Giudeofobia al servizio di Israele
 


di Shraga Elam

Shraga Elam è un giornalista israeliano,
residente a Zurigo/Svizzera.
Questo è il testo della relazione tenuta da lui
al Campo Antimperialista di Assisi, il 2 agosto 2004. Si ringrazia Susanne Scheidt per la traduzione.

Si veda anche l'articolo di
Michael Neumann, Che cos'è l'antisemitismo?




Si può osservare un aumento dei sentimenti antiebraici su scala mondiale. Non è più possibile ignorare la crescente giudeofobia, magari liquidando il fenomeno come prodotto della propaganda e della manipolazione. Già che ci siamo, io preferisco usare il termine di giudeofobia anziché: quello più comunemente usato, di antisemitismo, che è esso stesso un termine razzista.

La giudeofobia deve essere confrontata e ripudiata come qualsiasi altra forma di razzismo ed a tale fine, occorre comprendere i suoi attuali motivi e cause. Non basta limitarsi a trattare, in via selettiva, i sintomi alla superficie, come invece vorrebbero molte organizzazioni sioniste e lo stesso Israele.

Per non sfruttare la vostra pazienza oltre misura, dirò subito che sono profondamente convinto che la ragione principale per la crescita della giudeofobia sia fondamentalmente da ricercare nella politica criminale che Israele sta conducendo ai danni dei palestinesi, cosè, come nel riprovevole comportamento dei gruppi di pressione pro-Israele. Questi due problemi, già seri di per se, si combinano con i pregiudizi anti-ebraici pre-esistenti, di per sé piuttosto innocui, almeno per la maggior parte. È l'incontro delle offese perpetrate da ebrei con i pregiudizi pre-esistenti, secondo i quali gli ebrei sarebbero qualcosa di particolare, che potrebbe generare un cocktail ad alto potenziale esplosivo.

Ammesso che nel passato fosse sbagliato ed espressione di razzismo volere cercare i motivi per le aggressioni contro gli ebrei negli ebrei stessi, oggi invece, è giusto e necessario fare proprio questo.

Tra le strategie più efficienti per combattere l'attuale giudeofobia, c'è quella di fermare i crimini di Israele.

Davvero, tutto qua. E cosè semplice.

Vorrei elaborare questa mia affermazione cercando di spiegare cosa mi ha portato a tale conclusione.

È stato, in effetti, un rinomato esperto israeliano di giudeofobia, la professoressa Dinah Porat, ad affermare in una trasmissione della radio pubblica che vi è una correlazione tra le azioni di Israele (le possiamo chiamare atrocità) e gli scatti di giudeofobia. Questo era il caso, ad esempio, nei primi anni 80, in seguito all'invasione del Libano e poi, alla fine degli anni 80, durante la prima rivolta palestinese, l'Intifada.

Possiamo costatare che tutti gli ebrei, a prescindere dalle loro posizioni individuali, furono ritenuti responsabili delle atrocità commesse da Israele.Questo non era soltanto il risultato di pregiudizi anti-israeliani, ma anche della pretesa, sbagliata, di Israele, di rappresentare tutti gli ebrei e di essere lo stato DEGLI ebrei. Il diffuso ed ostentato appoggio che molti ebrei in tutto il mondo stanno offrendo ad Israele, non può che rafforzare l'impressione che tutti gli ebrei stessero a fianco di Israele.



casa palestinese distrutta

Una casa palestinese demolita

Un altro esempio per un'iniziativa ebraica che ha generato giudeofobia è, secondo le mie personali osservazioni, la campagna per la restituzione iniziata a metà degli anni 90 dal World Jewish Congress (WJC) e dalla Jewish Agency (JA) contro le banche svizzere riguardante i cosiddetti patrimoni senza eredi giacenti, dai tempi dell'era nazista, in Svizzera.

Queste due organizzazioni ebraiche, le due protagoniste dell'Industria dell'Olocausto, hanno abusato di una causa giusta senza troppe considerazioni per la verità o per gli interessi delle vittime dei nazisti e dei loro eredi. Il comportamento di queste due organizzazioni ebraiche, palesemente ispirato all'avidità, è stato percepito come una conferma vivente dei pregiudizi giudeofobi esistenti, innescando una nuova ondata di sentimenti antiebraici in Svizzera. Alcuni degli esponenti delle comunità ebraiche in Svizzera non erano molto contenti di questi sviluppi, ma delle loro preoccupazioni JA e WJC non si degnavano nemmeno di prendere nota, visto che stavano riuscendo a strumentalizzare perfino quest'ondata di nuova giudeofobia per rinforzare il proprio potere contrattuale nei confronti degli svizzeri.

