L'esistenzialismo e Jean-Paul Sartre


II parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in cinque parti.

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6. La corrente filosofica che prenderà poi il nome di esistenzialismo comincia ad emergere e ad assumere un'identità negli anni Venti del Novecento, dopo la conclusione della prima guerra mondiale ed il consolidamento del bolscevismo in Russia. Vedremo più avanti che questo dato storico non è affatto casuale. Vale forse qui la pena di ricordare che la stessa forma moderna, post-marxiana, ed anche post-leniniana di marxismo, comincia ad emergere negli anni Venti. Fra il 1924 ed il 1926, con due brevi e concise opere successive, Stalin delinea per la prima volta una sintesi teorica precedentemente inesistente, denominata marxismo-leninismo. Questa sintesi teorica configura una totalità espressiva del tutto particolare, che non ha più assolutamente nessun rapporto con il cantiere teorico fondato a suo tempo da Karl Marx, e che diventerà ben presto una semplice ideologia di legittimazione del potere assoluto dei partiti comunisti, assimilati a locomotive che sui binari della storia universale trasportano avanti i treni della società. Negli anni Venti si costituisce in Russia anche la nuova filosofia marxista-leninista del materialismo dialettico, basata sull'utilizzo di un'interpretazione dogmatizzata ed unilaterale di Engels. In una prima fase questa filosofia vede ancora dibattiti in un certo senso pluralistici, come quello fra meccanicisti e dialettici, ma poi a partire dal 1931 si attua una normalizzazione forzata che porta all'identificazione fra filosofia marxista ed ideologia di partito. E' bene comunque aggiungere che sia i meccanicisti che i dialettici erano portatori di una base filosofica talmente ristretta e miserabile da rendere comunque impossibile ogni evoluzione creativa della coscienza filosofica comunista, perché erano entrambi interni alla visione ideologica del processo storico come caso particolare del processo naturale, limitandosi a darne varianti qualitativamente non dissimili. Negli anni Venti si forma anche il cosiddetto marxismo occidentale, per opera soprattutto di Lukács e di Korsch, che invece rompe decisamente con l'idiozia dell'equazione fra processo storico e processi naturali, ma che viene in ogni caso emarginato, schiacciato e silenziato dagli apparati politici stalinizzati. Personalmente, sono comunque convinto che anche questo marxismo occidentale si fondasse su di una base teorica ristretta ed incapace di vera egemonia ed espansività. In definitiva, negli anni Venti del Novecento nasce anche il nuovo marxismo, ma nasce su di una base teorica talmente povera da non lasciar sperare in veri e propri avanzamenti qualitativi.

7. Negli anni Venti del Novecento nascono quasi simultaneamente due correnti diversissime come l'esistenzialismo ed il neopositivismo. Esse sono talmente opposte da far sembrare alla prima occhiata di non avere proprio niente in comune. La prima mette al centro l'analitica dell'esistenza, o più esattamente dell'esistenza autentica. La seconda mette al centro la ricostruzione dei procedimenti conoscitivi della scienza moderna, e propugna un rifiuto polemico dell'attività filosofica addirittura provocatorio. Si pone allora un problema, e cioè se queste due correnti siano opposte ed antagonistiche, come sembra a prima vista, oppure segretamente complementari. La risposta a questo problema è assolutamente decisiva per un orientamento di fondo nella storia del pensiero del Novecento.

8. Io sono ovviamente convinto della loro complementarietà. A conforto di questa mia opinione posso portare l'importante valutazione di György Lukács, che visse molto attivamente gli anni Venti e Trenta e parla di "solidarietà antitetico-polare fra neopositivismo ed esistenzialismo", e non solo a proposito dell'illuminante personalità di Wittgenstein, che riunì le due tendenze teoriche in una sola persona. Da un lato, appare chiaro che la desertificazione dei significati vitali indotta dal neopositivismo, che riduce l'attività filosofica e metodologica fisicalistica delle scienze, richiede un'integrazione esistenziale fornita appunto dall'esistenzialismo. Ma l'aspetto fondamentale è un altro. In entrambi i casi si è di fronte ad una distruzione cosciente di ogni ontologia, e non solo di ogni metafisica trascendentalistica e bimondana, ma proprio di ogni ontologia immanentistica e monomondana (da Spinoza a Hegel a Marx, per intenderci). Questo non avviene a caso, e completa una tendenza che aveva già avuto la sua prima tappa fra il Seicento ed il Settecento, in particolare ad opera dell'empirismo inglese e dello scetticismo scozzese.

