L'esistenzialismo e Jean-Paul Sartre


III parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in cinque parti.

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12. Il pensiero di Jean-Paul Sartre rappresenta il momento più felice ed emblematico dell'incontro fra marxismo ed esistenzialismo. Sartre indica nel nuovo impegno dell'intellettuale (engagement), che ripropone in modo sostanzialmente analogo la vecchia "missione del dotto" di Fichte, l'adesione come libero compagno di strada alla causa idealmente più universalistica che esista, la causa dei lavoratori e dei popoli sfruttati ed oppressi, una causa già difesa dai partiti comunisti, ma con modalità discutibili e che si vuole comunque discutere. Si tratta di una forma di universalismo assolutamente simile a quella di Fichte, e che è perciò idealistica, ma che si vuole esistenzialistica perché la singola esistenza concreta dell'individuo è messa integralmente in gioco con un atto fondante di libertà assoluta, senza alcuna garanzia metafisica bimondana e neppure senza alcuna garanzia ontologica monomondana. Sartre simboleggia così nel modo più alto, ed a mio avviso integralmente legittimo, la libera adesione individuale al comunismo senza mediazione di partito, in un contesto storico in cui tutti i gruppi organizzati, stalinisti, trotzkisti, maoisti, operaisti, bordighisti, eccetera, si arrogavano il diritto di essere i soli "veri comunisti", accusando gli altri di essere comunisti falsi, presunti, avventuristi, provocatori, pagati dai padroni, eccetera. Oggi, dopo l'integrale consumazione tragicomica del comunismo storico novecentesco, questa pretesa settaria ci ricorda la lotta fra cattolici e calvinisti nel Cinquecento, in cui solo gli uni erano i "veri cristiani", e gli altri erano frutti diabolici del peccato. Ma l'esperienza di Sartre ci riconferma in un fatto oggi assolutamente ovvio: nel Novecento ci sono stati molti modi di essere comunisti, e tutti erano legittimi, perché nessuna delle sette deteneva il segreto del vero svolgimento della storia, ed il secolo si sarebbe comunque chiuso con la loro comune rovina.

13. Nei decenni che videro l'impegno di Sartre si usava dire che il materialismo dialettico, lo storicismo gramsciano (che era la versione togliattiana del materialismo dialettico, con una porzione di materia in meno ed una porzione di storia in più, e con l'identica arrogante pretesa di essere la sola fede filosofica autorizzata del militante fedele) ed il marxismo-leninismo erano ideologie della classe operaia e proletaria, mentre l'esistenzialismo, dato il suo carattere individualistico, era un'ideologia della piccola borghesia progressista impegnata. Questa idiozia ideologica a base sociologica era ovviamente del tutto falsa. Se vogliamo comunque giocare con lo scatolone del Piccolo Sociologo regalatoci a Natale, possiamo dire che sia i marxismi di partito sia i liberi esistenzialismi individuali erano entrambe ideologie della piccola borghesia novecentesca, solo che i marxismi di partito esprimevano la visione del mondo gerarchica ed organizzativa di apparati professionali specializzati in mediazione e manipolazione politica (di cui D'Alema è un frutto maturo anche se già un pò marcito), mentre i liberi esistenzialismi individuali esprimevano la visione del mondo di giornalisti, scrittori, artisti e letterati, interessati all'espressione e non al potere. Questi due settori della piccola borghesia novecentesca erano conflittuali, e fra di loro si consumava una sorta di guerra civile ideologica virtuale in cui la mitica "classe operaia" faceva la parte passiva dello Spirito Santo nelle dispute cristologiche bizantine fra ortodossi, monofisiti e nestoriani.

14. Sartre dovette ovviamente costruirsi la propria filosofia, e lo fece in modo tutto sommato dignitoso. In estrema sintesi, egli prese dal ricco apparato categoriale marxista una categoria sola, quella di reificazione, che a sua volta era solo una variante elaborata del concetto di feticismo delle merci. La reificazione, causata dal dominio delle categorie economiche capitalistiche, produceva un mondo rigido, pietrificato ed appunto "cosificato", una vera e propria Cosa (chose). Era contro questa Cosa che si svolgeva il ruolo dell'intellettuale. Contro la rigidità della cosa gli individui si aggregavano liberamente in gruppi in fusione, che producevano le loro finalità-progetto destinate purtroppo a serializzarsi, e dunque a cosificarsi nuovamente, in un nuovo pratico-inerte. La totalità sociale come cosa, i gruppi in fusione, le finalità-progetto ed il pratico-inerte sono dunque i quattro concetti fondanti del pensiero di Sartre. Qui c'è indubbiamente molto Bergson e molto slancio vitale (élan vital). Il comunismo è così ridefinito come attivismo e come contestazione. Il vero comunista non è l'amministratore, ma il testimone della contestazione ininterrotta.