Possiamo osservare che la situazione "win-win" (vinci in ogni modo), che si ottiene agitando il "manganello dell'Olocausto" (nel 1991 lo storico tedesco-israeliano Michael Wolffsohn, un professore di storia, aveva coniato il termine "manganello dell'Olocausto"), viene ricreata ogni qualvolta si trattasse di zittire le voci critiche di Israele che vi ricadono se non stanno attente a non mischiare la condanna - legittima e necessaria - della politica di Israele con pregiudizi antiebraici. Tuttavia, anche in assenza di qualsiasi manifestazione di giudeofobia, la critica nei confronti di Israele, anche quando dichiara la verità e si presenta correttamente, rischia di essere tacciata (di antisemitismo) semplicemente perché: risulta insopportabile per Israele ed i suoi sostenitori.

Questo meccanismo può essere esemplificato dalla faccenda di Jamal Karsli, un'esponente politico tedesco, di origine siriana, a suo tempo un parlamentare del partito dei Verdi, con sede nel parlamento della più popolosa Regione tedesca, la Renania-Westfalia. Nel marzo 2002, Jamal Karsli aveva protestato contro i crimini di guerra commessi da Israele. Aveva osato dire qualcosa che solitamente, viene accettato soltanto se detto da parte di consolidati sionisti e dai loro sostenitori, in altre parole, aveva paragonato le atrocità naziste con un evento che stava succedendo in quel momento (in Palestina). Dopo avere visto, sulla TV, che soldati israeliani stavano marcando le braccia di prigionieri palestinesi con dei numeri, Karsli aveva dato una conferenza stampa con il titolo "Israele sta adoperando metodi nazisti."

Il politico tedesco-siriano in questione, in effetti, non era stato l'unica persona a fare queste associazioni. L'ex membro del Knesset ed attuale ministro israeliano, Joseph "Tommy" Lapid, un sopravvissuto al giudeocidio in Ungheria, aveva anch egli protestato contro l'insopportabile somiglianza tra l azione dei nazisti che marcavano gli ebrei con numeri progressivi ad Auschwitz e le azioni compiute dai soldati israeliani.

La cantante nazionale israeliana, la cosiddetta "cantante di guerra", Yaffa Yarkoni, in un intervista alla radio militare d'Israele domandò: "ma non facevano (il riferimento era ai tedeschi) cose simili a noi?" Yarkoni ricevette molte minacce da radicali di destra in seguito alla sua domanda, che era stata accompagnata da un appello ai soldati di rifiutare il servizio militare. All'inizio, Karsli fu più fortunato della Yarkoni. Ricevette soltanto critiche smorzate, rivolte a lui privatamente dai suoi colleghi Verdi.

Qualche settimana dopo, verso la fine dell'aprile 2002, Karsli decise di lasciare il partito dei Verdi in segno di protesta contro la sua politica pro-israeliana (il capo del partito, il ministro agli esteri tedesco, Joschka Fischer, aveva sabotato la proposta di sanzioni dell'Unione Europea contro Israele). All'indomani, Karsli entrò a fare parte del partito FDP (Partito liberaldemocratico), il cui vice-presidente, l'ex-ministro Juergen Moellemann, noto per la sua critica alla politica di Israele, aveva sostenuto una posizione più vicina a quella di Karsli in relazione al conflitto in Medio Oriente.

In un intervista condotta ai primi di maggio, Karsli ruppe un altro tabù ancora, criticando la forte influenza esercitata dalla lobby sionista. Si scatenò contro di lui un attacco feroce e le sue affermazioni venivano bollate come anti-ebraiche. Jürgen Möllemann cercò di aiutare Karsli dichiarando che gli stessi ufficiali israeliani ed ebrei, tramite la loro politica, si sarebbero resi responsabili per la recente vampata di giudeofobia (egli usò il termine di "antisemitismo").

Questo naturalmente, equivalse a versare carburante su una fiamma già accesa. I feroci attacchi contro Karsli, nell'ambito di una campagna elettorale tedesca già in corso, erano in effetti, mirati contro il politico di importanza maggiore, Jürgen Möllemann. Karsli di per se non era abbastanza interessante da potere avere innescato uno scandalo di tali proporzioni che avrebbe occupato i media tedeschi per mesi.

