Don Gianni Baget Bozzo, l'Americano
 



Le premesse da cui parte questa critica - scritta da Don Ennio Innocenti - a quella che abbiamo chiamato la "Teologia di sangue e soldi" di Don Gianni Baget Bozzo non sono le mie.

Però sono le premesse, cattoliche, di Baget Bozzo stesso. È proprio questo che rende estremamente interessante questo articolo, che chiede, in sostanza, se non sia idolatria identificare la volontà di Dio con l'Impero statunitense.

Su un tema simile - e con una simile impostazione - si veda anche l'articolo di Luigi Copertino sulla deriva neoconservatrice della destra cattolica.

Miguel Martinez






di don Ennio Innocenti

Gianni Baget Bozzo è un intellettuale di prima fila. Adesso don Gianni ha affidato al lancio di Mondadori uno strano libro che vorrebbe coniugare teologia e politologia, al fine di presentare la bandiera statunitense come rappresentativa della cristianità, il titolo "Io credo" si carica, così, di due significati: uno è l'assenso di fede cattolica suggerito dallo Spirito Santo, l'altro è l'opinione di uno sciolto mattatore. Il libro, infatti, è diviso in due parti: nella prima si espone un commento alla formulazione niceno-costantinopolitana della professione di fede (il Credo della Messa), nella seconda si usa l'espediente della "lettera aperta" (rivolta a un vescovo peraltro ignoto), per avanzare critiche alla politica della Santa Sede, rea di non essersi recentemente allineata in più occasioni con la politica statunitense (sposata senza riserve da don Gianni).

Intanto il tempismo ha causato all'autore, supponiamo, il dispiacere di vedere il libro mondadoriano infarcito di mende (perfino grammaticali, tanto che mi è sorta l'ipotesi che l'autore abbia dettato al registratore e non abbia poi corretto le bozze). Qualcuno avrà avuto il sospetto che le due parti del libro siano state messe insieme per vendere meglio la "lettera al vescovo" (che da sola sarebbe scivolata senza essere pesata), ma io ritengo che esse siano funzionali (e non solo per accreditare meglio l'ortodossia che ispira il politologo).

Così, vediamo che, nel bel mezzo del commento teologico sulle formule escatologiche del Credo della Messa, don Gianni prospetta (p. 105) una speciale fase (che'egli definisce decisiva) dell'apocalisse novecentesca, segnata dal combattimento tra Cristo e i poteri totalitari: questa volta l'Avversario, il Satana, essendo la religione totalitaria islamica (incapace di assicurare il progresso civile e tecnologico realizzato nel mondo cristiano). Don Gianni sostiene (p. 106) che la conclusione gloriosa della storia è "l'essenza dell'occidente, della civiltà nata dal Cristianesimo", la quale sarebbe inesplicabile senza questo miraggio. L'identificazione del concetto di occidente con quello di civiltà cristiana non l'imbarazza:

"L'occidente ha perduto la fede ma non la sapienza e la speranza della fede... le radici cristiane dell'occidente appaiono proprio quando esse non sono più riconosciute" (p. 107).
Tale è il ponte che lega la prima con la seconda parte del libro; in quest'ultima il concetto di occidente viene precisato come oppositore del mondo antitotalitario e quindi lo strumento cristiano (di Cristo) contro il Satana:
"L'occidente, il concetto nato nella lotta contro il nazismo e il comunismo... è la versione laica e liberale della Cristianità soprattutto grazie agli Stati Uniti... opponendosi agli Stati Uniti a tutti i livelli la Chiesa lotta contro la Cristianità di cui l'occidente è il frutto" (p. 144).
Infatti "l'opposizione al concetto stesso di occidente è vivo nella cultura cattolica" (p. 135).

Come si vede la connessione tra le due parti c'è ed è essenziale. Prescindiamo, per adesso, dalla debolezza del fraseggio riportato, perché c'interessa di più esporre le ragioni della nostra perplessità circa due argomentazioni (la prima più teologica, la seconda più politologica) dell'autore. Siamo rimasti anzitutto inquietati dall'evidente insistenza con cui l'autore nella prima parte ribadisce la formula "coincidenza degli opposti" (cfr. p. 9, 72, 85, 90, 95, 98, 103, 104, 109); abbiamo tirato un sospiro di sollievo soltanto alla fine (p. 123), quando abbiamo letto:

"La fine è un ordine diverso da quello creaturale... La coincidenza dei contrari è sostituita dalla loro perfetta unione nella Unità dell'Essenza Divina"
.

Il lettore deve sapere che la formula sopra citata non è del tutto innocente: cara al cabalista Reuchlin, ancor più cara allo gnostico Böhme, era amata da quella buona lana di Giordano Bruno, e fu ripresa gnosticamente da Schelling. È vero che la formula fu preferita anche dal Cusano (solo dopo il suo viaggio in Oriente!), ma anche quest'autore marcia sul filo del rasoio [1].

