Alterazioni del paesaggio

seconda parte
 

di Walter Catalano
pubblicato qui agosto 2005



Pronto a riattivare la sua falcata da fondista Remo Ippoliti si lasciò la ragazza alle spalle inoltrandosi nel viale alberato. Prima si voltò però ancora una volta.

"Mi tolga una curiosità. Non ha avuto problemi alle frontiere ?"

"Non più di altri. Ho anch'io i miei appoggi."

"Se li tenga cari e non si faccia sbattere fuori da Israele fino a stasera !"

Si scambiarono un ultimo cenno con la mano.

"Israele, dice lui. Io la chiamo Palestina" - mormorò Flavia arricciando graziosamente il naso mentre osservava la figura ancora atletica di Remo perdersi in lontananza.

Ismar Evron sussultò, spalancò gli occhi, annaspò nel buio ansimando. Aveva sognato di nuovo la piscina di Mamilla.

O meglio, aveva sognato il parcheggio sotterraneo che ormai ricopriva da anni le vestigia dell'antica cappella bizantina, i suoi mosaici e l'ossario ricavato in una cisterna scavata - diceva la leggenda non confermata dagli archeologi - da Ponzio Pilato. La storia che gli avevano raccontato era questa: nel 614 d.C. gli ebrei di Palestina alleati ai babilonesi avevano aiutato i persiani a conquistare la Terra Santa. Dopo la vittoria sui Bizantini, la facoltosa comunità ebraica aveva riscattato a caro prezzo dalle mani dei soldati persiani i prigionieri cristiani per il gusto di poterli massacrare nella piscina di Mamilla. Ne avevano uccisi più di 60.000 prima che l'esercito persiano intervenisse a fermarli.

Ismar Evron si ricordava di aver visto centinaia e centinaia di teschi e scheletri quando ci avevano spianato sopra il cemento: aveva visitato diversi operai vittime di incidenti là dentro a causa della distrazione o di un collasso nervoso. Gli archeologi storcevano la bocca ma alla fine tutti acconsentirono a edificare sulle ossa dei goim.

Cancellare la memoria di Amalek. "Quando dunque il Signore tuo Dio ti avrà assicurato tranquillità, liberandoti da tutti i tuoi nemici all'intorno nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti in eredità, cancellerai la memoria di Amalek sotto al cielo: non dimenticare" (Deuteronomio 25:17). Curioso precetto: non dimenticare di impedire ad altri il ricordo. Curioso precetto poi proprio da parte di chi ha imposto all'Occidente l'obbligo perenne della memoria. Non tutti i ricordi hanno gli stessi diritti, è evidente. Ne conveniva anche Ismar Evron che pure aveva contribuito a suo modo a cancellare la memoria di Amalek e forse aveva fatto anche di peggio. Ma i figli di Amalek, i figli di Ismaele, i figli dei goim morti, i loro fantasmi - talvolta insieme a quelli dei suoi nonni, mai conosciuti, assassinati a Sobibor - lo visitavano frequentemente la notte porgendogli, con movimenti lenti e ieratici, incomprensibili messaggi .

Il sogno iniziava sempre nel parcheggio sotterraneo: non si vedeva che cemento, niente di macabro all'inizio, solo cemento. Ma quel cemento, che lui sapeva impastato con ossa e crani invisibili, rendeva già l'atmosfera intollerabile: talvolta si udivano grida lontane, talvolta un silenzio peggiore delle grida. Talvolta c'erano auto solitarie parcheggiate in lunghe file, talvolta figure remote ma riconoscibili si muovevano circospette dentro le automobili boccheggiando dietro ai vetri come pallidi anfibi di grotta. Di solito a questo punto si svegliava urlando.

Ma non di rado si aggiungevano lunghe sequenze al rallentatore: in fondo ad un corridoio tortuoso si apriva uno slargo che dava accesso ad una piattaforma di cemento; obliqua sulla piattaforma, sotto una cataratta fosforescente spalancata su un cielo gelido e vuoto, svettava un'astronave minacciosa e immensa; file interminabili di profughi palestinesi venivano scaricati da grandi camion, gli stessi che avrebbe controllato e scortato ogni settimana sulla via del Sinai: i soldati li spintonavano con i mitra puntati verso la piattaforma cromata che conduceva alle fauci spalancate dell'ampio portale dell'astronave. I palestinesi avevano tutti qualcosa appuntato al braccio, qualcosa che ricordava la stella gialla con cui i nazisti avevano marchiato gli ebrei: però questa non era una stella gialla ma una swastika. Un cartello stradale, posto di sbieco su un angolo, puntava verso l'interno del razzo indicando la destinazione di arrivo: Sheol. Lo Sheol era l'immondezzaio di Gerusalemme e la parte più tenebrosa della Gehenna, l'Ade ebraico, riservata ai dannati.