L'affare Karsli fu la rovina di Möllemann. Fu accusato di avere pescato voti nelle acque torbide brune, cioè, di avere corteggiato gli elettori fascisti. Egli chiese scusa per le sue affermazioni e si tenne lontano dai contatti con Karsli, ma non gli servè a molto. Al contrario, Moellemann perse l'appoggio da parte di molti tedeschi che avevano sperato che egli fosse in grado di provvedere ad una maggiore onestà all'interno del sistema politico, ma che adesso erano delusi dalla sua inconsistenza e dal suo opportunismo. Lungi dall'essere incalliti radicali di destra, questa gente aveva le scatole piene della dilagante giudeofilia ipocrita, dai privilegi inaccettabili ed ingiustificati accordati agli ebrei in Germania ed infine, ma non in ultima istanza, della mancanza di una critica onesta, seria, dei crimini di guerra israeliani.

In una mossa disperata, Möllemann fece distribuire un volantino che criticava Sharon e Michel Friedman, un importante rappresentante delle comunità ebraiche in Germania, mentre asseriva contemporaneamente il diritto di Israele di esistere. Il volantino, piuttosto moderato, che avrebbe potuto essere scritto da sionisti del movimento "Pace Adesso" o da Uri Avnery, fu in un primo momento denunciato quale antisemita dai media tedeschi, poi fu definito "antiisraeliano". Nessuno dei giornalisti o delle altre persone che si erano espresse in pubblico con commenti negativi sul volantino di Möllemann, sembravano averlo letto o dare importanza al suo vero contenuto. S'era creata un atmosfera di divieto verso la possibilità di una qualsiasi altra opinione.

La carriera e la vita di Möllemann giunsero alla fine quando fu divulgata l'affermazione che egli avrebbe finanziato il volantino attingendo a soldi di dubbia provenienza. Egli paracadutò verso la morte e mentre la versione ufficiale parla di suicidio, vi sono chi continuano a credere che Moellemann fosse assassinato che, in un certo senso, è vero.

In seguito all'affare Karsli e Möllemann, la frustrazione in Germania continuava a crescere e molti hanno la sensazione che, ancora una volta, come nell'era dei nazisti, non vi sia concesso di parlare in pubblico di fatti ovvi e palesi. Le tensioni tra opinione pubblica ed opinione privata stanno crescendo. Questo clima di censura, per molti

Per aiutarci a combattere questi pericolosissimi tabù, sviluppando approcci coraggiosi basati sull'emancipazione, sarà utile per noi analizzare le due affermazioni contestate di Karsli:

1. L'esercito di Israele impiega metodi nazisti e

2. La lobby sionista possiede un'influenza enorme.



Metodi nazisti

Vi è un forte divieto di paragonare i crimini nazisti a qualcosa che fosse differente da un'altra, reale od immaginata, aggressione contro ebrei. Un qualsiasi altro paragone viene considerato una scandalosa sdrammatizzazione del giudeocidio nazista e quindi, espressione di razzismo.

Questa attuale tabuizzazione è la versione moderna del vecchio concetto giudeocentrico di essere "prescelti": la sofferenza ebraica è speciale e non potrà mai essere paragonata con altre situazioni di sofferenza.

L'interdizione è razzista ed ostacola la conduzione di una normale analisi storica, considerando che uno dei metodi più diffusi e più importanti della ricerca consiste nel paragonare. Il confronto non dovrebbe automaticamente essere precluso come razzista. Potrebbe risultare sbagliato o corretto, ma non dovrebbe essere precluso.

Occorre prendere atto che i crimini nazisti non erano per niente unici nel loro genere, non erano crimini specifici commessi dai tedeschi quali gli eterni carnefici, o subiti dagli ebrei quali le eterne vittime. Non vi è nulla nel patrimonio genetico di "tedeschi" o di "ebrei" che li rendesse carnefici o vittime.

Ad esempio, oltre 60 anni fa, il militarismo svolgeva un ruolo centrale nella vita dei tedeschi, mentre oggi, nella società tedesca si riscontra una diffusa avversione ai conflitti militari. Viceversa, più di 100 anni fa, era abbastanza raro incontrare un militarista ebreo, ma oggi, Israele è la moderna Sparta, con una società fra le più militariste del mondo.

Nell'Israele di oggi, più che in molti altri paesi inclusa la Germania, si possono incontrare molte persone influenti che s'inquadrerebbero perfettamente nel sistema nazista, sia in termini di ideologia sia di pratica. Ciò che distingue gli israeliani nazisti, di cui alcuni sono essi stessi vittime dei nazisti tedeschi, è il desiderio che il mondo li riconosca quali i veri anti-nazisti e che riconosca loro il diritto, a causa delle sofferenza subite, di infliggere simili o dissimili sofferenze ad altri come se i torti subiti dai loro antenati li avessero resi irreprensibili.