Purtroppo nelle pagine di Baget Bozzo si legge anche qualcos'altro di inquietante, quando egli tratta del rapporto tra Dio e il nulla. Sia chiaro: l'autore rifiuta di considerare il nulla come una dimensione intrinseca a Dio, però dice che l'amore di Dio ha avuto come oggetto il nulla (p. 79), Dio ha amato il nulla, Dio ama qualcosa che non è in quanto non è, ama ciò che non è come se fosse... Questo, francamente, non è tranquillizzante, specialmente quando egli ne fa discendere la seguente conclusione: "Dio poteva assumere in Sé incarnandosi il suo puro contrario, il Nulla" (p. 97). Siamo sul filo dell'equivoco più che del paradosso. Come quando egli rifiuta che Dio sia "creatore solo del bene" (p. 51), perché altrimenti, egli dice, "il male fisico, morale, spirituale, così centrale nella tradizione cristiana, viene espunto dalla teologia e dalla pietà". Dunque: bisognerebbe dire che Dio sia creatore anche del male? Ma allora non proverrebbe proprio da Dio il male? Lo dicono certi gnostici e Baget Bozzo è temerario quando cita con ammirazione Margherita Poreta (p. 104), nota beghina, bruciata sul rogo nel 1310, di inequivocabile stampo gnostico.

Come si vede, don Gianni non si accredita - nella prima parte del suo libro - come teologo del tutto affidabile. Ma è forse in questo libro più affidabile come politologo? Certo egli è preciso e puntuale quando spiega - in fatto e in diritto - l'inadeguatezza dell'ONU a garantire la pace e, quindi, la verificata necessità di intervento armato al di fuori del quadro legittimante dell'ONU. Anche quando egli spiega, in linea di fatto e in linea di principio, la necessità di disporre della minaccia di esercitare un intervento armato preventivo (che in effetti potrebbe essere realmente difensivo), ha ragione.

Ma tutta questa costruzione apologetica a favore degli USA cade nel caso dell'Iraq, frantumata dalla essenziale condizione ch'egli stesso esplicitamente pone:

"Evidentemente occorre che ci sia un vero pericolo mondiale causato da uno Stato" (p. 131).
Ora ciò che era evidente prima dell'intervento USA in Iraq era questo: gli osservatori dell'ONU, indagando con piena libertà, avevano dichiarato l'inadeguatezza di tale pericolo mondiale e avevano ottenuto prove incontestabili di buona volontà di collaborazione da parte dell'Iraq con la società degli Stati. Lo sforzo della Santa Sede era tutto diretto a valorizzare questo possibile spazio di collaborazione, che dagli USA non è stato concesso. Dopo l'intervento fu subito chiara la verifica che lo strombazzato pericolo era inesistente e "l'esagerazione" è stata ufficialmente ammessa.

Ma don Baget Bozzo non si è limitato ad un'imprudente applicazione di pur giusti principi. Egli si è esposto in una critica alla Santa Sede che non pare affatto sufficientemente fondata. Secondo lui la Santa Sede, con i suoi interventi antibellicisti, avrebbe superato i giusti limiti d'intervento segnati dalla dottrina tradizionale, riformulata da Bellarmino, e avrebbe deciso un'indebita e pregiudizievole intrusione nella sfera di competenza dello Stato. Qui non ci sentiamo di dargli ragione, c'è un documento dogmatico, che è miglior testo delle formulazioni giuridiche di questo o quel dottore: il documento occupa lo spazio di una pagina, ma il principio dogmatico che afferma è costituito da una sola riga; eccola: ogni azione umana è soggetta al giudizio del Pontefice ratione peccati, ossia sotto il profilo morale: è l'Unam Sanctam di Bonifacio VIII.

È proprio il caso di ripetere "verbum Dei non est alligatum": non c'è barba di giurista, anche se teologo, che possa interdire al Pontefice di esprimere il suo giudizio su qualsivoglia azione umana, sotto il profilo morale. Il suo giudizio potrà essere più o meno vincolante per i cattolici, ma il Pontefice può sentirsi, comunque, in dovere di manifestarlo e nessuna autorità politica può presumere un'assoluta immunità nei confronti della libertà pontificia.

Nel caso dell'Iraq, poi, il giudizio pontificio, espresso con circospetta cautela, si è dimostrato, col senno di poi, del tutto ben fondato, sicché appaiono ingiuste le insinuazioni di "tradimento della Cristianità" (a favore dei musulmani) azzardate da Baget Bozzo.

Tuttavia, non è questo il difetto maggiore del politologo Baget Bozzo. Egli va proprio fuori strada quando fa l'apologia storica degli USA, esaltando - soprattutto - un concetto di libertà "liberale" e non cattolico. Secondo il nostro autore gli USA (pp. 137-138) sono il centro della Cristianità e "l'Europa ha ricevuto dagli Stati Uniti nella libertà l'impronta della Cristianità". L'Europa, nella sua visione, sarebbe stata succube dei totalitarismi, la Chiesa sarebbe stata incline al compromesso con questi; il ritorno della libertà viene dagli USA, un "ritorno avvenuto non in dimensione laicista, come nel nazionalismo liberale, ma come principio universale".

