Elogio dell'antiamericanismo

Seconda parte



2. Uno «splendido Stato del futuro»

Sì, il giovane indocinese assimila il Ku Klux Klan al fascismo. Epperò, le somiglianze tra i due movimenti non sfuggono ai testimoni americani del tempo. Non poche volte, con giudizio di valore positivo o negativo, essi paragonano gli uomini in divisa bianca del sud degli Stati Uniti alle «camice nere» italiane e alle «camice brune» tedesche. Dopo aver richiamato l'attenzione sui tratti comuni al Ku Klux Klan e al movimento nazista, una studiosa statunitense dei giorni nostri ritiene di poter giungere a questa conclusione:

«Se la Grande depressione non avesse colpito la Germania con tutta la forza con cui in effetti la colpì, il nazionalsocialismo potrebbe essere trattato come talvolta viene trattato il Ku Klux Klan: come una curiosità storica, il cui destino era già segnato» (MacLean 1994, 184).
E cioè, più che la diversa storia ideologica e politica, a spiegare il fallimento dell'Invisible Empire negli Stati Uniti e l'avvento del Terzo Reich in Germania sarebbe il diverso contesto economico.

Può darsi che questa affermazione sia eccessiva. Epperò, quando, per mettere a tacere le critiche contro la politica di Washington, si ricorda il contributo essenziale che gli Stati Uniti, assieme ad altri paesi (a cominciare dall'Unione Sovietica) hanno dato alla lotta contro la Germania hitleriana e i suoi alleati, si dice solo una parte della verità; l'altra parte è costituita dal ruolo notevole che i movimenti reazionari e razzisti americani hanno svolto nell'ispirare e alimentare in Germania l'agitazione da ultimo sfociata nel trionfo di Hitler.

Già negli anni '20, tra il Ku Klux Klan e i circoli tedeschi di estrema destra si stabiliscono rapporti di scambio e di collaborazione all'insegna del razzimo anti-nero e antiebraico. Ancora nel 1937, Rosenberg celebra gli Stati Uniti come uno «splendido paese del futuro»: esso ha avuto il merito di formulare la felice «nuova idea di uno Stato razziale», idea che adesso si tratta di mettere in pratica, «con forza giovanile», mediante espulsione e deportazione di «negri e gialli» (Rosenberg 1937, 673). Basta dare uno sguardo alla legislazione varata subito dopo l'avvento del Terzo Reich, per rendersi conto delle analogie con la situazione esistente nel Sud degli Stati Uniti: ovviamente, in Germania sono in primo luogo i tedeschi di origine ebraica ad occupare il posto degli afro-americani.

Hitler si preoccupa di distinguere nettamente, anche sul piano giuridico, la posizione degli ariani rispetto a quella degli ebrei nonché dei pochi mulatti viventi in Germania (a conclusione della prima guerra mondiale, truppe di colore al seguito dell'esercito francese avevano partecipato all'occupazione del paese). «La questione negra» - scrive sempre Rosenberg - «è negli Usa al vertice di tutte le questioni decisive»; e una volta che l'assurdo principio dell'uguaglianza sia stato cancellato per i neri, non si vede perché non si debbano trarre «le necessarie conseguenze anche per i gialli e gli ebrei» (Rosenberg 1937, 668-9).

Tutto ciò non deve stupire. Elemento centrale del programma nazista è la costruzione di uno Stato razziale. Ebbene, quali erano in quel momento i possibili modelli? Certo, Rosenberg fa riferimento anche al Sud-Africa: è bene che permanga saldamente «in mano nordica» e bianca (grazie a opportune «leggi» a carico, oltre che degli «indiani», anche di «neri, mulatti e ebrei»), e che costituisca un «solido bastione» contro il pericolo rappresentato dal «risveglio nero» (Rosenberg 1937, 666).

Ma l'ideologo nazista sa in qualche modo che la legislazione segregazionista del Sud-Africa è stata largamente ispirata dal regime di white supremacy , messo in atto nel sud degli Stati Uniti dopo la fine della Ricostruzione (Noer 1978, 106-7, 115, 125). E, dunque, rivolge il suo sguardo in primo luogo a questa realtà. D'altro canto, è anche per un'altra ragione che la repubblica d'oltre Atlantico costituisce un motivo di ispirazione per il Terzo Reich.

Hitler mira non ad un espansionismo coloniale generico bensì alla costruzione di un Impero continentale, mediante l'annessione e la germanizzazione dei territori orientali immediatamente contigui al Reich. La Germania è chiamata a espandersi in Europa orientale come in una sorta di Far West, trattando gli «indigeni» alla stregua dei pellerossa (Losurdo 1996, 212-6) e senza mai perdere di vista il modello americano, di cui il Führer celebra «l'inaudita forza interiore» (Hitler 1939, 153-4). Subito dopo averla invasa, Hitler procede allo smembramento della Polonia: una parte è direttamente incorporata nel Grande Reich (e da essa vengono espulsi i polacchi); il resto costituisce il «Governatorato generale» nell'ambito del quale – dichiara il governatore generale Hans Frank – i polacchi vivono come in «una sorta di riserva»: sono «sottoposti alla giurisdizione tedesca» senza essere «cittadini tedeschi» (in Ruge-Schumann 1977, 36). Il modello americano è qui seguito persino in modo scolastico: non possiamo non pensare alla condizione dei pellerossa.



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