Si è molto diffuso l'errore di identificare i crimini dei nazisti soltanto con lo sterminio industriale degli ebrei come fu praticato ad Auschwitz, sorvolando sul fatto che le azioni criminose dei nazisti furono impostate su molteplici binari e che il progetto di costruire Auschwitz fu messo a punto solo nel 1941, mentre i nazisti erano arrivati al potere nel 1933, che erano stati dei criminali sin dall'inizio e che le loro azioni non erano dirette soltanto contro gli ebrei.

Non dovremmo trascurare, sminuendola, la dinamica "ad escalazione" che aveva caratterizzato l evolversi della brutalità del regime nazista. Fino al 1938, ad esempio, i nazisti puntavano ad un esodo, per cosè dire, volontario (la deportazione in massa) degli ebrei dalla Germania ed impiegavano molto meno violenza rispetto a ciò che Israele nei giorni d'oggi sta mettendo in atto, mentre gli obiettivi da conseguire ai danni dei palestinesi sono del tutto simili. L'esercito israeliano e bande della destra radicale accelerano di continuo le loro azioni violenti, all'insegna del progetto di un'espulsione forzata simile a quello dei nazisti dopo il 1938.

Storicamente, nonostante tutte le differenze che esistono tra le due situazioni - quella della Germania nazista e quella dell'attuale Israele - vi appaiono troppe preoccupanti ed ovvie analogie strutturali. Il fatto che nell odierna Israele siano sopravvissuti alcuni tratti democratici, mentre negli anni trenta la Germania era una dittatura, non può essere di gran conforto per le vittime, per le quali il tipo di regime che le opprime e commette abusi nei loro confronti, non può avere un reale significato. In effetti, i cittadini israeliani ebrei si caricano di una responsabilità perfino maggiore di quella dei cittadini tedeschi sotto il regime nazista, proprio a causa di questi sopravvissuti tratti democratici. Gli israeliani d oggi non hanno da temere le stesse ripercussioni che i tedeschi dovevano affrontare sotto il regime nazista.

Prendendo in seria considerazione le accuse di Jamal Karsli, che i soldati israeliani avrebbero adoperato metodi nazisti marcando i prigionieri palestinesi di numeri, dobbiamo pure ammettere che le due situazioni erano caratterizzate da circostanze differenti e che per i palestinesi, il gesto in questione si presentava come un'offesa piuttosto minore e di valore innanzi tutto simbolico, se confrontata con gli altri crimini perpetrati dagli israeliani. I numeri non venivano tatuati nelle mani dei palestinesi ed i prigionieri non si trovavano (ancora) in un campo di sterminio di tipo Auschwitz. Dall'altra parte, molti palestinesi che attualmente vivono in ghetti e campi di concentramento, cosè come il ministro per l'educazione israeliano, Shulamit Aloni, hanno fatto presente che non occorre aspettare l'arrivo delle camere a gas per i palestinesi per poter fare gli opportuni confronti. Già adesso siamo testimoni di una crescente pulizia etnica dei palestinesi e non abbiamo ancora le cifre esatte dei morti per malnutrizione, per il mancato accesso alle cure mediche ecc. E non abbiamo le cifre esatte circa i palestinesi che hanno lasciato la loro patria "volontariamente".

Considero il paragone tra le atrocità naziste ed i crimini israeliani, nonostante le numerose differenze, non solo giustificato storicamente, ma innanzi tutto, lo ritengo necessario politicamente, considerando che questo è uno degli strumenti importanti per prevenire un abuso del giudeocidio nazista da parte di Israele per poter commettere abusi nei confronti dei palestinesi, espropriarli e deportarli. Il confronto è senz altro uno degli strumenti per dimostrare che Israele non ha alcun diritto morale ed in effetti, non l'ha mai avuto, di incitare sentimenti di colpa, ad esempio in Europa - sentimenti di colpa tra non ebrei, come risultato della lunga storia di persecuzioni subite dagli ebrei e che Israele ed i suoi affiliati sanno perfettamente mettere a frutto e manipolare.