Naturalmente Baget Bozzo sa benissimo che gli USA sono una fondazione statuale massonica che, per prima, abolì nella propria costituzione ogni riferimento al cristianesimo; ammette che essi rappresentano la "versione liberale" della cristianità; ma è proprio sul concetto di libertà che egli basa la sua equivalenza tra Cristianità e USA. Anche dove l'influsso culturale della Chiesa è emarginato, domina l'idea della libertà della persona: questa è l'impronta del cristianesimo, dice Baget Bozzo. Egli, qui, non si domanda se l'idea originaria cristiana sia stata stravolta dal liberalismo. Anzi, procede in modo vizioso.

Il suo primo argomento è fideistico.

"Il primato della libertà personale - scrive don Gianni riferendosi all'ordinamento sociale - indica la trascendenza della persona sulla società... questa idea è un'eredità cristiana: è la vita divina comunicata alla persona dal Verbo Incarnato, Gesù Cristo: ogni persona è divenuta un fine rispetto alla società in ragione del primato di Gesù Cristo come persona che vive nelle altre persone" (p. 136).
Tale argomento fideistico è completamente estraneo non solo ai "padri fondatori" degli USA (tutti massoni), ma anche ai maestri statunitensi che hanno forgiato la teologia protestante, in USA, tutti essendo succubi del soggettivismo immanentistico europeo [2], tutti essendo negatori del dogma cristologico calcedonense [3].

Massoneria e protestantesimo americani sono perfettamente solidali nel negare la divinità di Gesù Cristo (e anche la stessa trascendenza di Dio libero creatore). Pertanto, tale argomento (essendo irricevibile dalla cultura che ha posto i fondamenti ideali degli USA) è del tutto impertinente. Ma tra le righe di Baget Bozzo si dà per scontato un altro argomento: che l'esaltazione americana della libertà personale sia coincidente con l'insegnamento della Chiesa Cattolica. Eppure Baget Bozzo sa che il concetto cattolico di libertà è radicato nel potere di riconoscere la verità, l'ordine obiettivo del bene; sa, altresì, che il concetto cattolico di persona è fondato su un'antropologia metafisica che ha un equilibrio delicato (corrispondente all'equilibrio altrettanto delicato dell'antropologia teologica e del rapporto grazia/natura). Come può dunque asserire (p. 137) che la libertà "è valore superiore a ogni confessione"? Come può asserire (p. 141) che "l'individuo e la sua dimensione concreta è ciò che la Chiesa Cattolica, nel suo linguaggio, definisce persona"?

Non è l'unica sbalorditiva "semplificazione" che Baget Bozzo esprime in queste pagine, ma essa è troppo scopertamente funzionale all'avallo della "versione liberale" della cristianità. Avendo insegnato dottrina sociale per 14 anni, so bene quello che dico: il liberalismo è il principale avversario della dottrina sociale della Chiesa, mentre il socialismo (nelle sue varie versioni) è solo una reazione sbagliata a quell'erronea sua matrice, originata dal rifiuto della metafisica cristiana e dalla folle soggettivistica esaltazione d'una irresponsabile libertà, donde l'individualismo es lege (coerentemente anarchico).

Concludiamo, invitando il lettore a ripensare criticamente la storia degli USA [4], delle sue decine e decine di guerre aggressive e prevaricatrici, del suo disegno geopolitico, palese fin dai tempi della guerra dell'oppio, del suo liberalismo economicistico che induce una mentalità nettamente materialistica e corruttrice nelle popolazioni, delle corrotte oligarchie che orchestrano la sua falsa e astensionista democrazia, del perdurante spettacolo di disuguaglianza e di avvilimento che offre la sua società, del continuato sfruttamento mondiale operato dall'imperialismo del dollaro5: basterà questo ripensamento per dubitare seriamente dell'avallo che Baget Bozzo vorrebbe dare al supposto cristianesimo della dirigenza USA.

1 Per una inquadratura generale cfr. E. INNOCENTI, "La Gnosi Spuria", Roma 2003;

2 Sull'evoluzione immanentistica della teologia protestante dopo la Riforma Luterana, cfr. B. GHERARDINI, "Theologia Crucis", Roma 1978;

3 Cfr. L. GIUSSANI, "Teologia Protestante Americana", Genova 2003;

4 Questa triste storia è ormai al capolinea: cfr. C. JOHNSON, "Gli ultimi giorni dell'impero americano", Garzanti, Milano 2001;

5 Per questi ultimi aspetti cfr. E. TODD, "Dopo l'impero. La dissoluzione del sistema americano", Tropea, Milano 2003; H. ZINN, "Disobbedienza e democrazia. Lo spirito della ribellione", Il Saggiatore, Milano 2003; S.J. PHARR E R. PUTNAM, "Disaffected Democracies", Princeton University Press, 2000.

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