15. Se vogliamo cercare in Italia un personaggio simbolico che ha espresso al massimo grado la concezione sartriana, lo cercherei in Rossana Rossanda. E questo non solo per la profonda cultura francese di questa signora, e neppure per la sua scelta verso il giornalismo anziché verso il mestiere del politico, ma proprio per la sua concezione teorica implicita della funzione attiva del comunismo. Nel 1968 la signora Rossanda era contemporaneamente ed integralmente per Dubcek in Cecoslovacchia e per Mao Tse Tung in Cina. Dal momento che i due personaggi remavano in direzioni assolutamente opposte, ci si può chiedere se questa doppia adesione contraddittoria non fosse dovuta a semplice confusione ideologica. Ma la contraddizione sparisce non appena ci si accorge che in entrambi i casi si aveva una lotta parallela contro la reificazione della rivoluzione degradata ad irrigidimento seriale, per cui si Dubcek che Mao si muovevano comunque contro il pratico-inerte, e questo era l'essenziale. E' troppo facile, oggi, sorridere di questa concezione, e rilevarne l'ingenuità. Allora essa aveva un senso molto preciso, ed è giusto comprenderlo storicamente, anche se sarebbe sciocco non rilevarne simultaneamente la debolezza teorica incredibile.

16. Un brevissimo inciso personale. A quei tempi, cioè negli anni Sessanta e Settanta, io condivisi sostanzialmente l'idea di Sartre per cui le sorti storiche del comunismo si giocavano nella riattivazione politica di gruppi in fusione sociali capaci di produrre finalità-progetto in grado di riformare il pratico-inerte (metafora per indicare i partiti comunisti ed i sistemi socialisti). Il comunismo era così identificato nell'attivismo delle avanguardie. Oggi penso invece che in questo modo si era persa la grande intuizione di Max Weber, per cui ciò che conta non è la continua ed impossibile riattivazione del messianesimo, ma è invece l'apparentemente banale e quotidiana secolarizzazione del messianesimo originario. L'idea marxiana di comunismo era certo basata su ipotesi scientifiche, ma conteneva un nucleo messianico del tutto irrealizzabile, e ciò che contava era quello che sarebbe riuscita a sedimentare nella quotidianità dei comunisti, sia al potere che all'opposizione. Su questo piano l'idea comunista perse nel Novecento, non su quello delle avanguardie, e per questo l'idea di Lukács di democratizzazione della vita quotidiana era in realtà più profonda di quella di Sartre della continua lotta contro la Cosa.

17. A metà degli anni Settanta Jean-Paul Sartre (1905-1980), malatissimo e fisicamente impedito, era anche caduto sotto il controllo di una banda di piccoli cialtroni anticomunisti, amici dei cosiddetti "nuovi filosofi", e non poteva dunque più agire in modo indipendente. Ma ciò che più conta è ovviamente la svolta storica, ed il fatto cioè che a metà degli anni Settanta il comunismo storico novecentesco comincia ad apparire qualcosa di irrigidito, irriformabile, mentre il capitalismo sembra reinvestito da una nuova giovinezza legata alla flessibilità, all'innovazione tecnologica, all'iniziativa in campo finanziario, militare e culturale. In poche parole, il pratico-inerte, o meglio la Cosa, contro cui deve attivarsi l'impegno politico ed esistenziale dell'individuo, diventa ormai il socialismo, non più il capitalismo. Non sostengo affatto che Sartre, se fosse stato in buona salute ed avesse vissuto più a lungo, avrebbe condiviso questo rovesciamento. Sono anzi convinto che non l'avrebbe fatto. Ma qui non si parla di persone, quanto di categorie concettuali, che ad un certo punto si autonomizzano dal loro creatore ed assumono una vita propria. L'impegno esistenziale dell'intellettuale si sposta dunque dalla solidarietà verso i popoli e le classi oppresse in direzione della solidarietà esemplare verso i dissidenti ed i resistenti oppressi dai regimi dei socialismi reali. Ed infatti per tutti gli anni Ottanta tutti i movimenti di ispirazione femminista, ecologista e pacifista si sposeranno con tendenze apertamente restauratrici del capitalismo.



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