Le lobby sioniste

Non vi è alcun dubbio che le lobby pro-israeliane si annoverano tra le più potenti al mondo. Una di loro, l'AIPAC, si vanta del fatto che secondo la rivista Fortune, sarebbe da anni uno dei gruppi di pressione più potenti negli Stati Uniti. Queste cose si possono leggere sul sito dell'AIPAC, senza scomodare le oscure pubblicazioni di gruppi giudeofobi.

Se vogliamo trovare la strada giusta per neutralizzare le lobby pro-sioniste, dobbiamo astenerci da volerle demonizzare. Dobbiamo comprendere bene come funzionino e quali siano i loro punti di debolezza, le zone d'attracco. La tendenza di attribuire loro qualche potere magico non pecca soltanto di razzismo, ma sarebbe foriera della propria disfatta. Sarebbe un'ulteriore giustificazione dell'impotenza di chi diffonde la demonizzazione. Non si può vincere contro un fantasma talmente onnipotente e sovrannaturale.

Uno dei punti di maggiore debolezza delle lobby pro-israeliane è che solitamente, esse sono costituite solamente da gruppi di funzionari con una base molto ristretta. Non hanno incontrato alcun opposizione efficiente perché: troppa gente, ebrei e non-ebrei, credono che Israele difenda gli interessi ebrei e che lo stato di Israele possa servire come punto di appoggio in caso di un eventuale secondo giudeocidio. Questo mito, quest illusione vanno distrutti!

E' facilmente documentabile che Israele non soltanto mette a rischio i palestinesi, ma anche gli stessi ebrei e questo non soltanto nel Medio Oriente. Occorre creare su vasta scala la consapevolezza che quest'illusione di un'assicurazione a vita per ebrei, viene pagata dalla sofferenza e con il sangue dei palestinesi e che costituisce, di per se, un pericolo per gli ebrei stessi.

Israele e le organizzazioni affiliate hanno esercitato considerevoli pressioni per promuovere la cosiddetta campagna anti-terrorista in generale ed in particolare, l'aggressione statunitense all'Iraq - attività che hanno aumentato i pericoli anziché: neutralizzarli o prevenirli.

Nel caso dell'Iraq, non vi è alcun serio indizio che il regime di Saddam Hussein fosse stato un pericolo per chicchessia, tranne per gli iracheni stessi. Israele di sicuro non era messo a rischio dall'Iraq e Saddam Hussein aveva segnalato più volte le sue intenzioni serie di arrivare ad un accordo con lo stato sionista. Secondo vari rapporti dai primi anni 90, egli era perfino disposto ad assorbire una quota dei profughi palestinesi nell'Iraq pur di contribuire a risolvere i conflitto palestinese-israeliano.

Ciò nonostante, molti sostenitori della guerra contro l'Iraq, ma anche molti oppositori erano e continuano ad essere convinti che quest aggressione fosse stata perpetrata per allontanare da Israele rischi reali.

Sicuramente vi furono interessi israeliani in questa guerra - un fatto che emerge anche nel ruolo attivo che la classe dirigente di Israele ed i suoi affiliati neocon statunitensi ebrei hanno giocato premendo per la realizzazione di questa campagna militare.

Qui si sta giocando non per una maggiore sicurezza, ma per aumentare l'instabilità e con ciò, le spese militari, quindi, per incrementare le entrate dei complessi industriali-militari (MIC) statunitense ed israeliano cui viene assegnato, ancora una volta, il ruolo di motrice delle rispettive economie. Quest alleanza malsana potrebbe un giorno finire e già adesso vi sono punti di attrito e di conflitto d'interessi tra i partner; in più, gli israeliani hanno dovuto incassare qualche dolorosa sconfitta. Ad esempio, nell'industria militare israeliana molti posti di lavori sono a rischio perché: per Israele è più vantaggioso farsi donare le armi da parte degli USA che non acquistarle in paese. L'aiuto militare che Israele riceve dagli USA è, in gran parte, una sovvenzione per l'industria militare statunitense, considerando che la maggiore quota dei soldi non può essere spesa altrove. Alcune ditte israeliane cercano di aggirare questi ostacoli formando joint-ventures con ditte statunitensi, ma ciò non garantisce per niente che la produzione resterà in Israele.

La causa principale della forte influenza delle lobby pro-israeliane sta nella saldezza dell'alleanza tra i complessi industriali-militari statunitense ed israeliano, sin dal 1967. Qualora quest'alleanza dovesse rompersi o qualora il complesso industriale-militare dovesse perdere in misura significante d' importanza politica ed economica, il pallone gonfiato e denominato la potente lobby ebraica, verrà giù, sgonfiandosi completamente - e ciò non soltanto negli USA.




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