Elogio dell'antiamericanismo

Terza parte



3. Lo Stato razziale tra Stati Uniti e Germania

E' un modello che lascia traccia profonde anche a livello categoriale e linguistico. Il termine Untermensch , che un ruolo così centrale e così nefasto svolge nella teoria e nella pratica del Terzo Reich, non è altro che la traduzione di Under Man .

Lo riconosce Rosenberg, il quale esprime la sua ammirazione per l'autore statunitense Lothrop Stoddard: a lui spetta il merito di aver per primo coniato il termine in questione, che campeggia come sottotitolo ( The Menace of the Under Man ) di un libro pubblicato a New York nel 1922 e della sua versione tedesca ( Die Drohung des Untermenschen ) apparsa tre anni dopo. Per quanto riguarda il suo significato, Stoddard chiarisce che esso sta ad indicare la massa di «selvaggi e barbari», «essenzialmente incapaci di civiltà e suoi nemici incorreggibili», coi quali bisogna procedere ad una radicale resa dei conti, se si vuole sventare il pericolo che incombe di crollo della civiltà.

Elogiato, prima ancora che da Rosenberg, già da due presidenti statunitensi (Harding e Hoover), l'autore americano è successivamente ricevuto con tutti gli onori a Berlino, dove incontra non solo gli esponenti più illustri dell'eugenetica nazista, ma anche i più alti gerarchi del regime compreso Adolf Hitler , ormai lanciato nella sua campagna di decimazione e schiavizzazione degli Untermenschen , ovvero degli «indigeni» dell'Europa orientale. Negli Stati Uniti della white supremacy così come nella Germania in cui prende sempre più piede il movimento sfociato poi nel nazismo, il programma di ristabilimento delle gerarchie razziali si salda strettamente col progetto eugenetico.

Si tratta in primo luogo di incoraggiare la procreazione dei migliori, in modo da sventare il pericolo di «suicidio razziale» ( Rasseselbstmord ) che incombe sui bianchi: a suonare l'allarme è, nel 1918, Oswald Spengler, il quale però, a tale proposito, si richiama all'insegnamento di Theodore Roosevelt (Spengler 1980, 683). E, in effetti, nello statista americano, l'evocazione dello spettro del «suicidio razziale» ( race suicide ) ovvero della «umiliazione razziale» ( race humiliation ) va di pari passo con la denuncia della «diminuzione delle nascite tra le razze superiori», ovvero «nell'ambito dell'antico ceppo dei nativi americani»: ovviamente, il riferimento è qui non ai «selvaggi» pellerossa ma ai Wasp (cfr. Roosevelt 1951, I, 487 nota 4, 647, 1113; Roosevelt 1951, II, 1053).

Si tratta, altresì, di scavare un abisso incolmabile tra razza dei servi e razza dei signori, depurando quest'ultima degli elementi di scarto e mettendola in condizione di affrontare e stroncare la rivolta servile che, sull'onda della rivoluzione bolscevica, si sta delineando a livello planetario. Anche in questo caso, una ricerca storica spregiudicata conduce a risultati sorprendenti. Erbgesundheitslehre ovvero Rassenhygiene , un'altra parola-chiave dell'ideologia nazista, non è altro, in ultima analisi, che la traduzione tedesca di eugenics , la nuova scienza inventata in Inghilterra nella seconda metà dell'Ottocento da Francis Galton e che, non a caso, conosce i suoi massimi trionfi negli Stati Uniti: qui è più che mai acuto il problema del rapporto tra le «tre razze» e tra «nativi» da un lato e massa crescente di immigrati poveri dall'altro. Ben prima dell'avvento di Hitler al potere, alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, vede la luce a Monaco un libro che, già nel titolo, addita gli Stati Uniti come modello di «igiene razziale».

L'autore, vice-console dell'Impero austro-ungarico a Chicago, celebra gli Stati Uniti per la «lucidità» e la «pura ragion pratica» di cui danno prova nell'affrontare, e con la dovuta energia, un problema così importante eppur così frequentemente rimosso: violare le leggi che vietano i rapporti sessuali e matrimoniali inter-razziali può comportare anche 10 anni di reclusione e, ad essere condannabili, oltre ai protagonisti , sono anche i loro complici (Hoffmann 1913, IX, 67-8). Dieci anni dopo, nel 1923, un medico tedesco, Fritz Lenz, si lamenta del fatto che, per quanto riguarda l'«igiene razziale», la Germania è ben addietro rispetto agli USA (Lifton 1986, 29).

Ancora dopo la conquista del potere da parte del nazismo, gli ideologi e “scienziati” della razza continuano a ribadire: «Anche la Germania ha molto da imparare dalle misure dei nord-americani: essi sanno il fatto loro» (Günther 1934, 465). Le misure eugenetiche varate subito dopo la Machtergreifung mirano a sventare il pericolo della «Volkstod» (Lifton 1986, 30), della «morte del popolo» o della razza. E di nuovo siamo ricondotto al tema del «suicidio razziale». Per sventare il pericolo del suicidio della razza bianca, che sarebbe poi il suicidio della civiltà, non bisogna esitare alle misure più energiche, alle soluzioni più radicali, nei confronti delle «razze inferiori» ( inferior races ): se una di esse – tuona Theodore Roosevelt - dovesse aggredire la razza «superiore» ( superior ), questa reagirebbe con «una guerra di sterminio» ( a war of extermination ), chiamata «mettere a morte uomini, donne e bambini, esattamente come se si trattasse di una Crociata» (Roosevelt 1951, II, 377). Significativamente, ad una vaga «ultimate solution» della questione nera accenna un libro apparso a Boston nel 1913 (Fredrickson, 1987, 258 nota); più tardi, invece, i nazisti teorizzeranno e cercheranno di mettere in pratica la «soluzione finale» ( Endlösung ) della questione ebraica.



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