Ismar Evron restò a fissare il buio e a ricordare a lungo, aspettando che i brividi cessassero e il battito cardiaco tornasse normale. Poi si alzò dal letto tossendo e maledicendo il barbeque (rigorosamente kasher) che sarebbe stato sontuosamente offerto tra due sere dalla filiale gerosolimitana della A-Shem Corporate per festeggiare la liberazione definitiva di Gerusalemme. Avrebbe mangiato e bevuto smodatamente, già lo sapeva, e sarebbe tornato a casa col mal di fegato. Gli incubi e il mal di fegato accompagnavano quei giorni di collera, paura e gelosia.

Bevve un sorso d'acqua mugugnando, ripensando alla moglie scappata - ormai era definitivo - a Tel Aviv, per tornarsene poi nella nativa Ucraina: l'immagine di lei gli saettò per un attimo di fronte, il colore viola del suo sguardo severo e della sua valigia. "Fegato" - si sentì bisbigliare - "kavod , vuol dire anche pesantezza, gravità, abbondanza, potenza: la somma gematrica delle lettere ha valore 20+2+4=26. Il numero sacro di JHVH: A-Shem , il Nome, il Signore. Ancora lui."

La voce gutturale di un muezzin ruppe il silenzio chiamando i fedeli alla preghiera mattutina. Ismar ascoltò incuriosito: ogni manifestazione di fede islamica era ormai proibita a Gerusalemme, ma con dischi e altoparlanti i palestinesi avevano infranto per mesi, quasi quotidianamente, il divieto a prezzo di gravi rischi. Ormai, secondo le autorità, non avrebbero dovuto essercene più; ma qualcuno evidentemente si era saputo nascondere bene. Quasi a confermare il suo pensiero una vibrazione sussultoria percorse l'edificio, come un improvviso trasalimento, facendo crollare al suolo la cornice con la foto dei figli che stava da anni in bella mostra sul comodino. Un drone aveva appena colpito il suo bersaglio a pochi isolati di distanza. Il muezzin ora taceva. Raccogliendo da terra i frammenti di vetro Ismar si impose la calma.

"Dunque è la A-Shem Corporate che paga" - disse Flavia Berti inghiottendo lo stupore con una generosa sorsata di vino rosso. - "Come può pensare che una ONG possa svolgere liberamente il suo compito se è sovvenzionata dalle stesse multinazionali che in teoria dovrebbe contrastare ?"

"Cara ragazza"- il piede di Remo Ippoliti sotto il tavolo si fece audacemente strada verso quello di Flavia, andando ad incontrare però solo il suo mocassino: la ragazza si era tolta infatti le scarpe ripiegando le gambe sotto la sedia - "non faccia l'ingenua. Le ONG hanno sempre fatto quello che potevano all'interno del sistema che le ha partorite. Non si è mai trattato di contrastare alcunchè: al massimo di mitigare. Tutto qui. E lei lo sa benissimo."

"E a lei questo basta ?" - Flavia inchiodò con la pupilla il grigio negli occhi di Remo.

"Lo sa che è proprio un bel tipo lei ? - sembrava sbellicarsi dal ridere - Non credevo che ce ne fossero più così. Davvero. Da un lato mi fa piacere che la specie non sia estinta. Dall'altro ho sempre temuto i rompicoglioni anche se sono simpatici."

Il cameriere li interruppe portando via i piatti. Il ristorante era quasi lussuoso, rinomato per le specialità ebraiche. Dalla terrazza si aveva un'ottima vista sul quartiere greco e oltre si intravedeva la cupola della moschea di Omar intorno alla quale, nel loro volo silenzioso e micidiale, incrociavano tre droni. Un quartiere relativamente tranquillo e ormai ripulito: ci si poteva risiedere senza grossi rischi.

Flavia riprese il discorso accentuando l'increspatura di disgusto sulle labbra sottili. "Insomma il nostro compito sarebbe quello di consolare i palestinesi deportati da Gerusalemme…"

"…In transito. I profughi in transito."

"Già. In transito. Noi dobbiamo facilitare il transito. Renderlo scorrevole. Smussare gli spigoli e calmare gli animi evitando, tra l'altro, che elementi estremisti compiano azioni irreparabili rovinando le infrastrutture messe generosamente a disposizione dalla A-Shem Corporate. Insomma le forze speciali della Sayeret Mat'Kal li fanno marciare con gli schiaffi, noi con le carezze. L'importante è che marcino comunque."