9. Fra il Seicento ed il Settecento viene attuato un primo attacco all'ontologia attraverso la critica di Locke al concetto di sostanza e la critica di Hume al concetto di causalità. Si trattava, sul piano simbolistico, dei concetti filosofici più astratti, di un attacco ai fondamenti della società signorile-feudale, che si autoconcepiva come fondata su di una sorta di sostanza sottostante immutabile. Locke distrugge questa nozione, convinto in piena falsa coscienza di stare facendo semplicemente un'opera di filosofia empiristica, perché alla sostanza come metafora dell'immutabilità signorile e feudale si sostituisce la relazionalità dei rapporti di proprietà capitalistici. Ma Locke è ancora un contrattualista ed il contrattualismo implica pur sempre un primato della politica, non dell'economia, in quanto bisogna pur sempre dire che una società è istituita da un contratto, ed i contratti possono essere sempre cambiati, come proporrà poi Rousseau, l'egualitario precursore del comunismo di Marx. Ed allora giunge Hume, che con la critica del concetto di causalità critica anche l'idea che la società venga causata politicamente da un contratto, sostituendo l'idea utilitaristica, base della futura economia politica di Adam Smith, per cui non vi sono che aggregazioni frutto di interessi reciproci diretti dalla mano invisibile del mercato. In questo modo il primato dell'economia sulla politica è fondato in modo solido ed irreversibile, al punto che tuttora non è ancora stato mutato.

10. Negli anni Venti del Novecento si realizza la seconda tappa di questa distruzione dell'ontologia sociale la cui prima tappa era stata realizzata da Locke e da Hume. Incidentalmente, la pratica della cosiddetta filosofia analitica, espressione teorica astratta dell'impero capitalistico americano, si basa proprio su questa seconda distruzione ontologica, che è condivisa persino dai filosofi americani non strettamente analitici, come Richard Rorty. La distruzione di ogni ontologia sociale non è però più rivolta come due secoli prima contro ogni fondazione metaforica religiosa di tipo signorile e feudale e contro il pericoloso primato della politica stabilito dal contrattualismo (decapitato nel 1794 con Robespierre), ma è rivolta contro i residui del conservatorismo e del perbenismo borghesi, considerati culturalmente responsabili del grande bagno di sangue della Prima Guerra Mondiale. La grande maggioranza dei neopositivisti austriaci e tedeschi degli anni Venti è infatti decisamente di sinistra, mentre Heidegger, che non è affatto di sinistra ma è anzi politicamente di destra, resta comunque un critico radicale del costume borghese. Sull'odio di Sartre per i borghesi non c'è alcun dubbio, al punto che Sartre dirà solamente che "ogni anticomunista è un cane" (sic!).

11. L'errore, scusabile ma strategico, comprensibile ma fatale, dei neopositivisti e degli esistenzialisti degli anni Venti e Trenta, sta proprio nell'identificazione fra borghesia e capitalismo, lato soggettivo e lato oggettivo del potere politico e del dominio economico. In realtà, il dominio borghese non è che una fase storica passeggera della storia dinamica e dialettica del modo di produzione capitalistico, che è una realtà strutturale ed impersonale. Oggi tutto questo appare chiaro, ma ottant'anni fa ovviamente no. Per mostrare questa dinamica, visto che oggi siamo in piena terza fase storica della distruzione dell'ontologia (nichilismo filosofico e post-moderno ideologico), seguiamo sommariamente l'evoluzione dialettica dei pensieri di Sartre e di Heidegger rilevandone gli esiti attuali. Dovremmo cronologicamente fare il contrario (prima Heidegger e poi Sartre), ma in questo modo il nucleo teorico di quanto andiamo dicendo apparirà forse più chiaro. E cominciamo dunque con Sartre.



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