno potuto soccorrere".

Ma la scena che Hamid non dimenticherà, dovesse campare altri cent'anni, è quella cui ha avuto la sfortuna di assistere il terzo giorno dell'attacco. Era in una delle stradine del quartiere al Jolan. Una donna incinta, all'ultimo mese di gravidanza che non è mai riuscita a raggiungere l'ospedale e gli è praticamente spirata tra le braccia.

"Cosa c'entrava quella poveretta con il terrorismo, la resistenza, non lo capirò mai. Più i giorni passavano e più mi sembrava di vivere un incubo. Quando non c'era il crepitio dei proiettili o il boato delle bombe, il silenzio era agghiacciante. Quando le poche provviste che avevamo in casa hanno cominciato a scarseggiare io e i miei fratelli siamo stati costretti ad uscire. Sono stato fortunato se ora sono qui e se anche Shaker e Mohammed stanno bene.

Non ricordo più quale giorno, gli americani si sono accaniti contro una grande,bella casa nel centro. L'hanno praticamente rasa al suolo. Dentro c'erano trentadue persone.Non si è salvato nessuno. Sempre ad al Jolan, il quartiere del commercio, quello che più degli altri è stato preso di mira, una famiglia di tredici persone ha avuto un solo sopravvissuto, il padre che al momento dell'attacco era da un'altra parte.

Io posso raccontare soltanto una piccola parte di questa immane tragedia. Quello di cui sono stato testimone e quello che mi è stato riferito. Anche l'ospedale era off limits. Se almeno quello fosse stato raggiungibile i morti sarebbero stati sicuramente di meno. Fortuna che la piccola clinica privata di un uomo al quale dovrebbero fare un monumento, il dottor Taleb al Janabi, si è improvvisata ospedale,curando centinaia di persone.

E in tutto questo senza luce, ne acqua, impossibilitati a comunicare con il mondo esterno, affamati, gli americani impedivano perfino alle organizzazioni umanitarie di portarci un po' sollievo.Hanno bombardato addirittura un centro di raccolta di aiuti alimentari. Qualcosa arrivava da Bagdad perché dei coraggiosi si azzardavano a raggiungere Falluja attraverso sentieri sterrati.Ma è durato poco, perché alla fine hanno presidiato anche quella unica via di fuga. Adesso c'è una specie di tregua. Una trattativa che forse sbloccherà la situazione e consentirà di ritornare a vivere. Ma non so se ciò che di orribile è stato fatto alla gente di Falluja in quelle due settimane potrà mai essere dimenticato".




marines in iraq


 


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