"Marciare e non marcire, diceva il Vate. Comunque è una visione piuttosto semplicistica la sua." "Le cose semplici sono le meno lontane dalla verità."

"E qual è la verità ? Diceva Pilato…"

"Non faccia l'idiota."

Accompagnando il gesto con un sorrisetto rabbioso di intesa Remo, abbandonata l'infruttuosa manovra di agganciamento pedestre, passò all'azione diretta andando ad appoggiare senza complimenti la mano sulla coscia di Flavia. La ragazza represse la voglia irrefrenabile di allungargli un destro ai coglioni.

Conveniva aspettare. Restò immobile.

"Parliamo di questo transito, allora."

"Se non ha argomenti più interessanti". La mano di Remo non si mosse.

"Dove finisce questo transito ?"

"Nel Sinai, lo sa benissimo."

"Questo lo dicono i giornali."

"Nel Sinai. Centri di raccolta e accoglienza gestiti dagli Egiziani"

"Gli Egiziani non esistono più"

"Non dica sciocchezze"

"Perché non si possono visitare ?"

"Chi l'ha detto ? Io li ho visitati. Le fotografie di Spiegelmann sono state pubblicate su tutti i giornali"

"Spiegelmann è un agente del Mossad "

"Certo, anch'io sono un agente del Mossad. Se indaghiamo per bene magari salta fuori che anche lei è un agente del Mossad"

"Li ha visitati davvero ?"

Remo ritirò la mano.

"Ne ho visitato uno. Un centro di smistamento. Tutto regolare, pulito. Niente a che vedere con i campi profughi"

"Che sta succedendo veramente ?"

"Vogliono chiudere la questione. Definitivamente".

"La soluzione finale del problema palestinese."

"Scherza o dice sul serio ?"

"L'ha detto lei. Io ho usato solo un'espressione diversa."

"Non era l'espressione adatta".

"Hanno evacuato Gaza e il West Bank. Hanno rastrellato il Golan e la Transgiordania. Ora svuotano Gerusalemme…"

"Possono farlo. Hanno la forza militare, hanno gli appoggi internazionali. Israele ormai è a tutti gli effetti membro della Comunità Europea e governa di fatto Libano, Siria e Giordania. La Russia non avrà mai niente da ridire finchè le viene lasciata la sua quota maggioritaria nella cogestione euro-americana dei pozzi petroliferi iraniani. Gli Usa hanno l'Iraq, l'Egitto e l'Arabia Saudita. E tutti sono contenti. Chi dovrebbe sollevare obiezioni ? Dopo la morte di Arafat poi i suoi amici non ne hanno imbroccata una giusta. L'ipotesi dei due stati non era più sostenibile."

"Quindi il Sinai. Il deserto."

"Per il momento questa è la soluzione."

"La soluzione finale."

"La smetta. Quello che dice è reato. Lo sa ? Possono arrestarla, estradarla in Israele e processarla per aver detto molto meno di quello cui sta alludendo."

"Sono già in Israele."

"Mi chiedo se è bene che ci resti ancora molto."

"Dipende da lei."

"Come ?" - la faccia di Ippoliti si immobilizzò in un'espressione stupita, quasi comica. Flavia sorrise, vide la smorfia di un clown a cui fosse scivolato via il naso finto.

"Dipende da lei. Farò parte di una delle colonne di profughi dirette verso il Sinai"

"Impossibile. Siamo in pochissimi ad avere i permessi."

"Lei ed i suoi collaboratori più stretti li avete. La hanno persino invitata al party della A-Shem Corporate, domani sera…sono pochi i goim che hanno avuto questo onore."

"Brava. Sa tutto lei vero ? No, non se ne parla. Potrebbe essere pericoloso."

"Pericoloso per chi ? La aiuterò a facilitare il transito. Nient'altro, lo prometto. E' questo il nostro compito, l'ha detto lei. Chiedo solo di fare il mio dovere" - Flavia sorrise ancora. Ippoliti notò che quando sorrideva le si formavano due fossette molto carine ai lati del mento. Il naso si riappiccicò come per miracolo alla faccia da clown e non era una faccia allegra.

"Perché vuole venire ?"

"Voglio vedere. Sono un tipo curioso. Le do la mia parola d'onore che guarderò soltanto."

"Embedded" - Bofonchiò Ippoliti annuendo. La sua mano le accarezzò la coscia e poi si posò con delicatezza su quella della ragazza stringendole leggermente le falangi, quasi si complimentasse. Flavia tacque ricambiando la stretta.

"Embedded. E' un letto accogliente, vedrà."


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