Il popolo che siede nelle tenebre
 

di Sandro Portelli

Tratto da Il Manifesto del 25.05.04.



All'inizio del ventesimo secolo, Mark Twain ironizzava sui missionari e i civilizzatori occidentali che andavano a portare la luce alle «persone che siedono nelle tenebre».

«Il reverendo signor Ament, del Comitato Americano delle Missioni all'Estero», scriveva, aveva imposto un indennizzo per i danni provocati dalla ribellione dei Boxer, della misura di trecento monete d'argento per ogni cristiano ucciso, più un'ammenda pari a tredici volte il valore delle proprietà cristiane danneggiate. «Questo denaro sarà usato per la divulgazione del Vangelo». Il reverendo protestante Ament era stato misericordioso: i cattolici infatti, avevano preteso anche un risarcimento «testa per testa».

Concludeva Mark Twain:

«Il popolo che siede nelle tenebre si fa ritroso. Ha iniziato ad allarmarsi. E' diventato sospettoso nei confronti delle benedizioni della civiltà. Peggio ancora: ha iniziato ad esaminarle».
E si è accorto che dentro
«la confezione gradevole e attraente che esibisce le offerte della nostra civiltà... si trova l'oggetto reale che il cliente che siede nelle tenebre acquista con il sangue, le lacrime, la terra e la libertà».
All'inizio del ventunesimo secolo, recensendo un libro di Avishai Margalit e Ian Buruma, Occidentalism (Penguin Press), Sandro Viola scrive:
«Le idee dello sceicco [Osama Bin Laden] e della galassia terrorista che vi si ispira, il linguaggio che esprime la loro avversione per le società occidentali, non sono nati nel mondo islamico. Certo, oggi tendiamo a credere che quelle idee e quel linguaggio siano scaturiti dall'arab rage, la rabbia araba: ma la verità è che essi sono un prodotto dell'Occidente».
La tesi che Viola attribuisce al libro è infatti che
«questi discorsi su un Occidente degenerato e blasfemo, in mano a capitalisti avidi e corrotti, dedito allo sfruttamento dei più deboli» sono tutti nati nell'Occiudente stesso. «Bin Laden è arrivato per ultimo»:gli abbiamo insegnato tutto noi («Perché bin Laden è figlio nostro», La Repubblica, giovedì 20 maggio).
In altre parole: la tesi è che le persone che siedono nelle tenebre, gli arabi, e i popoli del Terzo Mondo in genere, sono talmente stupidi che non sono capaci neanche di pensare da sé gli argomenti per criticarci. Le idee, quelle cattive come quelle buone, possono provenire da un solo luogo: l'Occidente. Se c'è gente in Pakistan o in Vietnam o in America Latina che non ama noi occidentali, non è per come ci siamo comportati nei loro paesi, ma perché hanno letto Heidegger che parlava «dell'Amerikanismus come di una tabe che corrode l'anima europea».





Risciò del Bangladesh decorato con l'immagine di Saddam Hussein, 1992

Se Mark Twain non avesse scritto quel maledetto pamphlet intitolato «Il soliloquio di re Leopoldo», i congolesi non si sarebbero mai accorti delle stragi, rapine e torture inflitte al loro paese da quell'occidentale che se ne era proclamato proprietario in nome del mercato e della razza bianca. In The History of Bombing, Sven Lindqvist descrive le stragi di migliaia di iracheni compiute dagli inglesi all'inizio degli anni '20; se non fosse per lui, immagino che il popolo iracheno non si sarebbe accorto di niente e sarebbe ancora pieno di gratitudine.

Nella recensione della Repubblica, non c'è spazio neanche per domandarsi se queste critiche occidentali all'Occidente fossero sempre frutto di puro autolesionismo o se qualche volta potessero avere qualche fondamento. Anzi, secondo Viola, gli autori del libro sostengono che se certi argomenti diffusi da quelle parti coincidono con certe argomentazioni diffuse in Occidente, questo non significa che ci possa essere qualcosa di fondato (magari non in bin Laden, ma forse nella arab rage e nella storia dei movimenti anticoloniali); è invece ulteriore dimostrazione della dipendenza dei colonizzati dal pensiero dei colonizzatori. Da questo ragionamento derivano allora due preoccupanti corollari, certo non desiderati dal giornalista e dal suo giornale ma inevitabili.

Corollario etnocentrico: non esiste intelligenza fuori dell'Occidente; ogni pensiero ha origine in Occidente, compreso quello antioccidentale. Da questo monopolio del pensiero deriva allora un'implicita legittimazione, se non di un nuovo colonialismo, almeno di un disegno egemonico dell'Occidente, di cui infatti già si vedono i segni. Poi ce la prendiamo con Berlusconi quando dice che la cultura occidentale è superiore.

Corollario repressivo: chi, in Occidente, esprime un pensiero critico nei confronti del «liberal capitalismo» fornisce ai terroristi le idee e gli argomenti, quindi è corresponsabile («oggettivamente complice»?) del terrorismo, quindi andrebbe ristretto se non represso. Anche di questo non mancano i segni.

Sandro Viola conclude stigmatizzando «l'assurdità delle ideologie (dei rottami ideologici) che imputano alle società liberal capitaliste tutti i mali del mondo». Ha perfettamente ragione, ma ciurla nel manico. Infatti, è vero che imputare al liberal-capitalismo tutti i mali del mondo è assurdo (come lo sarebbe imputare tutti i mali del mondo al fondamentalismo islamico: non è colpa di Khomeini se si stanno sciogliendo i ghiacci del Polo, così come non è colpa di Voltaire se in Kuwait e in Arabia Saudita non c'è la democrazia).

Ma con questo piccolo trucco retorico Sandro Viola finisce per chiudere la bocca a chi ritiene che, così come il fondamentalismo, anche il «liberal-capitalismo» sia e sia stato responsabile almeno di alcuni dei mali del mondo. Se penso che il «liberal-capitalismo» e l'Occidente sono stati responsabili dei massacri e delle rapine del colonialismo, nel genocidio degli indiani d'America, di un paio di guerre mondiali, di gran parte del danno ambientale, che faccio - devo stare zitto perché il nemico mi ascolta?

Secondo Magalit e Buruma, dice Viola, il terrorismo è il risultato di «due secoli di autodenigrazione» occidentale. A me però sembra che non siano mancati negli ultimi due secoli, anche peana alle glorie e alle sorti progressive del «liberal capitalismo» - alcuni sacrosanti, altri fallaci, ma comunque molto diffusi. Anzi, direi che questi peana sono diventati più frequenti e più striduli da una decina d'anni, proprio quelli in cui è cresciuto il terrorismo. Allora, se le «persone che siedono nelle tenebre» non hanno ascoltato solo i peana ma anche le critiche, può darsi che sia per loro intrinseca perversione; ma può darsi anche che sia perché almeno certe critiche trovavano qualche riscontro nella loro esperienza. Anche le persone che siedono nelle tenebre, nel loro piccolo, si incazzano.

E infine: ma ci avete fatto caso a che vuole dire «denigrazione»?


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