L'esistenzialismo e Jean-Paul Sartre


IV parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in cinque parti.

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18. Dopo il 1985 e la primavera gorbacioviana, basata sull'infondata speranza di una autoriforma socialista del comunismo storico novecentesco, laddove non si trattava che di una sua dissoluzione inarrestabile, si estingue anche lo spazio del precedente incontro fra esistenzialismo e marxismo. Ormai l'individuo giganteggia in forma non più collegata a progetti storici di emancipazione sociale. Se in una prima fase esso semplicemente aderiva alle dissidenze esemplari contro le dittature dei socialismi pietrificati, ora questo individuo riscopre un preteso spazio dell'etica che però non è più in nessun modo uno spazio anticapitalistico. In proposito, per riprendere la nota distinzione terminologica fra morale ed etica, io credo che i problemi morali conflittuali dell'individuo siano relativamente indipendenti dai modi di produzione, ma che però un'etica propriamente detta non possa essere oggi in alcun modo estranea all'anticapitalismo. Non credo infatti nella possibilità di un'etica che accetti i fondamenti economici, politici e culturali del capitalismo. Un'etica oggi o è anticapitalista o non è. Altro discorso deve essere fatto per i problemi morali dell'individuo, che sono relativamente metastorici, e quindi in un certo senso "eterni". Ma qui siamo ormai fuori dal raggio dei rapporti fra marxismo ed esistenzialismo.

19. Se il filone esistenzialistico dell'impegno politico dell'intellettuale che risale a Jean-Paul Sartre approda infine alla testimonianza etica dei diritti umani in nome di cui si fanno gli interventi militari imperialistici del nuovo mondo unipolare globalizzato, il filone che risale invece a Martin Heidegger porta ad una sorta di sindrome di impotenza storica che legittima una sorta di minimalismo individualistico inserito in un quadro di intrasformabilità assoluta delle strutture economiche e sociali. Abbiamo visto come per Sartre i progetti esistenziali dei gruppi si trovano di fronte l'opaca resistenza della Chose, la Cosa resa seriale ed impersonale dalla sua rigidità pietrificata e reificata, un destino cui non può sfuggire neppure il progetto rivoluzionario e comunista. Anche per Heidegger i nostri progetti devono fare i conti con una situazione storica che egli definisce in termini di Gestell, termine tedesco intraducibile che si può rendere in modo approssimativo con Impianto o Imposizione, e che costituisce il momento terminale del cosiddetto esito tecnico della lunga storia della metafisica occidentale. A mio avviso la superiorità filosofica di Heidegger su Sartre, superiorità che ritengo assolutamente indiscutibile, è dovuta proprio al fatto che l'analitica dell'esistenza umana non è semplicemente messa di fronte al problema dell'impegno politico come strumento che dà un senso a qualcosa che di per sé sarebbe semplicemente insensato, ma è inserita in un'interpretazione complessiva della storia che intende essere alternativa, e non solo integrativa, a quella che risale a Hegel e Marx. E' questo un punto teorico assolutamente decisivo.

20. L'esistenzialismo di Sartre diventa per tre decenni un compagno di strada del movimento comunista proprio perché esso non ambisce a costituire una visione del mondo alternativa alla filosofia marxista della storia, ma si limita a darne una sorta di integrazione esistenziale basata sulla rivendicazione della libertà dell'intellettuale e sul rifiuto della riduzione dell'attività filosofica ad attività ideologica di partito. Il marxismo di Sartre resta ovviamente un marxismo eretico, ed è anche possibile negargli in sede storiografica ogni statuto teorico marxista vero e proprio. Ho fatto notare nei precedenti paragrafi che questa è anche la mia personale interpretazione del pensiero di Sartre, che mi sembra del tutto estraneo alla logica del pensiero di Marx. Ma questa è una questione secondaria, perché ciò che conta è che Sartre ed i suoi seguaci esistenzialisti si autopercepiscono come portatori di una visione filosofica integrativa del marxismo, e non alternativa ad esso. In Heidegger le cose stanno diversamente. Non alludo qui al cosiddetto "primo Heidegger", quello di Essere e Tempo del 1927, un'opera di analitica esistenziale che è a mio avviso politicamente del tutto neutra e può prestarsi agli usi più diversi, dal fiancheggiamento fascista al fiancheggiamento comunista alla scelta esistenziale impolitica ed apolitica. Alludo qui al pensiero di Heidegger preso nel suo complesso, e dunque anche e soprattutto dopo la cosiddetta "svolta" (Kehre), in cui l'analitica esistenziale diventa una vera e propria filosofia della storia alternativa a quella di Hegel e di Marx attraverso il dispositivo della differenza ontologica. Non vi è qui assolutamente lo spazio per un'esposizione, sia pure telegrafica, di questa concezione, che sono costretto a dare per conosciuta al lettore, e che comunque il lettore può trovare in qualunque manuale di storia della filosofia contemporanea. Qui debbo limitarmi a rilevarne criticamente la natura, soprattutto nel suo rapporto indiretto con la concezione del mondo marxista e comunista.

21. Come ho detto, la filosofia della storia di Heidegger è alternativa a quella di Hegel e di Marx, e questo elemento è decisivo, perché la Storia è l'unico fondamento filosofico-scientifico immanente che Marx sia disposto a riconoscere come essenziale. Faccio rilevare in modo del tutto accidentale che questa centralità della Storia non deve essere confusa con il cosiddetto storicismo, che è invece una concezione errata e mitologica dell'omogeneità di scorrimento del tempo storico, necessaria per la costruzione di una grande narrazione antropomorfica che postula l'esistenza di un soggetto storico che garantisce con il mantenimento della propria identità iniziale la realizzazione finale del suo progetto originario. Questo storicismo è lo strumento ideologico necessario per l'edificazione del mito del proletariato e della classe operaia, ma non deve essere confuso con la centralità del fondamento storico nella prospettiva comunista di Marx, che viene semplicemente meno se dentro il capitalismo e la sua dinamica oggettiva non viene individuata una tendenza alla socializzazione armoniosa delle forze produttive promossa da un lavoratore cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo manovale, alleato con le potenze mentali della produzione capitalistica, definite da Marx con il termine inglese di general intellect.



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